Tutto ha inizio con un infortunio. Il 13 luglio 2014, mentre sta salendo sul Rocciamelone, lo scrittore Wu Ming 1 è costretto a fermarsi perché il ginocchio gli cede. Il problema lo costringe ad annullare svariati impegni, tra cui un’escursione letteraria sul monte Musinè in programma per il 21 settembre. L’iniziativa è organizzata dal Circolo dei Lettori nell’ambito della manifestazione Torino Spiritualità. Quando si fa il mio nome come possibile sostituto, accetto con un filo di preoccupazione. A impensierirmi è il contesto della passeggiata: come si concilia un’escursione spirituale con il mio agnosticismo? Si possono intrecciare le storie ufologiche e misteriose del Musinè con la spiritualità, senza scadere nel ciarpame New Age? Faccio questa premessa per chiarire che il mio contributo allo studio del monte valsusino non è esclusivamente scientifico; non lo è perché vengo coinvolto nelle sue spire nell’ambito di un festival a cavallo tra la filosofia, la religione e la letteratura.
Un approccio potenzialmente fertile me lo suggerisce la presentazione dell’evento che Wu Ming 1 ha diffuso prima di infortunarsi. Richiamandosi a Mario Tronti, l’autore scrive che
in un mondo dove tutto è incessantemente sminuzzato in serie numeriche, incasellato in statistiche e percentuali, spiritualità è ciò che non viene addomesticato dal numerico, che non diventa codice, che permane e persiste prima e oltre le leggi.
Si prospetta una sfida non banale, perché – lavorando come matematico – addomesticare la realtà con i numeri è quello che faccio tutti i giorni; statistiche e database sono il linguaggio diurno con cui ho più dimestichezza. Se questo è spiritualità, scrive ancora Wu Ming 1,
in Val di Susa se ne trovano molte espressioni. Quando penso alla Val di Susa, penso […] al Monte Musinè, dove l’immaginazione umana ha trovato e continua a trovare apoteosi. Come tanti monti grandi e meno grandi, famosi o famigerati, il Musinè è una meta-montagna, ovvero è il racconto di una montagna. Ma si cercherebbe invano, in giro per il mondo, un racconto altrettanto complesso e strano.
Se l’obiettivo è di ricostruire il “complesso e strano” racconto del Musinè, mi rassicura poter accedere agli archivi del Centro Italiano Stufi Ufologici: so che non esiste punto di partenza migliore; da quasi mezzo secolo il Cisu raccoglie ogni sorta di materiale sui dischi volanti, testimonianze di avvistamenti, articoli su incontri ravvicinati e dossier sugli UFO del passato. Ad affascinarmi, nelle attività del Centro, è lo sforzo sistematico di definire tassonomie e classificazioni per dare una qualche forma al vastissimo corpus che ne compone gli archivi: un insieme di testi e immagini che parlano un linguaggio notturno tutt’altro che rigoroso e razionalizzabile. Uno sforzo caratterizzato da due elementi con cui mi sento in totale sintonia: la consapevolezza che si tratta di un lavoro non esaustivo, prezioso ma limitato, incapace di esaurire la complessità del fenomeno; il rifiuto dell’ironia quale modalità privilegiata di divulgazione, tipica di un certo scetticismo canzonatorio.
Ben prima di accostarmi ai dossier dedicati al Musinè, so che mi troverò ad aprire un vaso di Pandora: la doppia sfida consiste nel fissare dei confini a un lavoro di indagine potenzialmente illimitato e nel proporre letture che trascendano numeri ed etichette. Concordo con Wu Ming 1 quando scrive
il Musinè non è i dati oggettivi (geografici, altimetrici, geologici ecc.) che si possono raccogliere sul suo conto. Il Musinè è il vortice di storie, leggende, panzane, ossessioni, visioni, suggestioni e sogni a occhi aperti che lo circondano.
Nell’agosto 2014, dopo una prima visita alla sede torinese del Cisu, Paolo Fiorino mi apre le porte dei suoi archivi. Ne riemergo stordito, con un’impressionante collezione di ritagli, dattiloscritti e fotocopie da cui sintetizzo dieci storie. Il mio piccolo reportage narrativo diventa il libretto Camminata spirituale sul monte Musinè (2014). Il 21 settembre conduco l’escursione letteraria in compagnia della guida alpina Valentina Salerno e dello storico dell’alpinismo Enrico Camanni. Leggo i dieci interventi in occasione di altrettante tappe lungo il percorso, unendo alla dimensione divulgativa una serie di riflessioni che prendono spunto dalla mia attività di illusionista. Voglio che la passeggiata diventi un’occasione per allenare la “credulità distaccata”, quell’attitudine che consente di godere dei risvolti emotivi di un racconto anche sapendo che contiene elementi di finzione – come quando ci commuoviamo davanti al Titanic che si inabissa, senza dimenticare che Leonardo Di Caprio annaspa nella vasca di un più rassicurante set cinematografico. Nelle mie intenzioni, la camminata spirituale vuole essere un laboratorio itinerante sulle orme della meraviglia, per affinare l’arte di stupire e di stupirsi.
Il risultato è un reportage narrativo più vicino a Il mattino dei maghi che al Viaggio nel mondo del paranormale di Piero Angela; un lavoro che non dissimula neutralità, che dichiara esplicitamente la sua partigianeria e si sforza di fornire al lettore segnali chiari per distinguere il dato documentario dalla personale cornice di senso in cui lo presento.
Nella prima tappa prendo in esame la Via Crucis del Musinè: quindici piccole costruzioni che, dal campo sportivo di Caselette, accompagnano i pellegrini verso la chiesa di Sant’Abaco. Il primo dettaglio ufologico ce lo offre Danilo Tacchino, secondo cui
in un’antica edicola della via Crucis […] vi è un affresco di San Grato […] che sembra seguire con meraviglia gli spostamenti di un oggetto luminoso con scia, sospeso in cielo, che pare segua una traiettoria non lineare. (1)
Credo si sbagli nel localizzare l’immagine: un’edicola che ritrae San Grato si trova di fronte al Municipio di Caselette, in via Alpignano. È un appunto su cui tornerò più tardi.
La seconda tappa è prevista nei pressi della chiesa di Sant’Abaco, e qui non c’è nulla di ufologico: l’Abaco qui venerato è un bambino dalla pelle scura, un profugo che arriva dal Medio Oriente e che, giunto a Roma, viene decapitato insieme alla sua famiglia. Un pezzo del suo vestito, attraverso infinite traversie, finisce sul Musinè, dove viene custodito come reliquia. Il mistero riguarda la strana inversione: decapitato in Italia nel 270 d.C., venerato in Italia nel nostro secolo. Magari tra duemila anni si pregherà davanti ai frammenti di un cellulare rinvenuto sul fondo del Mediterraneo e appartenuto a qualcuno che oggi respingiamo. (2)
Uno dei modi di raccontare il Musinè è attraverso storie che riverberano sul presente. È lo sguardo alla montagna che condivido con il collettivo alpinistico di cui faccio parte, Alpinismo Molotov. Wu Ming 1 lo spiega notando che il Musinè ha visto – nella sua lunga storia
fuoco, tanto fuoco. […] Ho trovato notizie di grandi incendi nel 1961, nel 1962, nel 1965, nel 1985 e nel 1986. «Fuoco» anche nel senso metaforico di sparatoria: nel 1973 la popolazione locale si oppose alla costruzione di un poligono di tiro militare. Quest’ultima circostanza mi permette di chiudere il cerchio, facendo notare che il Musinè è un luogo di confitto: non intendo solo il confitto tra senno e delirio, tra ragione e sragione, tra fantasia e realtà, o – se si vuole – tra scienza e pseudoscienza. Intendo proprio il confitto sociale. Un fianco del Musinè è diventato la lavagna della Val di Susa, perché da anni vi campeggia la gigantesca scritta bianca TAV = MAFIE, realizzata con grandi teli fermati da sassi. Vi campeggia tra tentativi di rimozione e immediati ripristini, e questa guerriglia segnica è proprio una storia da Musinè.
Nella terza tappa cito brevemente il documento che segnala il primo avvistamento di un disco volante di cui ci sia traccia: siamo a Mathi, è il 12 luglio 1960, sono le 21.45, il sole è tramontato da mezz’ora e l’oggetto resta visibile per otto minuti.
Sembrava di cristallo tanto che credetti di poterci vedere dentro; era della forma e della grandezza suppergiù di una FIAT 1800.
Il testimone racconta l’esperienza in una lettera ad Arduino Albertini, ora negli archivi di Paolo Fiorino.
La quarta tappa fa cenno alle attività di un fantomatico Sidereal Intercontacts Centre, abbreviato come SIC: si tratta di un’associazione ufologica che nel 1973 annuncia lo sbarco sulla terra di Absu Ismaily Swandy, un alieno barbuto di 256 anni. Una nuova circolare del novembre 1973 annuncia una grandiosa manifestazione sul Musinè. L’annuncio è seguito da uno degli avvenimenti ufologici più noti nella storia della montagna: il 30 novembre i radar dell’aeroporto di Caselle rilevano un oggetto luminoso; per intercettarlo, qualche giorno dopo vengono coinvolti addirittura dei caccia. Kolosimo parlerà dell’avvenimento sull’edizione 1976 di Ombre sulle stelle (3) . Intanto il SIC sparisce senza lasciare tracce, facendo sorgere il sospetto che si tratti di un’operazione goliardica ai danni degli ufologi dell’epoca.
Se un’entità extraterrestre mi offrisse la possibilità di conoscere la soluzione di uno solo degli enigmi del Musinè, come illusionista sceglierei certamente la vicenda del SIC: il complicato gioco di specchi e false identità messo in scena – molto più complesso e tentacolare di come l’ho riassunto – è il mistero irrisolto che trovo più intrigante e fertile di vertiginosi intrecci narrativi.
Potrebbe essere collegata al gruppo anche la strana targa metallica che si trova in quota, intitolata “alla fratellanza costruttiva tra tutti i popoli”. Cuore della quinta tappa, la placca rimanda alla spiritualità del contattista Eugenio Siragusa. Nel 1991, Stampa Sera pubblica (4) la presunta foto dell’alieno ultracentenario, specificando che il tizio barbuto fa parte della Fratellanza Cosmica – che è il nome del culto istituito da Siragusa.
La sesta tappa si concentra sulle due burle che nel 1973 hanno portato scompiglio negli ambienti clipeologici torinesi. Sulla neve fresca del Rocciamelone, Mario Bariona imprime quelle che sembrano le impronte di un gigante. Il 5 dicembre Stampa Sera ne riporta una foto (5) , dedicando loro un articolo a sei colonne. Lo stesso anno, Nevio Boni incide – su un menhir alle pendici del Musinè – l’immagine di alcuni dischi volanti che scateneranno l’immaginazione di una giovanissima Giuditta Dembech. La giornalista pubblicherà l’anno successivo Musinè magico (1974), e chiunque voglia ricostruire il processo di mitopoiesi che ha coinvolto la montagna (soprattutto nei suoi aspetti paraufologici) non può prescindere da un accurato studio filologico del libro – a partire dal confronto tra le successive edizioni del libro. In una trasmissione radiofonica del 2013 l’autrice fornisce elementi utili per ricostruire l’evoluzione dei suoi scritti. Il suo libro sul Musinè segna il suo esordio letterario e – per sua stessa ammissione – nasce all’incrocio di tre stimoli: le spedizioni fotografiche in Valsusa con Mario Salomone, la lettura de Il mattino dei maghi e l’incontro con Peter Kolosimo, che nel 1972 aveva aperto il primo numero della sua rivista PK con un articolo dedicato al Musinè.
La settima tappa si incentra sul più noto incontro ravvicinato del terzo tipo registrato sul Musinè: l’8 dicembre 1978 un ragazzo nota strane luci, si inoltra nel bosco e sparisce per un’ora; quando si risveglia, ha le sopracciglia e i capelli bruciacchiati. Tra i dossier del Cisu il fatto è documentato in modo approfondito, e mai come in questo caso l’incrocio dei documenti d’archivio consente di avanzare ipotesi solide per inquadrare il fatto. Nel 1973 la rivista gli Arcani riportava (6) la presenza di gruppi di neofascisti che avevano scelto la Valle di Susa come teatro dei loro addestramenti militari: non di rado si potevano incontrare – alle pendici del Musinè – persone vestite con una specie di tuta grigio-verde lucida e un casco da motociclista; facile scambiarli per extraterrestri. Nel 1982 La Stampa conferma la notizia, segnalando l’esistenza di un poligono di tiro nel “castelletto” di Milanere, sul lato sud-occidentale del Musinè, gestito da un gruppo neofascista ispirato ai Nuclei Armati Rivoluzionari e a Terza Posizione. (7)
Con un gioco di prestigio, Giuditta Dembech inverte la simpatia politica del gruppo (ascolta), trasformando il terrorismo neofascista nel presunto ecoterrorismo di matrice anarchica – di un gruppo che però gravitava intorno a Bussoleno – e confondendo Silvano Pelissero con Edo Massari, il “Baleno” morto suicida insieme a Maria “Sole” Soledad Rosas. (8)
L’ottava tappa si concentra sul rapporto tra Peter Kolosimo e il Musinè, a partire dal complicato e non del tutto esplicito rapporto tra fiction e divulgazione alla base dei suoi lavori. Il suo contributo più immaginifico è l’idea che, accendendo dell’olio versato nelle numerose coppelle incise sulle rocce, i popoli primitivi riproducessero sulla terra un’immagine della volta celeste e delle sue costellazioni. L’immagine finisce sulla copertina del suo Italia mistero cosmico (1977).
La nona tappa analizza uno dei più visionari documenti mai prodotti sul Musinè: una doppia mappa che mostra la montagna in sezione, rivelando le dimensioni colossali della base aliena sotterranea e indicando la precisa posizione di tutti gli ingressi e delle prese d’aria del gigantesco laboratorio.
L’ultima tappa riesuma il copione di uno spettacolo andato in scena il 12 maggio 1978 al Teatro Erba, scritto dal figlio di Macario insieme a Kolosimo. La Stampa lo definisce
uno spettacolo in cui si fondono astronomia, scienza, ufologia, ipnosi, fantamorale e fantapolitica […] [dall’]atmosfera surreale, ottenuta attraverso un commento di musica cosmica e un gioco di luci e proiezioni. […] Il tutto in un’impostazione di medio evo prossimo venturo. Un teatro di parola e di mistero. (9)
L’atto intitolato “Pic-nic sul Musinè” rappresenta – con un certo cinismo – l’incontro di una coppia borghese con un piccolo extraterrestre: costui è naufragato sulla terra con il suo barcone intergalattico, ma l’unica preoccupazione dei due – reduci da una scampagnata sul Musinè – è di ritrovare il sentiero che porta al parcheggio. È difficile leggere le parole dell’extraterrestre senza pensare all’odierna politica dei respingimenti:
Ciò che tu intendi per bontà umana, altro non è che una quieta indifferenza.
Il finale dello spettacolo è un’orgia di sangue, ipnosi e Juventus che non spoilero.
Avviandomi alla conclusione, evidenzio alcuni elementi del mio approccio al Musinè per trarne qualche motivo di dibattito più ampio. Mi piace descriverlo come un processo a cerchi concentrici.
Il più piccolo riguarda l’esposizione orale delle storie che ho raccolto, rivolta a un’audience di una quindicina di persone.
Il libretto che ne ho ricavato costituisce un cerchio più ampio, che rompe le barriere dello spazio e del tempo e consente l’accesso a quelle storie a chi non si trovava in quel luogo e in quel momento; integrando il racconto orale, il volume valorizza la dimensione visiva, riproducendo alcuni documenti cruciali per la ricostruzione delle vicende.
Portando su Internet i contenuti del libro, i limiti di spazio si dissolvono: posso aggiungere le note a piè pagina che mettono il lettore in condizione di verificare i miei dati; di più: quando possibile, le note linkano direttamente alle fonti.
Non mi limito a segnalare l’articolo tratto da La Stampa ma aggiungo un link all’archivio del giornale, per consentire di sfogliarne con facilità i numeri precedenti e i successivi. Quando una fonte non è direttamente disponibile, la converto in formato digitale e la condivido su archive.org, una gigantesca collezione mondiale di faldoni virtuali, accessibile gratuitamente e aperta al caricamento di qualunque documento, libro e file audio. Se le note a piè pagina sono state introdotte nel Seicento, l’avvento di Internet sta portando il concetto a un nuovo livello: presto non basterà più dire al lettore “ho ricavato l’informazione da qui, cercati il libro per controllare”; l’impegno a fornire i link alle fonti originali sarà un passo importante nella battaglia contro le fake news.
La galassia di fonti da cui prendono spunto le dieci storie è il cerchio più grande. La questione chiave, intorno a questi cerchi concentrici, riguarda l’accessibilità – ed è un tema incandescente, intorno al quale la comunità degli illusionisti si divide da secoli. Chi può accedere a ciascun livello? Con quali criteri si è ammessi a ciò che vi è contenuto? L’escursione aveva un costo, fissato dal Circolo dei Lettori. Il libretto, nell’elegante versione cartacea su carta avorio riciclata, ha un prezzo di copertina. In versione digitale, richiede una connessione a Internet e un dispositivo in grado di leggere i file PDF. Alcune fonti sono disponibili su web. Altre si trovano fisicamente negli archivi del Cisu. Per accedervi è necessaria una tessera? E che dire di quelli negli archivi privati? Se è auspicabile una forma di remunerazione per chi si occupa della raccolta, della catalogazione e della conservazione di tutto questo materiale, chi riteniamo debba farsene carico?
Si tratta di questioni importanti, quando si manipolano enormi moli di informazioni, tanto più fragili quando sono disponibili in un unico esemplare; temi di cui mi occupo da anni, curando la Biblioteca Magica del Popolo, un database web di libri di magia ad accesso libero e gratuito. La mia non è una posizione neutrale, avendo scelto come santo patrono del progetto Aaron Swartz, martire della battaglia per la libera circolazione delle informazioni.
Chiudo con tre curiosità che, mi auguro, potranno fornire spunti narrativi non banali a chi si occupa di ufologia e trova nel Musinè una fonte continua di idee stimolanti.
Prima storia. L’11 novembre 2013, durante la trasmissione radiofonica Quinta Dimensione (ascolta), Giuditta Dembech parla esplicitamente di un portale interdimensionale che collega le due grandi colonne d’Ercole della Val Susa: per chi guarda da Torino, il Musinè a destra, lo sperone della Sacra di San Michele a sinistra; una barriera virtuale di otto chilometri che attraversa i territori di Sant’Ambrogio, Almese, Dubriaglio e Rivera. La giornalista riporta la strana esperienza vissuta da una signora che, transitando per quel passaggio, vede un bizzarro paesaggio fantascientifico: tra strane gru argentate, sorgono moderne costruzioni di metallo riflettente e cristallo che sembrano arrivare dal futuro. La testimonianza sembra uscire direttamente dalle pagine di “Il continuum di Gernsback”, un racconto di William Gibson del 1981 uscito su Urania otto anni dopo. Per definire quelle entità allucinatorie, Gibson usa l’espressione “fantasmi semiotici”: si tratta di frammenti dell’immaginario culturale che hanno acquistato una vita autonoma e – come tali – possono diventare oggetto di visione. Nel racconto, tali immagini si muovono dal piano di fantasia al piano di realtà attraverso il continuum di Gernsback che dà il titolo al racconto: è un omaggio a Hugo Gernsback, che nel 1926 aveva coniato l’espressione “science fiction”. Introducendo il termine, Gibson non sta facendo scienza: sta a noi approfondire la frequenza che hanno esperienze del genere nelle testimonianze ufologiche e valutare l’utilità del concetto di “fantasma semiotico”, proposto – in chiave evidentemente metaforica – in un’opera di fiction.
Seconda storia. Nella stessa trasmissione (ascolta), Giuditta Dembech racconta la strana esperienza vissuta da tre ragazzi che stavano entrando in Valsusa a bordo di un’auto. All’improvviso si ritrovano in cima al Musinè, in mezzo a migliaia di croci luminose per terra. L’unico a sopravvivere alla visione è Nicola. Uno dei due muore qualche tempo dopo in un drammatico incidente stradale. L’altro svanisce nel nulla. Il racconto non mi avrebbe colpito se, negli stessi giorni, non mi trovassi a sfogliare il lungo reportage narrativo sulla Valsusa scritto da Giuseppe Regaldi e pubblicato nel 1861. L’autore anticipa di un secolo la misteriosa traslazione dei tre giovani quando racconta di quei muratori che si erano addormentati sul monte Caprasio e si erano risvegliati in cima al monte Pirchiriano, dove oggi sorge la Sacra di San Michele.
I maestri muratori colla cazzuola e il martello in mano, si coricarono quali sur un mucchio di sabbia e quali sui muri stessi; e i falegnami si sdraiarono lunghi e distesi, chi sulle travi e chi sui loro banchi, impugnando una sega, una pialla, e via dicendo. Destati alla dimane, invece di trovarsi sul Picco di Celle, si trovarono sul monte Pirchiriano in quella medesima positura, in cui si erano addormentati la sera. Io vi ho narrato il miracolo così alla grossa, ma saliti alla Sagra, troverete nella chiesa, nel coro antico dei PP. Benedettini, una pittura che vi spiegherà tutto ciò per minuto. (10)
La terza storia è quella che potreste aspettarvi da un illusionista. Nello stesso reportage, Giuseppe Regaldi spiega che sul Musinè abbonda una rara pietra chiamata “idrofana”, anche detta “occhio del mondo”. È una roccia che presenta una curiosa caratteristica: normalmente si presenta opaca, ma quando è immersa nell’acqua diventa trasparente. (11) Si tratta di un materiale piuttosto prezioso per i mentalisti. Come spiega Luigi Bossi nel 1787, si può chiedere a uno spettatore di scrivere un testo su un foglio e sigillarlo tra due sottili pannelli di idrofana. Bagnando segretamente la pietra, il mentalista può renderla trasparente e leggervi attraverso il messaggio, fingendo poi di indovinarlo grazie a doti di chiaroveggenza; è l’effetto di lettura in busta chiusa che aveva reso famoso Uri Geller in versione settecentesca. (12)
Chiudo segnalando l’ultima puntata della mia webserie “Mesmer in pillole”, girata in vista di questo incontro. Si tratta dell’episodio 122 e – se dovesse piacervi – ce ne sono altri 121 liberamente accessibili su Youtube: un esercizio di divulgazione che cerca di fornire informazioni corrette senza mettere al centro il debunking e insistendo piuttosto sui risvolti meravigliosi dell’universo in cui viviamo.
Relazione presentata da Mariano Tomatis il 29 aprile 2019 presso la sede torinese del Centro Italiani Studi Ufologici, nell’ambito della serata dedicata al Musinè. L’altro relatore è stato Gian Paolo Grassino.
1. Danilo Tacchino, Torino. Storia e misteri di una provincia magica, Edizioni Mediterranee, Roma 2007, p. 162.
2. Cito questa storia per spiegare la notevole distanza che mi separa dal Cicap dall’agosto 2015, quando in un lungo articolo – duramente avversato dal Comitato – nego la possibilità di una divulgazione neutrale e apolitica. L’unica divulgazione spensierata è quella inconsapevole. Non c’è nulla di originale nella mia posizione. Nel 2008 il mondo dello steampunk si era diviso a partire dalle stesse note: Margaret Killjoy contestava la pretesa che lo steampunk fosse una pratica di innocente nostalgia apolitica; rimettere in scena “le soffocanti sale da tè degli imperialisti vittoriani e le mappe scolorite della tracotanza coloniale” (Margaret Killjoy, Guida steampunk all’Apocalisse, Agenzia X, Milano 2008, pp. 117-8) non ha nulla di neutrale. Nel 2014 il Gamergate ha portato le stesse istanze critiche e lo stesso scompiglio nel mondo dei videogiochi.
3. “Nei mesi di novembre e di dicembre del 1973 gli UFO sembrano improvvisare una serie di pazzeschi caroselli sul Piemonte. Uno, atterrato a Villarfocchiardo, in Val di Susa, il 9 dicembre, è un pallone meteorologico lanciato da Lione il 16 del mese precedente, per altri pare trattarsi di frammenti di sonde spaziali o di fenomeni meteorologici (Il freddo improvviso favorisce la formazione di aghi di ghiaccio nell’atmosfera, che, colpiti dai raggi del Sole, danno luogo a qualcosa di simile all’aurora boreale, dichiara l’ingegner Lotti alla Gazzetta del Popolo di Torino), ma le comparse inspiegabili esistono, come quelle osservate dal pilota Riccardo Marano e captate dai radar di Caselle, Linate e Mortasa. Si dice che almeno due di questi oggetti siano atterrati nei pressi del famoso monte Musinè, che ne siano state scorte le impronte, ma qui tutto resta da dimostrare” in Peter Kolosimo, Ombre sulle stelle, Sugar, Milano 1976 (I ed. 1966), pp. 176-7.
4. Giorgio Galuzzi, “Fratellanza e il ritorno di Absu Imaily”, La Stampa, 14.3.19901, p. 15.
5. Mario Bariona, “Strane orme in Val Susa”, Stampa Sera, 5.12.1973, p. 3.
6. Franca A. Riberi, “La montagna degli imbrogli [Musinè]”, gli Arcani, aprile 1973, pp. 29-31.
7. “Nel covo neofascista di Almese trovate armi e poligono di tiro”, La Stampa, 6.10.1982, p. 5; Claudio Giacchino e Beppe Minello, “Arrestati quattro giovani: sono accusati di aver riorganizzato il terrorismo nero. Nel castello di Almese il loro quartier generale”, La Stampa, 6.10.1982, p. 13; “C’è un pentito tra i terroristi. Rapinavano per autofinanziarsi”, Stampa Sera, 7.10.1982, p. 5.
8. Tobia Imperato, Le scarpe dei suicidi, Autoproduzione Fenix, Torino 2003.
9. M. Ve., “Pic-nic con gli Ufo al Teatro Erba”, La Stampa, 12.5.1978, p.7.
10. Giuseppe Regaldi, Canti e prose, vol. 2 [di 2], Franco e figli, Torino 1861, pp. 389-90.
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