Schadenfreude, una parola inutilmente meschina
Mercoledì 26 settembre 2012 • Post di Mariano Tomatis
"Calligrafia" è una parola curiosa. Deriva da "calòs" e "graphìa", e letteralmente indica la "bella scrittura". Nonostante nell’aggettivo "bella" contenga in sé un preciso giudizio estetico, nell’uso comune lo ha perso. Alle scuole elementari si parla di "bella calligrafia" senza avvertire la ridondanza e di "brutta calligrafia" senza percepire l’ossimoro.
Se potessi scegliere il destino delle parole, vorrei che una seguisse l’evoluzione di "calligrafia", perdendo il giudizio che tristemente incorpora.
Tale parola è "schadenfreude".
Quando Ned Flanders sta rischiando la bancarotta e Homer gioisce per l’accaduto, Lisa Simpson spiega al padre:
Lisa: Papà, lo sai cos’è la schadenfreude?
Homer: No, non lo so cos’è la schadenfreude. Ti prego dimmelo perché muoio dalla voglia di saperlo…
Lisa: È una parola tedesca per la gioia meschina, provare piacere per le sofferenze altrui.
Homer: Oh, andiamo, Lisa. Sono solo felice di vederlo andare a terra sul suo sedere!
Nella sua accezione comune, la schadenfreude è davvero spregevole. Peccato. Sono d’accordo con Alain De Botton, quando scrive:
Schadenfreude è una parola inutilmente meschina per descrivere il logico desiderio di non sentirsi soli con i propri dolori.(1)
Alain De Botton
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(1) «Schadenfreude is an unnecessarily mean word to describe a logical wish not to be alone with one’s sorrows.» (Tweet di Alain De Botton)
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