Che lo si voglia o no, il senso francese del teatro e della grandezza (e un pochino della pacchianeria) ha dato il meglio nella cerimonia inaugurale dei Giochi Olimpici a Parigi: però, l’Ultima Cena queer e la versione metal di Ah, ça Ira! hanno anche suscitato un pensiero pericoloso. Non quello che ha fatto inorridire Salvini, che anzi è un punto a favore, ma questo: cosa sarebbe successo se le Olimpiadi si fossero svolte a Roma? Beh, un certo gusto per lo spettacolo esisteva anche da queste parti.
Ce lo ricorda un prezioso libretto di Mariano Tomatis, illusionista e storico dell’illusionismo, che in Il museo dell’oltretomba riporta il diario del pittore francese Jean Baptiste Thomas, che soggiornò nella capitale nel 1817. Ebbe dunque modo di assistere a una singolare rappresentazione che si teneva il 2 novembre vicino al cimitero di Santo Spirito in Sassia. Si chiamava il Giudizio Universale: al centro della scena, un grande angelo di cera suonava la tromba per svegliare i morti, che prontamente venivano fatti uscire dalle botole: erano cadaveri veri di persone povere che nessuno reclamava e che si erano spenti il giorno prima nel vicino ospedale.
Ora, i tempi attuali non permetterebbero di replicare, né sarebbe auspicabile (anche se il cavaliere dell’Apocalisse sulla Senna era altrettanto inquietante). Dunque, cosa avremmo inventato? Di certo, nessuno con un briciolo di buon senso avrebbe affidato a Daniela Santanché l’ideazione della cerimonia di apertura dopo la tragicomica campagna Open to meraviglia con la Venere di Botticelli influencer e con i nomi di città e paesi tradotti sul portale in tedesco letterale: così Camerino divenne gloriosamente Garderobe. Ce la saremmo cavata con Dante e Manzoni? Avremmo richiamato Dustin Hoffmann per sbagliare l’Infinito di Leopardi come nello spot della Regione Marche (1,7 milioni di euro, fondi della comunità europea per la promozione dei territori)? La sensazione è che saremmo andati sul sicuro, e avremmo usato le mamme. Anzi, lo abbiamo già fatto esattamente dodici anni fa, nel pieno delle Olimpiadi di Londra. Prima ancora c’erano stati gli Europei 2012, con un doppio gol di Mario Balotelli alla Germania e l’abbraccio del medesimo alla mamma. Quasi contemporaneamente c’era stato lo spot olimpico di Procter&Gamble, protagoniste quattro madri che crescono i figli fino a portarli alla medaglia d’oro, piangendo di commozione. Tutti impazzirono per le mamme, allora, e i siti giornalistici erano pieni di fotografie dove personaggi famosi baciavano e stringevano la propria. Conterebbe poco il fatto che le madri italiane abbiano una valanga di problemi: dall’assenza di servizi alla svalutazione professionale e pure psicologica, perché c’è sempre qualche personaggio che in televisione o sui social mette sull’avviso contro il plusmaterno e l’invadenza delle genitrici che soffocano i figli. Sono fra l’incudine e il martello, le mamme italiane: ma sono sempre utilissime, alla bisogna. Per questo, la cosa preziosa di oggi è Come una foglia, con Donna Haraway in conversazione con Thyrza Nichols Goodeve (Tlon, traduzione di Gina Maneri), dove si discute di altri modelli di relazione che non vivono necessariamente all’interno della famiglia, e che generano solidarietà e amore prescindendo dalla parentela. Un po’ difficile da infilare in uno spot, ma per fortuna le Olimpiadi non sono a Roma.
Jean Baptiste Thomas, “Rappresentazione di scene religiose”, planche 64 in Un an a Rome et dans ses environs, Firmin Didot, Parigi 1823.
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