La bellezza malinconica del Wabi-Sabi
Venerdì 20 luglio 2012 • Post di Mariano Tomatis
Ogni lingua ha qualche parola intraducibile. In questo bel post Jason Wire ne elenca almeno 20 molto curiose. L’aggettivo indonesiano Jayus mi sarebbe servito in svariate occasioni: descrive quelle battute di spirito che vengono riferite male e sono talmente orribili che è impossibile non scoppiare a ridere.
La parola più in tema con queste pagine è giapponese. Wabi-Sabi è l’atteggiamento di chi riesce a percepire una malinconica bellezza nelle imperfezioni della vita, abbracciando il naturale ciclo di fioritura e decadimento. In Giappone tale stile di vita ha influenzato anche la cucina, l’arte e l’architettura, diventando una vera e propria celebrazione estetica al fascino che scaturisce dalle cose imperfette perché legate al tempo.
Nel documentario di Mark Reibstein "Wabi-Sabi" l’artista giapponese Ed Young dice tra l’altro:
Wabi-Sabi è l’imperfezione. È scorgere la bellezza di dettagli che passano inosservati a uno sguardo ordinario, è soffermarsi per qualche istante in più sulle loro sottigliezze e sulla loro poesia, che non si trovano negli oggetti prodotti industrialmente in serie, tutti identici. Wabi-Sabi è "bello", ma anche "ordinario". È una condizione mentale.
Qui il suggestivo frammento di Reibstein:
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