Kierkegaard e la duplice natura dell’ansia
Giovedì 27 giugno 2013 • Post di Mariano Tomatis
“La fuga e il silenzio”, la mostra personale di Miro Gianola, verrà inaugurata tra un mese esatto. Il catalogo dell’esposizione presenterà questo mio breve commento in margine a una delle opere proposte.
Non è paradossale il grido silenzioso ritratto da Miro Gianola in “Ululatus”? Già Søren Kierkegaard aveva riflettuto sulla duplice e misterosa natura dell’ansia, che “si può esprimere al contempo con il silenzio o con un urlo.”(1) Il filosofo si riferiva all’ansia dell’artista, che chiamava “la vertigine della libertà”(2): come in montagna ci si ritrae di fronte a uno strapiombo, chi crea avverte un simile senso di vertigine davanti alle infinite possibilità che ha di fronte. Si tratta di uno scacco terribile. Lo spirito anela all’infinito, ma la mano ha a disposizione tele limitate, pochi colori e una vita destinata a finire. Anche i letterati lo conoscono, chiamandolo “blocco dello scrittore”. Ma vertigine non vuol dire paralisi. Conoscere l’ansia non vuol dire arretrare di fronte alla possibilità di mettersi in gioco. Di fronte al precipizio, Miro effettua il salto della fede. Fiducia nell’atto creativo, nella possibilità di ritrarre lo scacco e offrirlo — irrisolto — a chi osserva. In un’epoca di predicatori che dispensano verità assolute, possiamo essere grati per le paradossali provocazioni che Miro offre con delicatezza e grande forza espressiva.(3)
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(1) Søren Kierkegaard, The Concept of Dread, University Press, Princeton 1957, p. 106.
(2) Søren Kierkegaard, op. cit., p. 54.
(3) Mariano Tomatis in Federica Zangirolami (ed.), Miro Gianola - La fuga e il silenzio, catalogo dell’omonima mostra, Focus Grafica, Castellamonte 2013, p. 14.
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