Il matrimonio è un eroismo gentile
Venerdì 28 settembre 2012 • Post di Alain De Botton
Chi è ciclotimico raggiunge più facilmente la consapevolezza di un tratto tipicamente umano: l’essere il risultato di una miriade di “forze ormonali, sentimentali, contraddittorie che ci spingono in centinaia di direzioni spesso impazzite e inconcludenti.” In questo brano Alain De Botton suggerisce un atteggiamento più tollerante verso le proprie contraddizioni, sostenendo che “Per fare onore ad ognuna delle nostre emozioni dovremmo rinunciare a qualsiasi possibilità di condurre una vita coerente.” Il testo è tratto dal suo How to think more about sex (The School of Life, 2012).
La società sostiene che quando una persona sposata scopre che il proprio coniuge ha una relazione ha tutto il diritto di infuriarsi e di cacciarlo di casa, di fargli a pezzi gli abiti e massacrare la sua reputazione di fronte agli amici. Si ritiene che l’adulterio dia alla parte tradita ampie motivazioni per essere furibonda e sentirsi offesa, nonché abbondanti ragioni per chi tradisce di chiedere perdono in modi estremi per il proprio orribile comportamento.
Ma ancora una volta, non potremmo suggerire che, per quanto ferita possa sentirsi la parte tradita, il furore alla notizia dell’infedeltà dell’altro non è totalmente giustificato? Il fatto che il coniuge fedifrago abbia avuto la temerarietà di concepire, per non parlare di metterla in pratica, l’idea che potrebbe essere interessante infilare la mano sotto una gonna non familiare o in un paio di pantaloni non dovrebbe sorprendere così tanto dopo dieci o più anni di matrimonio. C’è davvero bisogno di scusarsi per un desiderio che difficilmente potrebbe essere più ordinario o comprensibile? Senza pregiudizi, vedere il matrimonio come la risposta perfetta a tutte le nostre aspettative in termini di amore, sesso e famiglia è ingenuo e fuorviante, così come lo è il credere che l’adulterio possa essere un antidoto efficace per le delusioni del matrimonio.
Ciò che è decisamente “sbagliato” nell’idea di adulterio, così come in una certa idea di matrimonio, è la sua idealizzazione. Per quanto possa sembrare a prima vista un comportamento cinico e senza speranza, l’adulterio suggerisce, in realtà, la convinzione che potremmo in qualche modo magicamente riaffrontare i limiti del nostro matrimonio grazie a un’avventura al di fuori di esso. Tuttavia è impossibile andare a letto con qualcuno fuori dal matrimonio senza rovinare tutto ciò a cui teniamo all’interno di esso - così come è impossibile rimanere fedele in un matrimonio senza perdersi alcuni tra i più grandi ed importanti piaceri dei sensi.
Non c’è una risposta alle tensioni nel matrimonio, se con “risposta” intendiamo un accordo in cui nessuno dei due perda qualcosa. Ciascuna delle tre cose che vogliamo in questa sfera - amore, sesso e famiglia - coinvolge e ferisce le altre in modi diabolici. Amare una persona può inibire la nostra capacità di fare sesso con lei. Avere un appuntamento con una persona che non amiamo ma che troviamo attraente può mettere a rischio il nostro rapporto con il coniuge che amiamo ma che non ci eccita più. Avere dei figli può compromettere sia l’amore che il sesso e, tuttavia, trascurare i figli per concentrarci sul nostro matrimonio o sui nostri piaceri sessuali può minacciare la salute e la stabilità mentale della nuova generazione. Periodicamente, la frustrazione fa sorgere l’impulso di cercare una soluzione utopica a questo pasticcio. Forse, pensiamo, un matrimonio aperto potrebbe funzionare. O una politica dei segreti. O una rinegoziazione del nostro contratto su base annuale. O più strutture di assistenza per i figli. Tutte queste strategie sono destinate a fallire, tuttavia, per il semplice motivo che la perdita è scritta nelle regole della situazione. Se abbiamo delle avventure, mettiamo a rischio l’amore del nostro coniuge e la salute psicologica dei nostri figli. Se non abbiamo delle avventure, facciamo la muffa e ci perdiamo le emozioni di nuovi rapporti.
Se manteniamo segreta una relazione, essa ci corroderà dentro e ci impedirà di ricevere l’amore di un altro. Se confessiamo la nostra infedeltà, il nostro partner sarà preso dal panico e non ci perdonerà mai le nostre avventure sessuali (anche se per noi non hanno avuto nessuna importanza). Se concentriamo tutte le nostre energie sui nostri figli, essi alla fine ci abbandoneranno per fare la loro vita lasciandoci soli e disperati. Ma se ignoriamo i nostri figli a favore dei nostri svaghi sentimentali, gli lasceremo delle cicatrici per tutta la vita e ci guadagneremo il loro eterno risentimento. Il matrimonio è come un lenzuolo che non si riesce mai a tendere: quando cerchiamo di metterne meglio o a perfezione un lato, riusciamo soltanto a sgualcire o mandare per aria gli altri.
Quale atteggiamento mentale più realistico dovremmo dunque assumere in un matrimonio? Di quale tipo di promesse abbiamo bisogno? Certamente, ci vorrebbe qualcosa di molto più cauto e rilassato dei soliti luoghi comuni, come: “Prometto di essere deluso da te e da te soltanto. Prometto di fare di te l’unico depositario dei miei rimpianti, invece di distribuirli ampiamente in molteplici avventure e in una vita sessuale da Don Giovanni. Ho preso in considerazione tutte le possibilità di infelicità ed è a te che ho deciso di legarmi”. È questo tipo di promesse generosamente pessimistiche e gentilmente non romantiche che le coppie dovrebbero farsi sull’altare. Dopo di che, un’avventura sarebbe solo il tradimento di un reciproco impegno ad essere delusi in un certo modo, non di una speranza irrealistica.
Quando l’idea di un matrimonio basato sull’amore prese piede nel XVIII secolo, andò a sostituire un più antico e prosaico fondamento del fidanzamento, secondo il quale le coppie si sposavano perché avevano raggiunto l’età adeguata, ritenevano di poter tollerare l’uno la vista dell’altro, erano decisi a non offendere reciprocamente i genitori dell’altro né i propri vicini, avevano dei beni da proteggere e desideravano creare una famiglia. La nuova filosofia borghese, invece, legittimò solo un motivo del matrimonio: il profondo amore. Questa condizione doveva comprendere una serie di sensazioni e di sentimenti vaghi quanto totemici, tra cui l’incapacità degli amanti di stare senza vedersi, l’eccitazione fisica alla sola vista dell’altro, l’esser certi di pensarla in modo perfettamente concorde, il desiderio di leggersi poesie l’un l’altro al chiaro di luna e l’ambizione a fondere le proprie anime in una sola. In altre parole, il matrimonio passò dall’essere un’istituzione ad essere la consacrazione di un sentimento, dall’essere un rito di passaggio sanzionato esteriormente all’essere una risposta a uno stato emotivo motivata interiormente.
A giustificare questo cambiamento agli occhi dei suoi difensori moderni, c’era la nuova grande paura della “inautenticità”, un fenomeno psicologico in cui i sentimenti intimi di una persona, lui o lei che fosse, differivano da quelli che il mondo esterno si aspettava. Ciò che la Vecchia scuola avrebbe rispettosamente chiamato “recitare la parte” veniva ora ridefinito come “mentire”, mentre “fingere per gentilezza” diventava un più melodrammatico “tradire se stessi”. Questa enfasi nel raggiungere una coerenza tra il sé interiore e il sé esteriore richiedeva delle nuove rigorose definizioni di ciò che un matrimonio come si deve doveva implicare. Provare solo un affetto intermittente per un coniuge, avere mediocri rapporti sessuali sei volte all’anno, rimanere insieme per il bene dei figli: questi compromessi erano considerati una rinuncia a qualsiasi pretesa di essere pienamente umani.
Quando diventiamo adulti, la maggior parte di noi ha un rispetto intuitivo nei confronti dell’idea di un matrimonio basato sull’amore. Tuttavia, invecchiando, cominciamo in genere a chiederci se tutta questa storia non sia altro che una fantasia sognata qualche centinaio di anni fa da un gruppo di autori e di poeti dallo spirito adolescenziale. Una simile rivalutazione può essere provocata dalla consapevolezza di quanto possano essere caotici e ingannevoli i nostri sentimenti. A volte siamo così arrabbiati con il nostro coniuge che ci auguriamo che lo investa una macchina; ma dieci minuti dopo, ci ricordiamo che preferiremmo morire piuttosto che restare soli. I difensori del matrimonio basato sul sentimento venerano le emozioni per la loro sincerità e la loro autenticità, ma riescono a farlo solo perché evitano di guardare troppo da vicino ciò che in realtà galleggia nella maggior parte dei caleidoscopi emotivi della gente in ogni dato momento: tutte le forze ormonali, sentimentali, contraddittorie che ci spingono in centinaia di direzioni spesso impazzite e inconcludenti. Per fare onore ad ognuna delle nostre emozioni dovremmo rinunciare a qualsiasi possibilità di condurre una vita coerente. Siamo un’espressione chimica caotica, con un disperato bisogno di aderire a dei principi fondamentali durante i nostri brevi momenti di razionalità. Dovremmo essere grati, e sentirci protetti, quando ci rendiamo conto che le circostanze esterne spesso non sono in linea con ciò che sentiamo; è segno che siamo probabilmente sulla strada giusta. In un matrimonio ben considerato, i coniugi non dovrebbero rimproverarsi per le infedeltà occasionali; dovrebbero invece esser fieri del fatto che, in generale, hanno cercato di rispettare l’impegno a rimanere uniti.
Troppa gente inizia una relazione mettendo l’enfasi morale nel posto sbagliato, deridendo in modo compiaciuto il desiderio di una scappatella come se fosse qualcosa di disgustoso e impensabile. In realtà, è la capacità di restare che è al tempo stesso ammirevole e degna di rispetto, benché sia troppo spesso data per scontata e considerata come una cosa normale. Che una coppia sia disposta a vedere scorrere la propria vita dall’interno della gabbia del matrimonio, senza mettere in atto gli impulsi sessuali esterni ad essa, è un miracolo della civiltà e della gentilezza del quale entrambi dovrebbero sentirsi grati ogni giorno. I coniugi che rimangono fedeli l’uno all’altro dovrebbero riconoscere il grado di sacrificio che stanno facendo per il loro amore e per i loro figli, e dovrebbero sentirsi fieri del loro eroismo. Non c’è niente di normale o di particolarmente piacevole nella rinuncia sessuale. La fedeltà merita di essere considerata una conquista e di essere continuamente lodata - con qualche medaglia ideale e il suono di un pubblico gong - piuttosto che ridotta a una norma banale la cui violazione con un’avventura provoca la furia del coniuge. Un matrimonio leale dovrebbe mantenere la consapevolezza dell’immenso autocontrollo e della generosità che le due parti si dimostrano reciprocamente nell’evitare di avere delle relazioni extraconiugali (e, su questo tema, nel trattenersi dall’uccidersi a vicenda). Se a un partner accadesse di fare un passo falso, l’altro potrebbe rinunciare al proprio furore abbandonandosi alla stupita meraviglia di quanto a lungo siano riusciti a mantenere la fedeltà e la calma contro ogni probabilità.
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Schadenfreude, una parola inutilmente meschina
Mercoledì 26 settembre 2012 • Post di Mariano Tomatis
"Calligrafia" è una parola curiosa. Deriva da "calòs" e "graphìa", e letteralmente indica la "bella scrittura". Nonostante nell’aggettivo "bella" contenga in sé un preciso giudizio estetico, nell’uso comune lo ha perso. Alle scuole elementari si parla di "bella calligrafia" senza avvertire la ridondanza e di "brutta calligrafia" senza percepire l’ossimoro.
Se potessi scegliere il destino delle parole, vorrei che una seguisse l’evoluzione di "calligrafia", perdendo il giudizio che tristemente incorpora.
Tale parola è "schadenfreude".
Quando Ned Flanders sta rischiando la bancarotta e Homer gioisce per l’accaduto, Lisa Simpson spiega al padre:
Lisa: Papà, lo sai cos’è la schadenfreude?
Homer: No, non lo so cos’è la schadenfreude. Ti prego dimmelo perché muoio dalla voglia di saperlo…
Lisa: È una parola tedesca per la gioia meschina, provare piacere per le sofferenze altrui.
Homer: Oh, andiamo, Lisa. Sono solo felice di vederlo andare a terra sul suo sedere!
Nella sua accezione comune, la schadenfreude è davvero spregevole. Peccato. Sono d’accordo con Alain De Botton, quando scrive:
Schadenfreude è una parola inutilmente meschina per descrivere il logico desiderio di non sentirsi soli con i propri dolori.(1)
Alain De Botton
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(1) «Schadenfreude is an unnecessarily mean word to describe a logical wish not to be alone with one’s sorrows.» (Tweet di Alain De Botton)
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La ciclotimia, una malattia circolare dell’umore
Martedì 25 settembre 2012 • Post di Ewald Hecker
La parola “ciclotimia” compare per la prima volta nel 1898 in un articolo dello psichiatra tedesco Ewald Hecker (1843-1909). L'articolo, tradotto da Athanasios Koukopoulos, è qui riprodotto grazie alla sua cortese autorizzazione.(1)
Nella sua relazione sulla “pazzia” ciclica, pubblicata sull’Irrenfreund nell’anno 1882, Kahlbaum distingue fra due forme della psicosi ciclica, che secondo il suo punto di vista sono profondamente diverse l’una dall’altra.
La prima, chiamata da lui Vesania typica circularis, è caratterizzata dal fatto che presenta, in seguito al ritorno frequente di attacchi malinconici e maniacali che si presentano in alternanza, una marcata tendenza all’indementimento. La seconda forma, da lui definita come ciclotimia, non sfocia invece, nemmeno nel caso della durata di un’intera vita, in stato confusionale e demenziale.
Mentre nella prima forma, la Typica circularis, possiamo osservare un coinvolgimento di tutte le funzioni principali della vita psichica, nella ciclotimia vediamo solamente un oscillare fra due stati dell’umore opposti, quello della distimia e quello della ipertimia, mentre rimane più o meno completamente illesa l’attività intellettiva, così che si può definire una pura malattia dell’umore.
Kahlbaum attira giustamente l’attenzione sul fatto che la ciclotimia non raramente si manifesta con intensità così straordinariamente ridotta, che la grande maggioranza dei casi non arriva negli Ospedali psichiatrici.
Io stesso posso confermare questo, in base alla mia propria esperienza, contrariamente alla mia precedente occupazione quindicennale puramente psichiatrica [ospedaliera NdT], adesso, che da altrettanto tempo, lavoro come psichiatra in un’attività privata, ho visto un numero imparagonabilmente maggiore di pazienti di questo genere in confronto al passato.
Quasi tutti i pazienti ciclotimici si presentarono la prima volta nello stadio depressivo. Lo stadio di eccitazione – e su questo desidero porre l’accento con particolare enfasi – era sfuggito nella maggior parte dei casi lievi sia all’osservazione del medico, che a quella dei suoi familiari e amici, e al paziente stesso. I parenti ne presero coscienza solo quando descrissi loro il carattere particolare di questi stadi di eccitazione.
Ancor più spesso, però, erano i pazienti, che una volta informati di questi stadi, che fino ad allora avevano considerato come i loro periodi più sani, ammettevano, ora senza riserbo, di dover riconoscere questi stessi periodi come patologici. In un caso osservato recentemente, i familiari, che prima avevano avuto una consultazione con me, negavano decisamente ogni traccia di una tale esaltazione. Quando però interrogai la paziente stessa, questa rispose con visibile sollievo: «Ah, temo queste terribili eccitazioni interiori ancor più della Melancolia stessa; cerco di nasconderli ai miei familiari con tutte le mie forze».
Ho fatto simili osservazioni con una tale frequenza, da ritenermi autorizzato ad avere la supposizione che, a dir poco, la grande maggioranza dei casi ritenuti abitualmente come melancolie periodiche, oppure stati depressivi periodici, appartenga in realtà alla forma circolare della ciclotimia di Kahlbaum. Per questo era per me di grandissimo interesse apprendere dalla più recente edizione del manuale di Kraepelin [edizione 1896 NdT], che anche lui riteneva gli stati depressivi periodici come un disturbo non frequente, ammettendo addirittura la possibilità che un certo numero dei casi, da lui stesso definiti tali, fossero in realtà da attribuire alla “pazzia circolare”.
Recentemente Kurella ha riportato in tedesco uno scritto del professor Lange (Kopenhagen) con il titolo “Stati depressivi periodici e la loro patogenesi sulla base della diatesi urica”. Qui l’autore asserisce di avere osservato che gli stati depressivi, da lui dettagliatamente descritti, erano particolarmente frequenti “più frequenti che l’epilessia e l’isteria e tutte le forme di nevralgie prese insieme”. Proprio questa osservazione mi ha suscitato il sospetto che anche nelle osservazioni di Lange si tratti di ciclotimia, nelle quali lo stadio di eccitazione sia sfuggito all’autore.
La coincidenza completa, fin nel minimo particolare dei sintomi dello stato descritto da Lange, con quelli dello stadio depressivo della ciclotimia, eleva la mia supposizione quasi a certezza, soprattutto perché anch’io stesso posso solo confermare il dato di fatto che la ciclotimia, soprattutto nei tipi di percorso lievi, è sorprendentemente frequente e rappresenta un contingente inusualmente grande nella consultazione psichiatrica. Di particolare importanza inoltre è anche il fatto che certi pazienti cerchino il medico non a causa del loro reale stato psichico, bensì in un primo momento per lamentare una serie di sintomi somatici, senza porre il peso principale sulla depressione, che essi vedono solo come conseguenza dei disturbi somatici di cui soffrono.
Così accade poi che anche lo stadio depressivo della ciclotimia venga spesso misconosciuto e che i pazienti vengano (come rileva anche Lange) ritenuti ingiustamente nevrastenici. Dato che la giusta impostazione della diagnosi è proprio in questi casi di particolare significato per il trattamento, ritengo importante che ogni medico, anche se non interessato ad una attività psichiatrica, familiarizzi con questo disturbo in particolar modo con le sue forme più lievi. La seguente descrizione dovrebbe fornire una certa base.
Sintomatologia
Il sintomo principale e fondamentale dello stato depressivo della ciclotimia è l’inibizione psichica, e la mancanza allo stesso tempo di ogni idea delirante e di allucinazioni, ed una marcata, anche se non sempre correttamente interpretata, consapevolezza di malattia.
I malati si lamentano, in primo luogo e spesso, del completo appiattimento dei loro pensieri e delle loro sensazioni, del fatto di aver perso la capacità di lavorare intellettualmente e di divertirsi. Hanno l’impressione di non essere più in grado di fare qualsiasi cosa, di fare tutto sbagliato. Si lamentano della loro indifferenza nei confronti delle cose e delle persone che fino ad allora stavano loro molto a cuore. Descrivono il loro stato come quello di un indurimento interno di una pietrificazione, come se fra loro ed il mondo fosse stato tirato uno spesso sipario o eretto un muro. Ogni decisione diventa difficile, ogni azione diventa un tormento. Devono essere spinti a tutte le azioni che compiono. Preferibilmente non vorrebbero frequentare nessuno ed evitano tutti i conoscenti per il timore di dover affrontare un discorso. Alcuni vorrebbero restare a letto tutto il giorno per sottrarsi a qualsiasi dovere. Altri riescono invece, nonostante i disturbi vivamente percepiti, a controllarsi esteriormente al punto da non far accorgere di nulla l’ambiente sociale più esterno. Una volta iniziato a lamentarsi con tale ambiente, vengono ritenuti inevitabilmente nient’altro che malati immaginari. Questo giudizio appare ai profani maggiormente giustificato quando, come non raramente accade, vi sono singoli sintomi dello stadio di eccitazione che temporaneamente si mischiano nella fase depressiva.
Esiste un sintomo particolarmente in contrasto con quell’apatia ed indifferenza denunciata dal malato: ovvero una spiccata tendenza e capacità di criticare. Questi pazienti vedono e notano tutto e sentono, al contrario dei veri melancolici, mille piccole cose come inopportune e fastidiose. Si lamentano di imperfezioni nell’arredamento della stanza di degenza, del cibo, del servizio, anche se non sempre senza motivo, ma ciò, in contrasto con l’indifferenza da loro lamentata nei confronti del mondo esterno.
Generalmente i pazienti percepiscono il loro stato come estremamente tormentoso e si impadronisce di loro un grande scoraggiamento e disperazione; credono fermamente che non guariranno mai, anche se hanno superato felicemente altri attacchi del genere, perché “così grave” secondo loro “non era mai stato!”
Abbattimento e tristezza che si riferiscono, si noti bene, sempre solo al loro stato e solo secondariamente si sviluppano da questo, di solito si esprimono con crisi inarrestabili di pianto, e ogni tanto vi si accompagnano anche stati di ansia.
Quasi in tutti i casi, anche lì, dove non ci si sarebbe aspettato, a causa dell’aspetto del paziente e del relativamente lieve grado di umore melancolico, ho potuto constatare una tendenza più o meno intensa verso pensieri suicidi, in tale estensione come non ho osservato in altre forme di malinconia. Questa tendenza non è da considerare sempre innocua, nemmeno nei casi lievi. Inoltre mi accorsi, che i malati si sentivano molto sollevati quando potevano esprimersi apertamente riguardo a questo sintomo così particolarmente doloroso.
Osservando questo stato viene in mente involontariamente il paragone con una macchina, nella quale si è prosciugato l’olio, così che gli ingranaggi si muovano solamente con fatica e difficoltà e si strofinino a vicenda fino a raggiungere il dolore.
In contrasto con questo, la macchina appare eccessivamente lubrificata nello stadio dell’eccitazione, funzionante al massimo, così che tutte le sue funzioni si adempiono con una facilità fuori dalla norma, e specialmente nei casi lievi (dei quali soprattutto parlo qui) senza che si osservi una rilevante deviazione qualitativa.
Kahlbaum ha definito questo stato, in contrapposizione alla distimia, come ipertimia, per il fatto che la Gemüthsstimmung elevata oltre la norma forma il sintomo fondamentale dal quale scaturiscono tutti gli altri.
Kraepelin usa l’espressione ipomania e coglie forse con questa, allo stesso modo di Schüle con la sua definizione della mania mitis e mitissima, le forme un po’ più marcate [di eccitazione NdT] le quali presentano con maggiore chiarezza le caratteristiche della nota folie raisonnante e della mania sine delirio.
In contrasto alla inibizione sentita precedentemente, il corso del pensiero è ora più veloce, la percezione di impressioni esterne è più immediata e più facile, così che il paziente appare più intelligente, più spiritoso e più divertente rispetto ai giorni di normalità.
Oltre all’aumentata capacità di criticare, si presenta ora addirittura, – come sintomo particolarmente evidente – che come già menzionato può manifestarsi anche nello stadio depressivo, una tendenza a criticare, che può diventare così forte, da essere sentita come molesta persino dal malato stesso. Questa si imprime spesso sul loro volto in una singolare espressione di derisione e di scherno.
L’elevata vivacità mentale comporta nella maggioranza dei casi un’operosità irrequieta, ed un impulso all’attività che si sviluppa nelle più svariate direzioni.
Nello stesso tempo non è solo la resistenza dei pazienti, che appare maggiore rispetto ai giorni di normalità, ma anche le loro capacità sono decisamente incrementate in svariate direzioni. Molti, per esempio, che normalmente erano musicalmente poco dotati ed avevano una voce modesta, cantano ora, non solo particolarmente volentieri, bensì anche con una migliore intonazione della voce ed un’espressione più vivace, altri dimostrano nei lavori di cucito, e nel modo di vestirsi, una destrezza ed un gusto che precedentemente non possedevano. Altri ancora manifestano, insieme ad un intenso desiderio di scrivere, una dote letteraria a loro altrimenti estranea.
Tutte queste caratteristiche sono, come già accennavo, l’espressione dell’umore espansivo, che di regola investe il paziente improvvisamente. Egli, tutto a un tratto, vede la vita dal lato “roseo”, ma sente contemporaneamente anche il desiderio di fare partecipare gli altri alla sua gioia, di aiutare il suo prossimo e sviluppa una solerte attività che non raramente porta dei frutti sul piano della beneficenza e degli interessi umanitari.
Ha probabilmente a che fare con questo, un’osservazione che feci troppo spesso, per poterla definire una coincidenza, cioè che un gran numero di infermiere, in organizzazioni religiose o laiche, soffrono di ciclotimia di grado leggero.
Mentre il paziente si mostra non di rado di un’amabilità affascinante nei confronti degli estranei, amabilità che in certi casi porta leggeri tratti erotici, – uno dei miei pazienti, per esempio, si fidanzava ogni volta nella fase di eccitazione per poi rompere il fidanzamento sempre nella conseguente fase depressiva – spesso a casa o in ambiente diventato familiare (come in clinica) prende il sopravvento l’irritabilità contemporaneamente presente. Questa irritabilità si manifesta con una sorprendente intolleranza, accompagnata dalla tendenza a creare disaccordi, a complottare, minacciare e comandare, così che molti di questi pazienti diventano degli ospiti sgradevoli.
Appare completamente comprensibile che questo stato, quando è appena accennato, non venga riconosciuto dall’ambiente circostante e venga considerato come piena salute mentale. Laddove però questo stesso stato si sviluppi ulteriormente e diventi più completo, appaiono una serie di sintomi così marcati, che, anche per il profano, non sussiste più il dubbio dell’esistenza di una malattia: compulsione a comprare e dissipare denaro, tendenza a compiere scherzi esaltati ed azioni eclatanti (azioni che il malato sa difendere come “naturali” con l’aiuto di una grande dialettica), una autostima abnormemente elevata, che tende a voler mettere in risalto la propria persona, una vanità esageratamente messa in mostra (per esempio di portare onorificenze in occasioni inadeguate fino addirittura all’appropriazione illegale di titoli).
Mi è capitato varie volte di osservare pazienti con uno stadio di eccitazione ciclotimica così intenso da essere stati ritenuti, da profani o anche da medici, come dei paralitici [affetti da paralisi progressiva luetica NdT]. Questo errore appare ancor più comprensibile se ricordiamo il fatto che – come stigma dell’incidenza ereditaria – in molti dei nostri pazienti sussiste, benché spesso solo leggermente accennato, un “difetto morale” con tendenza alla menzogna, al bere, a frequentare ambigue compagnie, etc.
Nella maggior parte dei casi, però, mantengono una grande capacità di controllo verso l’esterno e conservano una piena ragionevolezza, così che anche in casi gravi, per un estraneo, è difficile la corretta valutazione di questo stato.
Per il medico specialista in materia, è naturalmente possibile, in molti casi, fare una diagnosi di ciclotimia sia nello stato depressivo come in quello di esaltazione anche senza conoscere la storia della malattia del paziente.
Anche Kraepelin ha fatto la stessa osservazione, sbagliando la diagnosi solo raramente come lui stesso asserisce (p. 645).
Dei sintomi somatici che accompagnano la ciclotimia risaltano, nello stadio depressivo, prescindendo da frequenti cefalee, una sensazione di compressione nella testa e nel torace, una sensazione di vuoto nella testa, uno stato generale di debolezza e di fiacchezza e soprattutto si nota un afflosciamento e un decadimento dei tratti del viso, che spesso non dipende solamente dal contemporaneo dimagrimento.
In particolare, i capelli diventano flosci e perdono lucentezza, le punte dei baffi pendono verso il basso mentre con l’inizio dello stadio di eccitazione sia i tratti del viso che il portamento tornano tonici ed espressivi (ho già menzionato sopra il tratto critico) e i baffi – contemporaneamente alla ritrovata attenzione per la cura del corpo e la toilette – riassumono la posizione naturale con le punte rivolte verso l’alto.
In due dei miei pazienti era questo sintomo ad indicarmi con infallibile certezza, come uno stereotipo, l’inizio dello stadio di eccitazione.
In generale è caratteristico che le singole fasi della malattia si introducano spesso attraverso gli stessi apparentemente piccoli sintomi, così che dal loro riapparire si possa, già qualche tempo prima, riconoscere e prevedere l’arrivo del viraggio della situazione.
Il sonno si svolge diversamente nei due stadi. Molti dei malati in fase depressiva sono affetti da una vera e propria dipendenza dal sonno, altri, particolarmente coloro che sono afflitti da stati d’ansia, soffrono di insonnia. Lo stesso vale per i periodi di eccitazione nei quali certi pazienti presentano un facile svolgimento di tutte le funzioni vegetative (appetito e digestione) ed hanno un sonno eccellente, mentre altri passano le notti quasi insonni a causa di irrequietezza e di una spinta all’iperattività, oppure si svegliano nelle prime ore del mattino, senza però avvertire alcuna stanchezza.
La durata dei singoli periodi è estremamente variabile. In singoli – più rari – casi, depressione e eccitazione si alternano di giorno in giorno, in altri, ogni singolo stadio dura molti mesi – o addirittura anni; in certi casi i singoli periodi hanno sempre la stessa durata, in altri ancora, non sussiste nessuna regolarità; talvolta per anni vi sono nello stesso caso solo stadi depressivi, e poi si riafferma l’esaltazione.
Anche nella ciclotimia si insinua quasi sempre, fra i due stadi, un intervallo di durata variabile. Di particolare importanza è il fatto che, all’interno dei lunghi periodi, si mostrano, non di rado, piccole oscillazioni giornaliere dell’umore. In particolare, sono caratteristici i miglioramenti serali dell’umore durante la depressione.
Vi sono però anche casi, sui quali Kraepelin attira particolarmente l’attenzione, nei quali temporaneamente “le manifestazioni depressive e quelle di eccitazione, si mescolano in modo indistinguibile, nei quali i singoli sintomi dei diversi stadi compaiono contemporaneamente l’uno accanto all’altro”.
Casi del genere non sono naturalmente sempre facili da interpretare, ma, con un’osservazione adeguatamente lunga, si arriverà sempre alla giusta diagnosi, perché i sintomi della nostra malattia sono così caratteristici in entrambi gli stadi, da non poter essere equivocati se si ha sufficiente esperienza e, anche perché, le singole fasi tendono comunque a riapparire di tanto in tanto nella loro forma pura.
Diagnosi differenziale
Quando si ha l’occasione di osservare entrambi gli stadi della malattia in un paziente, non vi è praticamente possibilità di sbagliare la diagnosi. Nel caso in cui si vede il paziente solo nello stadio depressivo, e i dati anamnestici non offrono chiarimenti, dovremmo porci la domanda se si tratti di una Melancolia genuina, una Melancolia Iniziale [inizio di un disturbo psicotico NdT], oppure dello stadio depressivo della ciclotimia. A favore della ciclotimia, parla “il più forte manifestarsi dell’inibizione paragonata all’umore triste e ansioso del melancolico” (Kraepelin p. 581), la mancanza di idee deliranti, in particolar modo quelle di carattere persecutorio e di colpa, inoltre l’esordio improvviso, senza preavvisi, come è caratteristico della Melancolia comune, il sonno eccessivo osservato in molti pazienti, mentre i pazienti affetti da Melancolia genuina dormono sempre male (Kraepelin p. 575), e ancora l’età giovanile di esordio del disturbo, e ancora “il rapido e benigno decorso del singolo attacco, ma soprattutto, il manifestarsi di sintomi maniacali, sia in accenni passeggeri, sia in episodi franchi”. Come tali si intendono le sopra citate forti remissioni serali ed il subentrare di leggere eccitazioni, e soprattutto il bisogno di criticare durante la depressione. Particolarmente caratteristica è, inoltre, in certi casi, la sorprendente tendenza al suicidio.
È stato sopra accennato come, occasionalmente, la ciclotimia venga diagnosticata come Dementia paralitica. Anche quest’ultima presenta uno stadio prodromico melancolico con vaghi sintomi depressivi. A questi però si aggiungono molto presto le caratteristiche manifestazioni di debolezza e incapacità di critica, completamente in contrasto con la ciclotimia. Allo stesso modo si manifestano chiaramente questi sintomi nello stadio di eccitazione della paralisi progressiva.
I casi lievi di ciclotimia con modica eccitazione vengono non raramente scambiati per isteria, specialmente quando i singoli stadi si susseguono rapidamente ed in alternanza irregolare, o addirittura si mescolano.
Si pensa, in questi casi, di trovarsi davanti agli immotivati cambi di umore degli isterici, e si scambiano le leggere carenze morali, e specialmente i tratti erotici, per segni specifici di questa malattia, in accordo alla sempre diffusa falsa visione della reale essenza dell’isteria.
La mancanza completa dei sintomi cardinali dell’isteria, ovvero le anestesie, i crampi, le paralisi, l’aumento della suggestionabilità, etc. fornisce un facile chiarimento sulla diagnosi.
Lo scambio dello stadio depressivo della ciclotimia con la Nevrasthenia, può avvenire in casi poco marcati.
Nella maggior parte dei casi, i sintomi psichici del nostro disturbo predominano così fortemente nella loro particolarità, che la diagnosi appare presto evidente.
La presenza di idee ossessive e di fobie indica sempre la nevrastenia.
Particolarmente decisivo per la ciclotimia è, naturalmente, la periodicità, o ancor più il decorso circolare.
Quando Loewenfeld nel suo noto manuale, sotto il nome di “nevrasthenia ereditaria”, tratta una forma periodica di questa malattia, vi è secondo me, uno scambio con la ciclotimia, tanto più che la Etiologia della ciclotimia è, quasi senza eccezioni, da ricondurre ad un fattore ereditario.
Se parallelamente, come cerca di dimostrare Lange nel suo trattato, abbia anche un ruolo la diatesi urica, non sono ancora in grado di decidere per il fatto che le mie osservazioni non si erano rivolte in questa direzione fino ad ora.
Di alcuni dei casi da me trattati, so comunque casualmente che erano affetti da gotta (ereditaria) e coliche renali. Naturalmente farò in seguito particolare attenzione a questo fatto.
Come è noto alcuni autori francesi presentano la diatesi urica come una delle più frequenti cause della Nevrastenia. Sarebbe possibile, riguardo al già menzionato scambio frequente degli stati di depressione ciclotimica con la Nevrastenia, che nei casi osservati sia avvenuto un tale errore. La teoria di Lange acquisirebbe nuovo credito attraverso questa supposizione.
Per quel che riguarda la Prognosi della ciclotimia, ritengo che non sia completamente sfavorevole. In primo luogo avvengono (come anche nelle altre forme cicliche) remissioni che durano decenni. Ma soprattutto riesce non raramente, secondo la mia esperienza, a diminuire l’intensità degli attacchi attraverso un trattamento mirato.
Di particolare importanza prognostica è naturalmente il dato di fatto che si possa escludere con certezza l’esito in indementimento.
Trattamento
È già stato evidenziato sopra che solo una minima parte dei nostri pazienti si trovi ricoverata in ospedali chiusi. Solo i casi veramente gravi, che mostrano una marcata tendenza al suicidio, oppure stadi di eccitazione tendenti a gravi eccessi, dovranno essere affidati all’ospedale psichiatrico.
Dato però il fatto che i pazienti reagiscono, irritati dalla costrizione, con eccessi ancor maggiori, è consigliato concedere loro possibilmente un trattamento in uno stato di libertà, e non trattenerli troppo a lungo. Gran parte dei ciclotimici trova accoglienza nelle strutture private per malati di nervi; la grande maggioranza cerca il trattamento in consultazioni psichiatriche. Come già menzionato, gli ammalati, nello stadio depressivo, cercano in primo luogo aiuto medico.
Secondo la mia esperienza non è benefico per il decorso e per l’esito generale, il tentativo di accorciare la durata dello stadio depressivo, attraverso il cosiddetto strappare il malato dal suo stato. La conseguenza di un tale procedimento è solamente quella di una più forte spinta verso l’esaltazione. Proprio la maggior possibile limitazione di quest’ultima (l’eccitazione) ritengo sia il compito principale del trattamento.
A questo scopo si dovrebbe usare lo stadio depressivo per informare il malato riguardo alla vera essenza del suo disturbo. In questo modo si mette il paziente nella condizione di controllarsi meglio già all’inizio dello stadio di esaltazione, così da poter poi reprimere l’eccitazione.
In altri casi è chiaro che il paziente, liberato dalla morsa della depressione, voglia ora godersi la vita, ed ho osservato abbastanza spesso, come medici e parenti lo abbiano, a suo discapito, vivamente sostenuto in questo.
Nello stadio di esaltazione si dovrebbe cercare di proteggere con tatto il malato da un ulteriore aggravarsi dell’eccitazione, circondandolo della maggior quiete possibile, senza costrizioni, sgombrando il campo da tutti gli stimoli provenienti dall’esterno, e attraverso conversazioni amichevoli.
In questo modo si influenzerà favorevolmente il decorso generale, e si otterranno risultati relativamente soddisfacenti.
Attraverso una metodica cura a base di oppio nella depressione, la galvanizzazione del Simpatico, e bagni tiepidi in entrambi gli stadi, è possibile rinforzare il trattamento in modo efficace.
Anche attraverso l’impiego dell’ipnosi ho a volte riscontrato un effetto benefico su sintomi singoli particolarmente dolorosi in casi di depressioni lievi.
Ewald Hecker, “Die Cyclothymie, eine circuläre Gemüthserkrankung”
in Zeitschrift für praktische Aerzte, n.7 (1898).
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Regolare e metodico, originale e sfrenato
Sabato 22 settembre 2012 • Post di Mariano Tomatis
Nella vita sii regolare e metodico come un borghese, così potrai essere originale e sfrenato nella tua opera.(1)
Gustave Flaubert
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(1) «Soyez régulier et ordonné dans votre vie comme un bourgeois, ainsi vous pourrez être emporté et original dans votre œuvre.» Ringrazio per la segnalazione Davide Cotugno (già curatore di uno dei blog più divertenti della rete) che si è imbattuto nella citazione leggendo la biografia dei Radiohead.
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La tragica barzelletta di Rorschach
Lunedì 17 settembre 2012 • Post di Mariano Tomatis
La poesia di Juan de Dios Peza "Ridere piangendo" ha ispirato ad Alan Moore il testo di una barzelletta raccontata da Rorschach nelle pagine di Watchmen e nell'omonimo film:
Un uomo va dal dottore. Gli dice che è depresso, che la vita gli sembra dura e crudele. Gli dice che si sente solo in un mondo minaccioso.
Il dottore dice: «La cura è semplice. Il grande clown Pagliacci è in città. Lo vada a vedere. Lo dovrebbe tirar su.»
L'uomo scoppia in lacrime. «Ma dottore,» dice, «Pagliacci sono io.»
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Impersonators di Nicolas Silberfaden
Giovedì 13 settembre 2012 • Post di Mariano Tomatis
E se i grandi personaggi fossero ciclotimici?
Nicolas Silberfaden ha provato a immaginare il loro aspetto nelle fasi basse: si tratta del curioso progetto fotografico Impersonators.
Indiana Jones nelle due fasi.
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Martedì 11 settembre 2012 • Post di Anaïs Nin
Ogni creazione ha origine in qualcosa che straripa, dunque devi predisporti a ricevere, assorbire e nutrirti di pienezza, senza averne timore. La pienezza è come un’onda della marea che ti porta con sé, conducendoti all’esperienza e alla scrittura. Concediti di fluire e straripare.
Tutto nasce sempre da un eccesso: la grande arte è nata da grandi terrori, grandi solitudini, grandi inibizioni, instabilità, e ogni volta le ha sapute equilibrare.
Anaïs Nin, “Diary 1944-1947” (Vol. 4).
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Mercoledì 5 settembre 2012 • Post di Juan de Dios Peza
Ammirando Garrick, attor d’Inghilterra,
la gente al applaudirlo gli dicea:
«Sei il più bello della terra
e il più felice…»
E il comico ridea.
I gran lord che di spleen si tormentavan
nelle loro più grevi e oscur nottate,
a veder il re degli attori se n’andavan,
per barattar lo spleen colle risate.
Una volta, da un gran medico,
un tal si presentò collo sguardo squallido:
«Soffro – gli disse - d’un mal tan terrifico
come questo volto mio così pallido.
«Nulla più m’incanta o mi sta attraendo;
non penso al buon nome né alla mia sorte,
in un eterno spleen, da vivo sto già morendo,
e la mia unica speranza sta nella morte».
«Viaggi e si distragga.»
«Ho viaggiato tanto!»
«Si dia alle letture.»
«Ho letto tanto!»
«Ami una donna.»
«Sì son amato!»
«Acquisti un titolo.»
«Già nobile son nato!»
«Sarà forse povero?»
«Ho fortuna.»
«Le gustassero le lusinghe?»
«Ne ascolto tante!»
«Qual è la sua famiglia?»
«Le mie tristezze.»
«Visita il camposanto?»
«Tanto… tanto…»
«La vostra vita nutre di pubblica ammirazione?»
«Sì, ma non mi faccio metter in soggezione;
sol pei morti ho vera affezione;
che i vivi son la mia tribolazione.»
«Il vostro mal mi causa tentennamento
– aggiunse il medico – ma senza paura
segua questo mio suggerimento:
ammirar Garrick sarà la sua cura.»
«Garrick?»
«Sì, Garrick… la più triste
e austera società lo cerca ansiosa;
chi lo vede si spancia in risate mai viste:
c’ha il dono d’una grazia artistica meravigliosa.»
«E farà ridere anche me?»
«Ah! Sì, ve lo giuro
egli, e nulla più, ma… perché ancor afflizione?»
«Così – dice il paziente – di certo non mi curo
Garrick son io!… Dottor, mi cambi prescrizione.»
Quanti ce ne sono che stanchi di vivere
morti di noia, malati di depressione,
come l’attor suicida gli altri fan ridere,
senza mai, pel suo stesso mal, trovar soluzione!
Ahi! Quante volte ridere è un piangere ancora!
Nessuno confidi dell’allegria nel riso,
perché negli esseri che il dolor divora,
l’anima soffre mentre ride il viso!
Se muore la fede, se fugge la calma,
se solo mestizia nel cammino è incontrata,
sale su al volto la tempesta dell’alma,
e scoppia in un lampo triste: la risata.
Il carneval del mondo inganna tanto,
che le nostre vite son brevi mascherate;
qui apprendiamo a rider col pianto,
e a piangere pure colle risate.
Juan de Dios Peza (1852-1911) • Traduzione di Rodolfo de Matteis.
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Quando la ciclotimia colpisce gli illustratori
Martedì 4 settembre 2012 • Post di Mariano Tomatis
Sul blog "Roba da disegnatori" lo scrittore Davide Cali racconta i risvolti della ciclotimia sull’attività creativa degli illustratori. Notevoli i disegni di Gemma Correll (vedi il suo sito) che lo illustrano.
"Il ciclo infinito del turbamento creativo" dell’artista inglese illustra una dinamica ben nota ai frequentatori di questo blog:
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Sabato 1 settembre 2012 • Post di Mariano Tomatis
Molte volte, in terra, si ha la sensazione di stare nell’inferno. Tuttavia, a volte, si ha anche la sensazione di trovarsi in paradiso. Credo che nell’esperienza di ogni uomo vi sia il ricordo dell’inferno e del cielo.
Jorge Luis Borges, “Cartografia di un destino” (2012), p. 54.
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