Domenica 15 gennaio 2012 • Post di Mariano Tomatis
La ciclotimia è un disturbo dell’umore. Chi ne soffre, vive frequenti sbalzi emotivi che alternano esaltazione e depressione.
Nei momenti "alti" predomina il buon umore: il bisogno di dormire si riduce, la mente si riempie di idee e i pensieri scorrono veloci. Per chi è impegnato in attività creative, si tratta di un vero e proprio stato di grazia, perché i concetti fluiscono senza sosta, ricombinandosi senza incontrare ostacoli. Si percepiscono se stessi e la realtà circostante con un senso di mistica grandiosità, e l’autostima aumenta in maniera esponenziale. Esaltati dalla facilità con cui si gestiscono pensieri e azioni, si è colti da un incessante spirito di iniziativa e si mettono in piedi progetti ambiziosi.
Il prezzo di tale eccitazione cerebrale è una tendenza a parlare velocemente e in modo concitato, con il rischio di diventare logorroici. Allo stesso tempo, esposti a una vita mentale così fervida e fluida, ci si distrae facilmente dagli stimoli esterni: diventa difficile seguire una lezione o un film, perché i pensieri che si presentano alla mente appaiono più interessanti da seguire e coltivare; ciò genera anche una certa intolleranza verso ciò che non è grandioso, eccezionale, fuori dalla norma - che viene percepito come grigio e insapore.
Senza alcun preavviso, e con una frequenza imprevedibile, i momenti "alti" cedono il passo a quelli "bassi": in questi periodi si ha sempre sonno, la vita affettiva si inaridisce e si diventa apatici; l’autostima crolla e si percepisce la vacuità dei progetti intrapresi durante le fasi di eccitazione emotiva. I riflessi diventano più lenti e si avverte il bisogno di isolarsi: si annullano gli impegni che prevedono un’intensa vita sociale, e partecipando a quelli inevitabili si patisce un senso di disagio.
Il ciclotimico che ignora le caratteristiche di questo disturbo ha enormi difficoltà a individuare un Io coerente: mancando una continuità nella percezione di sé e del mondo, si sente frammentato nell’alternarsi di momenti di grande fiducia in sé e altri di profonda prostrazione emotiva. Nel 1855 Walt Whitman (1819-1892) espresse la stessa eccitata disperazione nel suo Canto a me stesso:
Mi contraddico? Certo che mi contraddico! (Sono vasto, contengo moltitudini.)(1)
Walt Whitman, “Song of Myself” in «Leaves of Grass» (1855).
Image by René Magritte «L’empire des lumières» (1954).
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(1) “Do I contradict myself? Very well then I contradict myself (I am large, I contain multitudes.)”
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