Mercoledì 20 giugno 2012 • Post di Thurgood Marshall
Io amo la pace, ma so
apprezzare una sommossa.(1)
Thurgood Marshall (1908-1993)
_________________
(1) «I love peace, but I adore a riot.»
Tweet |
Io amo la mia ciclotimia perché...
Venerdì 15 giugno 2012 • Post di Mariano Tomatis
Régis Blain è un autore francese che lavora come consulente per la comunicazione e ha scritto un libro sulla ciclotimia insieme allo psichiatra parigino Elie Hantouche.
Régis colleziona da anni testimonianze di ciclotimici che coltivano gli aspetti positivi del disturbo, e le pubblica regolarmente sul blog jaimemacyclothymieparceque.blogspot.it (“Io amo la mia ciclotimia perché…”)
Questo il suo contributo al notevole progetto:
Io amo la mia ciclotimia innanzitutto per la sua bellezza. La bellezza bifronte del dio Giano, che non risiede nelle sue linee armoniose, nei begli occhi azzurri e nei capelli biondi, ma nelle lacrime che si mescolano ai sorrisi. Baudelaire diceva che il bello ha sempre in sé qualcosa di bizzarro, e in tutto il suo spettro la ciclotimia offre tale strana bellezza. Chi vuole ridurre sorrisi euforici e lo spleen pieno di lacrime cerca solo di barare con la Natura, con la nostra natura ciclotimica.
Non vogliamo svuotare un temperamento che ci fa assaporare la vita nella sua complessità, nei suoi colori ricchi e contrastati, nei suoi sentieri tortuosi e insidiosi, molto più belli e selvaggi delle autostrade dell'ipertimia e degli oscuri binari della depressione. Noi non riusciamo a ridere senza conoscere il pianto, né viceversa. Una vita stabilmente ipertimica o depressiva è forse una vita monca. C'è un prezzo da pagare, una sofferenza che ci aiuta a diventare più umili ed espiare l'arroganza di cui a volte ci macchiamo. Ci capita di essere così arroganti, così pigri, egoisti e ingrati che la nostra natura fa ciclicamente qualcosa per correggerci.
Tweet |
Giovedì 14 giugno 2012 • Post di Mariano Tomatis
Six Feet Under è una serie televisiva di grande successo andata in onda tra il 2001 e il 2005. Scritta da Alan Ball, già sceneggiatore del film premio Oscar American Beauty, è incentrata sulla morte (deve il titolo alla profondità a cui vengono sepolte le bare) e segue le vicende di una famiglia di impresari funebri. La serie prende l’avvio dalla morte di Nathaniel Fisher, raccontando tormenti e difficoltà dei suoi famigliari e dei rispettivi compagni senza rinunciare a notevoli dosi di humor nero e tematiche surreali.
Billy Chenowith, uno dei protagonisti, soffre di un severo disturbo bipolare, una patologia di cui la ciclotimia è una forma leggera. Data la notevole accuratezza con cui vengono tratteggiati i vari personaggi, le conseguenze del disturbo sulla vita di Billy e di chi gli sta vicino sono presentate con un buon livello di dettaglio e nella loro complessità - seppure con qualche cliché qui ben analizzato.
In Six Feet Under sono un motivo ricorrente i dialoghi immaginari tra i personaggi e i defunti. Come scrive il mio amico Lenny nella sua bella recensione:
I trapassati sono […] la coscienza di chi è rimasto, una voce disincantata, spesso feroce, quasi luciferina, con cui discorrere, litigare, confrontarsi, da cui sentirsi redarguire senza pietà. L’aldilà porta con sè uno stato di illuminazione che non è la pace interiore, ma solo fredda obiettività. In Six feet under non esistono Paradiso e Inferno, ma solo un mondo parallelo ed egualitario in cui finalmente si accetta ogni aspetto dell’esistenza umana, a dispetto dei tentennamenti dei vivi.
In uno dei dialoghi più disarmanti e intensi dell’intera serie(1), David Fisher immagina di incontrare il padre Nathaniel sul balcone di casa, mentre fuori piove. David è vivo ma tormentato, e il padre - defunto da tempo - cerca di scuoterlo riportandolo alla realtà.
Nathaniel: Ti sfugge la cosa importante.
David: La cosa importante è che niente è importante. Ho ragione?
Nathaniel: Non propinarmi stronzate finto-esistenziali. Da te mi aspetto il meglio. La cosa importante ce l’hai davanti al naso.
David: Mi dispiace ma non vedo proprio niente.
Nathaniel: Non sei riconoscente, allora.
David: Riconoscente? Per l’esperienza più atroce di tutta la mia vita?
Nathaniel: Ti aggrappi al dolore come se significasse qualcosa, come se valesse qualcosa. Non vale un cazzo. Liberatene. Ha milioni di possibilità e riesce solo a lamentarsi…
David: Va bene, che cosa devo fare?
Nathaniel: Tu che dici? Puoi fare quello che ti pare, somaro: sei ancora vivo! Che cos’è in confronto un po’ di dolore?
David: Non può essere così semplice.
Nathaniel: E se invece lo fosse?(2)
_________________
(1) "La fine del mondo", Six feet under 4x12.
(2) Nathaniel: You’re missing the point. / David: There is not point, that’s the point. Isn’t it? / Nathaniel: Don’t give me this phoney existential bullshit. I expect better from you. The point is right in front of your face. / David: Well, I’m sorry but I don’t see it. / Nathaniel: You’re not even grateful are you? / David: Grateful? For the worst fucking experience of my life? / Nathaniel: You hang onto your pain like it means something, like it’s worth something. Well, let me tell you, it’s not worth shit. Let it go. Infinite possibilities and all he can do is whine. / David: What am I supposed to do? / Nathaniel: What you do think? You can do anything, you lucky bastard. You’re alive! What’s a little pain compared to that? / David: It can’t be so simple. / Nathaniel: What if it is?
Tweet |
Insicurezza, un tratto prezioso per la creatività
Martedì 12 giugno 2012 • Post di Mariano Tomatis
L’immagine che compare sulla copertina del mio libro Numeri assassini è ispirata a un disegno di Christoph Niemann, designer statunitense che cura un originale blog sul New York Times.
A sinistra la copertina di Numeri assassini (2011). - A destra la grafica di Christoph Niemann.
In una recente intervista Niemann identifica nell’insicurezza un tratto prezioso per la creatività:
Sono piuttosto ossessionato dal modo in cui i miei lettori giudicheranno quello che faccio: che esperienza ne faranno? riusciranno a "connettersi" con le mie creazioni? percepiranno in modo chiaro il mio universo visuale? Ci penso davvero molto, e ritengo che una certa dose di insicurezza sia un tratto molto utile per qualsiasi designer, perché ti offre una particolare apertura nel relazionarti ai lettori.
Niemann ha un tocco grafico minimale, che condensa complicati processi quotidiani in pochi tratti essenziali. Chi ha il sonno disturbato troverà illuminante (e irresistibile) questo post illustrato dove sono presi in esame - in modo ironico ma incredibilmente preciso - piaceri e dispiaceri del riposo notturno.
Ecco un estratto del suo grafico che traccia l’andamento dell’agonia con il trascorrere del tempo:
Christoph Niemann, «Good night and tough luck», “Abstract Sunday”, New York Times Blog, 14.09.2009.
Tweet |
Lunedì 11 giugno 2012 • Post di Mariano Tomatis
C’è una crepa in ogni cosa.
È da lì che entra la luce.(1)
Leonard Cohen “Anthem” «The Future» (1992)
_________________
(1) «There is a crack in everything / That’s how the light gets in.»
Tweet |
L’arte provocatoria di Stella Marrs
Domenica 10 giugno 2012 • Post di Mariano Tomatis
Ieri Alain de Botton proponeva una "gioiosa disperazione" come alternativa al pessimismo. Su tale apparente ossimoro si diverte da tempo Stella Marrs: provocatoria artista statunitense, Stella rielabora le rassicuranti immagini pubblicitarie degli Anni Cinquanta, accostandole a testi spiazzanti e dall’ironia sferzante. Molte delle sue opere sono diventate cartoline, in vendita sul suo sito personale.
Questa mi pare una buona espressione del cheerful despair di Alain de Botton:
Stiamo andando tutti all’inferno.
Stella Marrs
Tweet |
Sabato 9 giugno 2012 • Post di Mariano Tomatis
Alain de Botton è un autore da conoscere.
Beyond pessimism lies that far more fruitful mood: cheerful despair.
— Alain de Botton (@alaindebotton) Giugno 9, 2012
Al di là del pessimismo c’è un’attitudine
ben più fertile: una gioiosa disperazione.
Alain de Botton, tweet del 9 giugno 2012.
Tweet |
Venerdì 8 giugno 2012 • Post di Mariano Tomatis
Il 24 marzo 1973 i Pink Floyd pubblicarono The Dark Side of the Moon, uno degli album di maggior successo di tutti i tempi.
Il disco era il risultato di un perfetto equilibrio tra la sperimentazione musicale e la riflessione filosofica, centrate entrambe sulla metafora che dava titolo all’opera: il “lato oscuro della luna” come immagine del disturbo mentale - già cara a Ludovico Ariosto nel suo Orlando furioso (1532).
Per sonorità e versi, l’album si coniuga bene con l’attitudine ciclotimica - in particolare nelle vette e negli abissi dell’assolo di Clare Torry The Great Gig In The Sky, ma anche nella avvolgente Breathe (reprise):
Home, home again!
I like to be here when I can.
When I come home cold and tired
it’s good to warm my bones beside the fire.
Far away across the field
the tolling of the iron bell
calls the faithfull to their knees
to hear the softly spoken magic spells.
Il brevissimo pezzo musicale, variazione e ripresa di una traccia precedente, cerca invano una stabilità tra le tonalità maggiore e minore, descrivendo la calda e piacevole sensazione del ritorno tra le mura domestiche, mentre una campana lontana chiama a raccolta i fedeli.
Image by Gustave Doré in Lodovico Ariosto «Roland Furieux» Librairie Hachette, Paris (1879).
Tweet |
Domenica 3 giugno 2012 • Post di Mewlana Jalaluddin Rumi
L'essere umano è come una locanda,
ogni mattina arriva qualcuno di nuovo.
Una gioia, una depressione, una meschinità,
qualche momento di consapevolezza arriva di tanto in tanto,
come un visitatore inatteso.
Dai il benvenuto a tutti, intrattienili tutti!
Anche se è una folla di dispiaceri
che devasta violenta la casa
spogliandola di tutto il mobilio,
lo stesso, tratta ogni ospite con onore:
potrebbe darsi che ti stia liberando
in vista di nuovi piaceri.
Ai pensieri tetri, alla vergogna, alla malizia,
vai incontro sulla porta ridendo,
e invitali a entrare.
Sii grato per tutto quel che arriva,
perché ogni cosa è stata mandata
come guida dell'aldilà.(1)
Mewlana Jalaluddin Rumi (1207-1273)
_________________
(1) Segnalata da Annarita Eva.
Tweet |