Mercoledì 5 settembre 2012 • Post di Juan de Dios Peza
Ammirando Garrick, attor d’Inghilterra,
la gente al applaudirlo gli dicea:
«Sei il più bello della terra
e il più felice…»
E il comico ridea.
I gran lord che di spleen si tormentavan
nelle loro più grevi e oscur nottate,
a veder il re degli attori se n’andavan,
per barattar lo spleen colle risate.
Una volta, da un gran medico,
un tal si presentò collo sguardo squallido:
«Soffro – gli disse - d’un mal tan terrifico
come questo volto mio così pallido.
«Nulla più m’incanta o mi sta attraendo;
non penso al buon nome né alla mia sorte,
in un eterno spleen, da vivo sto già morendo,
e la mia unica speranza sta nella morte».
«Viaggi e si distragga.»
«Ho viaggiato tanto!»
«Si dia alle letture.»
«Ho letto tanto!»
«Ami una donna.»
«Sì son amato!»
«Acquisti un titolo.»
«Già nobile son nato!»
«Sarà forse povero?»
«Ho fortuna.»
«Le gustassero le lusinghe?»
«Ne ascolto tante!»
«Qual è la sua famiglia?»
«Le mie tristezze.»
«Visita il camposanto?»
«Tanto… tanto…»
«La vostra vita nutre di pubblica ammirazione?»
«Sì, ma non mi faccio metter in soggezione;
sol pei morti ho vera affezione;
che i vivi son la mia tribolazione.»
«Il vostro mal mi causa tentennamento
– aggiunse il medico – ma senza paura
segua questo mio suggerimento:
ammirar Garrick sarà la sua cura.»
«Garrick?»
«Sì, Garrick… la più triste
e austera società lo cerca ansiosa;
chi lo vede si spancia in risate mai viste:
c’ha il dono d’una grazia artistica meravigliosa.»
«E farà ridere anche me?»
«Ah! Sì, ve lo giuro
egli, e nulla più, ma… perché ancor afflizione?»
«Così – dice il paziente – di certo non mi curo
Garrick son io!… Dottor, mi cambi prescrizione.»
Quanti ce ne sono che stanchi di vivere
morti di noia, malati di depressione,
come l’attor suicida gli altri fan ridere,
senza mai, pel suo stesso mal, trovar soluzione!
Ahi! Quante volte ridere è un piangere ancora!
Nessuno confidi dell’allegria nel riso,
perché negli esseri che il dolor divora,
l’anima soffre mentre ride il viso!
Se muore la fede, se fugge la calma,
se solo mestizia nel cammino è incontrata,
sale su al volto la tempesta dell’alma,
e scoppia in un lampo triste: la risata.
Il carneval del mondo inganna tanto,
che le nostre vite son brevi mascherate;
qui apprendiamo a rider col pianto,
e a piangere pure colle risate.
Juan de Dios Peza (1852-1911) • Traduzione di Rodolfo de Matteis.
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Quando la ciclotimia colpisce gli illustratori
Martedì 4 settembre 2012 • Post di Mariano Tomatis
Sul blog "Roba da disegnatori" lo scrittore Davide Cali racconta i risvolti della ciclotimia sull’attività creativa degli illustratori. Notevoli i disegni di Gemma Correll (vedi il suo sito) che lo illustrano.
"Il ciclo infinito del turbamento creativo" dell’artista inglese illustra una dinamica ben nota ai frequentatori di questo blog:
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Sabato 1 settembre 2012 • Post di Mariano Tomatis
Molte volte, in terra, si ha la sensazione di stare nell’inferno. Tuttavia, a volte, si ha anche la sensazione di trovarsi in paradiso. Credo che nell’esperienza di ogni uomo vi sia il ricordo dell’inferno e del cielo.
Jorge Luis Borges, “Cartografia di un destino” (2012), p. 54.
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Così dannatamente felice che...
Giovedì 23 agosto 2012 • Post di Mariano Tomatis
A volte le fasi alte della ciclotimia sono caratterizzate da un entusiasmo scomposto...
Sono così dannatamente felice che potrei cagare arcobaleni.
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Ci vuole un po’ di buio per vedere le stelle
Domenica 19 agosto 2012 • Post di Osho
A certain darkness is needed to see the starsviciouslycyd.tumblr.com
— Sunflower (@lazangi) Ottobre 19, 2012
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Depressione, la risorsa segreta dei Monty Phyton
Lunedì 13 agosto 2012 • Post di Mariano Tomatis
La vita è una merda, ma è bene guardare sempre agli aspetti luminosi dell’esistenza.
Il ruvido messaggio è stato lanciato in mondovisione da Eric Idle (VEDI) nel corso della cerimonia di chiusura dei giochi olimpici di Londra 2012. Membro del gruppo dei Monty Phyton e cantautore, l’attore inglese ha riproposto la canzone che chiude con un sorriso il film Brian di Nazareth (1979): Always Look on the Bright Side of Life (“Guarda sempre al lato luminoso della vita”).
Eric Idle canta durante la cerimonia di chiusura dei giochi olimpici di Londra 2012 del 12 agosto 2012.
Un sondaggio del 2005 mostrò che si trattava della terza canzone più popolare che gli inglesi avrebbero voluto che venisse cantata al loro funerale; i Monty Phyton la cantarono effettivamente durante la cerimonia funebre per il loro compagno Graham Chapman, che in Brian di Nazareth aveva interpretato la parte del protagonista.
Lungi dall’essere un ingenuo inno ai sorrisi di circostanza, le parole di Idle invitano a guardare con lucido disincanto al lato luminoso della vita e della morte, affrontando entrambe con leggerezza e ironia:
La vita è una merda, quando la guardi bene. La vita è una risata e la morte uno scherzo, davvero! Vedrai che è tutto un gioco, falli ridere mentre te ne vai e ricorda che a te spetta l’ultima risata! E guarda sempre il lato luminoso della vita.
Una delle risorse a cui i Monty Python hanno avuto l’opportunità di attingere è stata la depressione che ha colpito, in momenti diversi della loro vita, Eric Idle e John Cleese.
A sinistra: Eric Idle. - A destra: John Cleese. Fotografia tratta dal film Splitting Heirs (1993).
A questo proposito Eric Idle ha raccontato:
Nella mia vita ho attraversato alcuni momenti molto difficili. Per lunghi periodi ho sofferto di depressione e stanchezza cronica. Ciò che mi ha sorretto in quei momenti è stata la capacità di ridere di me stesso. In definitiva, ridere è la chiave di tutto. Una bella risata libera l’anima dalla prigione del corpo. Citando la mia canzone, “ricorda che a te spetta l’ultima risata”.(1)
John Cleese soffre da sempre di sindrome bipolare, disturbo di cui la ciclotimia è una forma lieve. Nonostante i periodici crolli emotivi, il comico inglese non ha perso una certa leggerezza con cui affrontare la vita:
Invecchiando molti si irrigidiscono perché pensano che dovrebbero comportarsi da persone sagge. Ma è il bambino in noi la fonte dell’allegria e della gioia - ed è la fonte di tutte le cose più dolci della nostra vita. Gli individui più creativi hanno mantenuto una facilità infantile a giocare. Io l’ho fatto. Ma alcuni tra i miei amici ritengono che io debba in qualche modo crescere. Eppure mi rendo conto di quanto essi siano intrappolati nel pensiero che si debba a tutti i costi crescere - idea che io non ho mai avuto.(2)
«Life’s a piece of shit when you look at it. Life’s a laugh and death’s a joke, it’s true.»
Eric Idle, “Always Look on the Bright Side of Life” in «Life of Brian» (1979).
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(1) Jon Wilde, "The secrets of my success: Eric Idle" in Mail Online, 20.3.2010.
(2) Roya Nikkhah, "John Cleese: “I’ll never grow up”" in The Telegraph, 25.4.2011.
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Abbracciare l’incertezza contro il pensiero positivo
Martedì 7 agosto 2012 • Post di Mariano Tomatis
I periodici momenti depressivi del ciclotimico non sono incompatibili con la ricerca della felicità. Tali stati d’animo potrebbero, al contrario, essere fondamentali per percepire l’esistenza nella sua interezza e nelle sue molteplici sfaccettature.
È la tesi provocatoria - ma nemmeno troppo, per chi ne fa esperienza quotidiana - di Oliver Burkeman. L’autore, fortemente critico nei confronti dell’assurda paura del fallimento che pervade la cultura dominante, scrive sul Guardian:
[La ricerca] ha evidenziato un approccio alternativo [alla felicità]: un "percorso negativo" alla felicità che comporta una presa di posizione radicalmente diversa verso quelle cose che la maggior parte di noi cerca di evitare. Si tratta di imparare a godere dell’incertezza, abbracciare l’insicurezza e familiarizzare con il fallimento. La vera felicità potrebbe richiedere la nostra disponibilità ad affrontare un numero maggiore di emozioni negative, o almeno di smettere di fuggirle con tanto timore.(1)
Burkeman ha recentemente pubblicato The Antidote: Happiness for People Who Can’t Stand Positive Thinking, un saggio sulla felicità dedicato a chi non sopporta la dittatura del "pensiero positivo".
Il libro ha, tra l’altro, un originale booktrailer:
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Venerdì 3 agosto 2012 • Post di Mariano Tomatis
Nella prima delle sue Lezioni Americane, Jorge Luis Borges (1899-1986) racconta:
Rafael Cansinos-Asséns ha scritto una bellissima poesia in cui chiede a Dio di difenderlo, di salvarlo dalla bellezza, perché, dice, “c’è troppa bellezza nel mondo.” Pensava che la bellezza stesse schiacciando il mondo. Pur non sapendo se sono stato un uomo particolarmente felice (spero di diventarlo alla non tenera età di 67 anni) continuo a pensare che siamo circondati dalla bellezza.(1)
La sensazione, che altri definirebbero “mistica”, non è aliena all’esperienza del ciclotimico: i momenti “alti” portano con sé sentimenti di grandiosità, che mescolano in modo ambivalente oppressione e incanto. Giacobbe dovette trovarsi in uno stato d’animo del genere quando, sognando la scala lungo la quale gli Angeli si muovevano tra Cielo e Terra, commentò rapito: «Questo luogo è terribile!»(2) L’aggettivo italiano "terribile" non coglie tutte le diverse e opposte sfumature dell’esperienza: il luogo descritto dal patriarca incute rispetto, genera stupore ma anche un solenne timore reverenziale. Ma quale altro aggettivo useremmo noi di fronte al luogo che sintetizza simbolicamente l’equilibrio tra ciò che è in alto e ciò che è in basso, umano e divino, cielo e terra?
Nei momenti ipomaniacali, però, sono sufficienti stimoli più prosaici e umili - come un sacchetto della spesa trasportato qua e là dal vento.
Come racconta Alan Ball nel suo American Beauty attraverso le parole di Ricky Fitts:
È stato il giorno in cui ho capito che c’era tutta un’intera vita dietro ogni cosa e un’incredibile forza benevola che voleva sapessi che non c’era motivo di avere paura. Mai. Vederla sul video è povera cosa, lo so. Ma mi aiuta a ricordare. Ho bisogno di ricordare. A volte c’è così tanta bellezza nel mondo che non riesco ad accettarla. E il mio cuore sta per franare.(3)
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(1) Jorge Luis Borges, This Craft of Verse, Harvard University Press, Cambridge (Massachussetts), 2000, p. 15.
(2) Genesi 28, 17.
(3) Addirittura Dio si è dichiarato d'accordo con l'origine organica di tale sensazione.
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La bellezza malinconica del Wabi-Sabi
Venerdì 20 luglio 2012 • Post di Mariano Tomatis
Ogni lingua ha qualche parola intraducibile. In questo bel post Jason Wire ne elenca almeno 20 molto curiose. L’aggettivo indonesiano Jayus mi sarebbe servito in svariate occasioni: descrive quelle battute di spirito che vengono riferite male e sono talmente orribili che è impossibile non scoppiare a ridere.
La parola più in tema con queste pagine è giapponese. Wabi-Sabi è l’atteggiamento di chi riesce a percepire una malinconica bellezza nelle imperfezioni della vita, abbracciando il naturale ciclo di fioritura e decadimento. In Giappone tale stile di vita ha influenzato anche la cucina, l’arte e l’architettura, diventando una vera e propria celebrazione estetica al fascino che scaturisce dalle cose imperfette perché legate al tempo.
Nel documentario di Mark Reibstein "Wabi-Sabi" l’artista giapponese Ed Young dice tra l’altro:
Wabi-Sabi è l’imperfezione. È scorgere la bellezza di dettagli che passano inosservati a uno sguardo ordinario, è soffermarsi per qualche istante in più sulle loro sottigliezze e sulla loro poesia, che non si trovano negli oggetti prodotti industrialmente in serie, tutti identici. Wabi-Sabi è "bello", ma anche "ordinario". È una condizione mentale.
Qui il suggestivo frammento di Reibstein:
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La storia in sospeso di Wesley
Giovedì 5 luglio 2012 • Post di Mariano Tomatis
Scriveva Alain De Botton:
Esistono libri che fissano una bandierina su un territorio interessante, ma poi non riescono a farla stare in piedi.(1)
Nel suo libro Insieme ma soli Sherry Turkle affronta il rapporto tra esseri umani e robot, anche attraverso numerose interviste sull’argomento. Tra gli altri, l’autrice intervista Wesley, un ciclotimico conclamato che ha alle spalle una serie di matrimoni falliti.
Wesley, 64 anni, è arrivato a considerare il suo egocentrismo un problema intrattabile, e immagina che un aiutante robot sia una soluzione in grado di soddisfarlo senza danneggiare gli altri. Wesley, che ha tre divorzi alle spalle, dice: «Spero che un robot possa imparare la mia psicologia. Come mi deprimo, come ne esco. Un robot che possa prevedere i miei cicli, senza mai criticarmi in quei periodi, e imparare come farmeli superare». E aggiunge: «Dal robot vorrei molto di ciò che voglio da una donna, e credo che sotto certi aspetti il robot mi darebbe di più. Con una donna bisogna considerare le sue esigenze… sono questi i problemi in cui vado a finire. Se qualcuno mi ama, si preoccupa dei miei alti e bassi. Ed è una pressione forte». Wesley sa che è difficile vivere con lui. Una volta ha visto uno psichiatra, che gli ha detto che i suoi «cicli» sono fuori da un andamento normale. Le sue ex mogli senz’altro gli hanno detto che è troppo lunatico. Lui si considera una pressione per una donna, e sente di subire a sua volta una pressione perché non è stato capace di proteggere dai suoi alti e bassi le persone a cui teneva. Gli piace l’idea di un robot perché potrebbe finalmente comportarsi in modo naturale: il robot non sarebbe scosso dai suoi malumori. Wesley considera la possibilità di due "donne", una vera e l’altra artificiale: «Forse vorrei un robot, che sarebbe la compagna perfetta (meno esigenze), e anche una donna vera. Il robot potrebbe togliere un po’ di pressione alla donna vera, che non dovrebbe sopportare uno stress emotivo così forte, davvero incredibile… potrei starmene tranquillo».(2)
Sherry Turkle non lo sa, ma il territorio su cui ha fissato la bandierina è interessante. La gestione degli affetti è un tema centrale nella vita di un ciclotimico. In pochi paragrafi la storia di Wesley mi ha già catturato. Come affronterà la situazione? Quali scelte compirà? Come andrà a finire la storia?
Ma di Wesley non sapremo altro. L’autrice cambia argomento e passa ad altro, urtando senza volerlo la bandierina e facendola cadere.
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(1) Alain De Botton, Tweet, 26.11.2010.
(2) Sherry Turkle, Insieme ma soli, Codice Edizioni, Torino 2012, p.88.
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Mercoledì 20 giugno 2012 • Post di Thurgood Marshall
Io amo la pace, ma so
apprezzare una sommossa.(1)
Thurgood Marshall (1908-1993)
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(1) «I love peace, but I adore a riot.»
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Io amo la mia ciclotimia perché...
Venerdì 15 giugno 2012 • Post di Mariano Tomatis
Régis Blain è un autore francese che lavora come consulente per la comunicazione e ha scritto un libro sulla ciclotimia insieme allo psichiatra parigino Elie Hantouche.
Régis colleziona da anni testimonianze di ciclotimici che coltivano gli aspetti positivi del disturbo, e le pubblica regolarmente sul blog jaimemacyclothymieparceque.blogspot.it (“Io amo la mia ciclotimia perché…”)
Questo il suo contributo al notevole progetto:
Io amo la mia ciclotimia innanzitutto per la sua bellezza. La bellezza bifronte del dio Giano, che non risiede nelle sue linee armoniose, nei begli occhi azzurri e nei capelli biondi, ma nelle lacrime che si mescolano ai sorrisi. Baudelaire diceva che il bello ha sempre in sé qualcosa di bizzarro, e in tutto il suo spettro la ciclotimia offre tale strana bellezza. Chi vuole ridurre sorrisi euforici e lo spleen pieno di lacrime cerca solo di barare con la Natura, con la nostra natura ciclotimica.
Non vogliamo svuotare un temperamento che ci fa assaporare la vita nella sua complessità, nei suoi colori ricchi e contrastati, nei suoi sentieri tortuosi e insidiosi, molto più belli e selvaggi delle autostrade dell'ipertimia e degli oscuri binari della depressione. Noi non riusciamo a ridere senza conoscere il pianto, né viceversa. Una vita stabilmente ipertimica o depressiva è forse una vita monca. C'è un prezzo da pagare, una sofferenza che ci aiuta a diventare più umili ed espiare l'arroganza di cui a volte ci macchiamo. Ci capita di essere così arroganti, così pigri, egoisti e ingrati che la nostra natura fa ciclicamente qualcosa per correggerci.
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