Incantamenta Romana è un invito a scoprire la città di Roma attraverso un dedalo di incantagioni e suggestioni mentalistiche, nell’ottica di una deriva sulle tracce di storie dimenticate e sconcertanti: la raccolta degli appunti di viaggio dell’illusionista e scrittore Mariano Tomatis, stilati nell’ambito del Progetto Mesmer.
Protagonista della quinta puntata è il Museo delle anime del Purgatorio, una minuscola (e sorprendente) collezione di oggetti impossibili che proverebbero l’esistenza del Purgatorio e la possibilità – da parte delle anime purganti – di mettersi in contatto con chi è ancora in vita.
La letteratura gotica è piena di giochi di prestigio che scappano di mano. Nel racconto “La Tête de mort” (1812), Friedrich A. Schulze racconta la disavventura del prestigiatore tedesco Calzolaro (1) : il finto necromante fa parlare una testa di morto con un trucco, quando all’improvviso il teschio prende vita davvero.
In un cimitero adiacente alla Città del Vaticano, ripetute evocazioni illusionistiche a scopo devozionale provocarono una risposta da parte dei morti; la manifestazione – l’impronta infuocata di un viso sul muro di una chiesa – colpì così tanto un sacerdote francese da ispirargli la creazione di uno spazio museale unico al mondo (e ancora accessibile): il “Museo cristiano d’Oltretomba”.
Oltre ad ammirare il Giudizio Universale di Michelangelo, chi visita Roma all’inizio dell’Ottocento può prendere parte alla sua versione live – ma forse “live” non è la parola giusta. E non solo perché lo spettacolo va in scena nel giorno dei morti. Il 2 novembre il grande spiazzo del Cimitero del Santo Spirito viene recintato e il pubblico si assiepa intorno alle transenne di legno coperte di stoffa scura. Sul lato nord della struttura incombono i grandi bastioni di Santo Spirito: lassù ci sono i giardini di villa Barberini al Gianicolo. L’impianto geometrico del terreno desta meraviglia: dieci file di dieci lapidi coprono cento fosse a formare un quadrato perfetto. L’eleganza cartesiana della disposizione contrasta con la scena allestita tra le tombe: al centro dello spiazzo, un angelo in volo suona la tromba dell’apocalisse; a quel segnale, i morti escono dalle fosse scostando le lapidi e aggrappandosi con le unghie al terreno. Il tutto è visibile come in un fermo immagine tridimensionale, tra pozze di sangue e cadaveri freschi. La scena è iperreale perché l’unico elemento di finzione è la statua di cera di un angelo sostenuto da un robusto fil di ferro; il resto è drammaticamente autentico – dai corpi senza vita al sangue, sparso dappertutto a rendere lugubre la scena.
Lo spettacolo impressiona in modo particolare un pittore francese: vincitore del “premio di Roma”, dal 1° gennaio 1817 Jean Baptiste Thomas (1791-1834) è ospite di Villa Medici a spese dell’Accademia francese. Da mesi percorre la capitale in lungo e in largo in cerca di vedute memorabili: lavora a un diario illustrato che pubblicherà qualche anno dopo, lasciando una testimonianza visiva unica della vita romana di inizio Ottocento. Un anno a Roma e dintorni (1823) raccoglie in ordine cronologico i ritratti di settantadue avvenimenti tradizionali di ciascuna stagione, dalle celebrazioni di Capodanno alla distribuzione dei regali da parte della Befana in occasione del Natale. Il 2 novembre Thomas ritrae il lugubre Giudizio Universale che va in scena a poche centinaia di metri dall’affresco della Cappella Sistina. Eretto nel 1745 su progetto di Ferdinando Fuga (1699-1782), il cimitero di Santo Spirito ha i muri interni affrescati con le quindici stazioni della Via Crucis. Il pittore descrive l’uso promiscuo del luogo, che una volta all’anno diventa un teatro a cielo aperto dove sono rappresentate scene bibliche o tratte dalle vite dei santi, quasi sempre legate al tema della morte. Spesso ad andare in scena è il martirio di una santa – ed è il verismo della rievocazione a renderla memorabile:
Per creare l’illusione, il sangue che scorre a fiumi non manca mai né le sciabole e le asce grondanti di rosso. (2)
Quando il meteo non è favorevole, le rappresentazioni avvengono al chiuso, in una cappella dell’adiacente “chiesa della morte”. Thomas ritrae il luogo evidenziandone le decine di teschi, scheletri e ossa che ne decorano gli interni: bisogna avvicinarsi per accorgersi che quegli eleganti fregi sono frutto di un’abile disposizione di spoglie umane.
Jean Baptiste Thomas, “Chapelle de l’église de la mort”, planche 65 in Un an a Rome et dans ses environs, Firmin Didot, Parigi 1823.
Tutto intorno, alcune persone con tuniche nere e cappuccio a punta raccolgono le offerte per le anime del Purgatorio; il pittore ne ricorda la voce lugubre con cui pronunciano le parole “per i poveri morti”. (3)
Tra gli spettacoli offerti nella cappella, Thomas segnala la decapitazione di Giovanni Battista; è un gioco di prestigio antichissimo, rappresentato sin dal Cinquecento. Reginald Scot ne aveva scritto in The Discoverie of Witchcraft (1584) in un capitolo intitolato
Tagliare la testa di una persona, metterla su un piatto ecc. che gli illusionisti chiamano anche “la decapitazione di Giovanni Battista”. (4)
Una nota a margine ne documentava la rappresentazione il 24 agosto 1582 durante la Fiera di San Bartolomeo a Londra.
Reginald Scot, The Discoverie of Witchcraft, 1584.
Thomas lascia un’impressionante testimonianza visiva del Giudizio Universale del 1813 ritraendo, al centro della scena,
un piedistallo su cui erano dipinti i dannati in mezzo alle fiamme […] sormontato da un angelo di cera che reggeva la tromba che doveva risvegliare i morti. (5)
Jean Baptiste Thomas, “Représentations de Scènes religieuses”, planche 64 in Un an a Rome et dans ses environs, Firmin Didot, Parigi 1823.
Osservando la struttura con l’occhio dell’illusionista, mi chiedo quale funzione svolgesse l’ampio piedistallo decorato; forse nascondeva la persona incaricata di soffiare in un tubo: risalendo lungo il fil di ferro che teneva sospeso l’angelo, l’aria poteva attraversare la statua di cera e far squillare la tromba attraverso le labbra della figura. Lo stesso risultato si sarebbe ottenuto sfruttando un mantice, azionabile tramite una pedaliera come negli organi a canne.
Chi sono le persone che, uscendo dalle tombe intorno, rispondono allo squillo che annuncia il Giorno del Giudizio? Le risposte possibili sono tre e tutte precise.
1) Sono persone povere. Chi ha i soldi, dopo la morte ha a disposizione per le proprie spoglie mausolei personali e trova ospitalità nelle cripte delle chiese. Chi finisce qui non ha diritto al proprio nome sulla lapide: a mezzanotte il “beccamorto” scoperchia la fossa del giorno, vi cala i cadaveri che gli hanno consegnato, li ricopre di calce viva per accelerare il processo di decomposizione e ridurre i cattivi odori, poi sigilla il tutto; il giorno dopo si sposta sulla lapide successiva e così via per cento giorni, quando è giunto il momento di ripartire dalla prima.
2) Sono persone morte ieri nell’adiacente ospedale del Santo Spirito in Saxia, un’istituzione ormai millenaria, in attività dal lontano 727. Il cimitero funge da fossa comune per chi non ha destinazioni più nobili. Morire il 1° novembre implica prendere parte a quella messa in scena – e rimandare di un giorno il sonno eterno.
3) Sono le protagoniste di una rappresentazione apocalittica che illustra la cosiddetta “prima risurrezione”: dopo la morte, le persone più meritevoli tornano in vita a regnare con Cristo per mille anni. La data in cui è organizzata non è casuale; quell’anticipo su quanto avverrà alla fine dei tempi è in sintonia con il giorno in cui si svolge: secondo la tradizione, infatti, ogni 2 novembre le anime del Purgatorio tornano per consolare chi è rimasto e assistere alle celebrazioni a loro dedicate. Non tutti i morti, dunque. Quelli ormai in Paradiso hanno altro a cui pensare, rapiti come sono dalla beatitudine celeste. Sono le persone morte da poco quelle più bisognose di preghiere – e dunque più attive nella comunicazione con chi è ancora in vita. Le anime purganti stanno attraversando il fuoco purificatore, necessario per guadagnare loro l’accesso al Regno dei Cieli; preghiere e offerte in denaro da parte dei vivi sono un modo efficace di accelerare quel percorso.
Accanto all’angelo che suona la tromba, Thomas ritrae una cassetta per la raccolta delle elemosine con la scritta “Per le anime del Purgatorio”; negli altri giorni dell’anno, la stessa scatola si trova fuori dal cimitero, sulla strada che – passando sotto i bastioni – collega il camposanto all’ospedale.
Jean Baptiste Thomas, “Chemin du cimetière Saint-Esprit”, planche 63 in Un an a Rome et dans ses environs, Firmin Didot, Parigi 1823.
Lungo il cosiddetto “cammino del cimitero di Santo Spirito” si radunano persone
mendicanti, la maggior parte zoppe, che tra i lamenti chiedono l’elemosina a chi passa, assicurando che ogni donazione porterà alla redenzione di un’anima del Purgatorio. (6)
Pur celebrando la morte, il cimitero è un luogo pieno di vita, un crocevia di preghiere, elemosine, cura dei morti e illusioni teatrali a scopo devozionale; per funzionare, la complessa macchina può contare sul coordinamento di un collettivo: la Pia Unione della Beatissima Vergine del Santissimo Rosario per le Anime del Purgatorio. Il gruppo è composto da persone volontarie disposte – ogni sera dopo mezzanotte – ad accompagnare i defunti del giorno dall’ospedale Santo Spirito all’omonimo cimitero. Se tali compiti non fossero svolti gratuitamente, quei corpi verrebbero abbandonati senza il conforto di una sepoltura dignitosa.
La Pia Unione era nata quasi per caso il 28 dicembre 1775 quando, alle 10 di sera, cinque abitanti del rione Borgo si erano ritrovati davanti alla chiesa di Santo Spirito in Sassia. Decisi a compiere qualche atto di misericordia, ma incerti su cosa fare esattamente, avevano tirato a sorte un nome – e la persona indicata aveva deciso per tutti: recitiamo il rosario per le anime del Purgatorio dirigendoci verso il camposanto sotto i bastioni. Percorsi i trecento metri necessari, i cinque avevano trovato chiuso il cancello del cimitero e completato le orazioni restandone fuori. Nei giorni successivi il gruppo si era allargato ad altre persone, aveva ottenuto che il cancello restasse aperto e si era reso disponibile a collaborare con l’ospedale per le sepolture quotidiane. Il collettivo aveva poi scelto di intitolarsi alla Vergine del Rosario, la cui statua veniva portata in processione durante l’ottavario dei morti, una serie di pratiche di pietà che si protraeva per otto giorni a partire dal 2 novembre e includeva i vari spettacoli devozionali.
Reiterate per decenni, le evocazioni illusionistiche di trucidi martiri, teste decapitate e lapidi sollevate dai ritornanti finiscono un giorno per richiamare davvero gli spiriti purganti. Il 15 settembre 1897, mentre don Francesco Maria Victor Jouët (1839-1912) sta celebrando la messa nella cappella cimiteriale su cui veglia la Vergine del Rosario, scoppia un incendio. Domate le fiamme, i fedeli si accorgono che il fumo ha lasciato sulla parete l’immagine di un volto sofferente. La misteriosa impronta è considerata un messaggio dal Purgatorio e il sacerdote marsigliese si affretta a fotografare quella traccia di un’anima purgante: sa che il cimitero verrà demolito di lì a breve e con esso la chiesa della morte, la cappella della Vergine e il muro del miracolo.
Per la Chiesa, miracoli del genere capitano di continuo quando ci si rivolge in preghiera alle anime del Purgatorio: il fuoco è lo strumento con cui segnalano la loro presenza, toccando (e dunque bruciando leggermente) libri, pareti, vestiti e oggetti di ogni tipo. Se quella chiesetta è destinata a scomparire (verrà distrutta nel 1908 per lasciare spazio a un edificio della Pontificia Università Urbaniana), la missione di raccogliere – ed esporre alla devozione popolare – altre testimonianze dell’esistenza del Purgatorio può guardare verso i prati di San Pietro sul Lungotevere: oltre Castel Sant’Angelo, nel nuovissimo rione Prati, c’è un appezzamento di terra dove don Victor Jouët ha in programma di erigere una chiesa intitolata al Sacro Cuore del Suffragio.
Chiesa del Sacro Cuore del Suffragio, Roma.
Realizzato su un progetto di Giuseppe Gualandi, l’edificio neogotico sembra una versione in miniatura del Duomo di Milano e custodisce ancora oggi quello che don Jouët aveva chiamato “Museo cristiano d’Oltretomba” – poi rinominato “Museo delle anime del Purgatorio”. Entriamo dunque nella minuscola sacrestia in cui è ospitato, lasciandoci sedurre dalle atmosfere (neo)gotiche delle storie che schiude dinanzi ai nostri occhi. (continua)
La guida al museo sarà disponibile su un volume di prossima pubblicazione.
1. Friedrich A. Schulze, “La Tête de mort” in Fabio Camilletti (ed.), Fantasmagoriana, Nova Delphi 2015.
2. Jean Baptiste Thomas, Un an a Rome et dans ses environs, Firmin Didot, Parigi 1823, p. 41.
3. Thomas 1823, p. 42.
4. Reginald Scot, The Discoverie of Witchcraft, 1584, pp. 349-50.
5. Thomas 1823, p. 42.
6. Thomas 1823, p. 41.
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