Ho finito di girare Donne a metà nel novembre 2013. Nei quattro anni successivi sono tornato sul tema più volte: a integrazione del cortometraggio, questo articolo raccoglie spunti su cui ho lavorato dopo l’uscita del documentario.
Il 1° gennaio 2016 sulla rivista Doppiozero ho recensito il saggio di Giampiero Frasca La suspense. Forme e modelli della tensione cinematografica. In quella sede ho sottolineato che il classico “salvataggio all’ultimo minuto” del protagonista da una situazione pericolosa è un meccanismo che Hollywood eredita dal teatro. Nel melodramma di Augustin Daly Under the Gaslight, messo in scena a New York a partire dall’agosto 1867, il protagonista Snorkey viene legato ai binari di un treno dal cattivo, mentre la compagna Laura è rinchiusa nel gabbiotto del capostazione. «Oddio, il treno!» esclama la donna quando appare una locomotiva all’orizzonte. Dapprima è paralizzata, poi si accorge che nella stanza c’è un’ascia. «Apriti un varco nel legno!» esclama l’uomo: «Evita la serratura e colpisci intorno! Dannato formicolìo al collo… Coraggio! Coraggio! Sei una grande donna! Coraggio!» L’avvicinamento del treno si intuisce dalle luci sempre più intense che, da un lato del palcoscenico, incombono sull’uomo legato ai binari; il rumore del convoglio a vapore, intanto, si fa sempre più assordante. La salvezza arriva un istante prima che la locomotiva occupi l’intero spazio della scena, quando Laura riesce a slegare Snorkey e portarlo in salvo.
L’idea fu al centro di una contesa legale quando, sull’altro lato dell’oceano, Dion Boucicault la sfruttò a Londra per la sua commedia After Dark. Come esito del processo Daly ottenne di farsi pagare una royalty per ogni replica dello spettacolo londinese. La dinamica divenne tanto celebre che sui poster di tutte le produzioni successive si leggerà l’annuncio “The Great Railroad Scene is Presented”. In tribunale venne anche fuori che la scena di Daly non era del tutto originale: se il cinema si sarebbe ispirato al teatro, il teatro si era a sua volta ispirato a un racconto pubblicato su una rivista.
Nel 1890 Joseph Arthur introduce sul palco una sega rotante e un nastro trasportatore: Perry, protagonista del suo melodramma Blue Jeans, viene legato al rullo in movimento mentre June, l’eroina della storia, è confinata a forza nell’ufficio della segheria. Il pubblico assiste all’inesorabile avvicinamento dell’uomo alla lama mentre la donna cerca di abbattere la porta per metterlo in salvo. L’artista che porterà all’estremo le possibilità della suspense sul doppio binario delle esibizioni live e quelle cinematografiche è il più noto illusionista del ventesimo secolo: incarnando il classico uomo-che-non-deve-chiedere-mai, Harry Houdini farà a meno di un’eroina salvifica, spettacolarizzando l’abilità di liberarsi da ogni costrizione senza alcun aiuto esterno.
Lo studio del passaggio dal “salvataggio all’ultimo minuto” al classico numero della donna-segata-in-due ci porta lontano: l’evento che cambia il panorama teatrale è la conquista del voto da parte delle donne. Quando, durante Under the Gaslight (1867), Laura riesce a liberare Snorkey, costui si rivolge al pubblico maschile ostentando una fiera gratitudine verso la compagna: «E queste sarebbero le donne che non dovrebbero votare?» Oggi sembra inconcepibile che i melodrammi mettessero in scena uomini legati come salami il cui destino era in mano a un’eroina in gonnella. Come racconto nel mio documentario Donne a metà, la nascita e le vittorie del movimento delle suffragette provocarono un violento contraccolpo sulle narrative teatrali, capovolgendo definitivamente i due generi, relegando le donne nel ruolo di vittime passive e facendo del maschio l’unica figura salvifica ipotizzabile. A Londra la conquista del voto femminile nel 1921 segnò la nascita del numero della donna-segata-in-due, cristallizzando fino ai giorni nostri la nuova suddivisione dei ruoli. Sarà Harry Blackstone a riprendere letteralmente la scena della lama rotante in segheria, collocando una ragazza su un nastro trasportatore ed esplorando i risvolti dell’evento più infausto: dopo un tempo interminabile – reso ancora più disturbante dall’indifferenza dell’uomo sul palco – la donna viene segata in due senza che nessuno tenti di sottrarla all’orrido destino; il mago interviene solo quando il sacrificio si è compiuto, e per ostentare il potere supremo: quello di controllo sulla vita e sulla morte; un gesto e la donna torna intera.
Il 10 maggio 2017 ho presentato uno speech intitolato As Strange As It Seems (“Per quanto sembri strano”) all’Università di Warwick durante l’incontro organizzato da Martina Piperno “The Age of (Dis)Belief. Dynamics of Illusions, Credulity, and Credibility” (rivedilo qui.) L’ultima delle cinque storie che ho raccontato riguardava la galleria delle meraviglie realizzata a Parigi da Gaspard Etienne Robertson alla fine del Settecento. Il luogo ricordava i moderni baracconi pieni di stranezze scientifiche e sorgeva presso l’ex convento dei Cappuccini vicino a Place Vendôme. Illusioni ottiche, effetti trompe-l’oeil, scene panoramiche e altre bizzarrie riempivano la prima stanza: erano 26 i pezzi esposti, tutti catalogati con un’etichetta che ne accresceva gli aspetti strani e stuporosi. L’exhibit n. 5 era un dipinto che mostrava un panorama montano; ruotato di 90 gradi, il profilo della montagna rivelava i tratti di un uomo.
Exhibit #5 nella galleria delle meraviglie di Robertson.
L’exhibit n. 15 era un monocolo che consentiva di vedere attraverso le pareti ed era basato su un complicato sistema di specchi nascosti.
Exhibit #15 nella galleria delle meraviglie di Robertson.
L’exhibit n. 20 era uno specchio oracolare, in grado di rispondere a duecento diverse domande.
La prima stanza era seguita dalla cosiddetta “Galleria della donna invisibile”.
Annuncio dell’esibizione della donna invisibile sul Courrier des spectacles, 5 Germinale Anno VIII.
Il catalogo ufficiale la descriveva con queste parole:
Vediamo al fondo di questa galleria uno scrigno di vetro sospeso e totalmente isolato. Dall’interno emerge la voce di una giovane donna invisibile che risponde a tutte le domande le vengono rivolte, sospira, soffia sulla mano di chi la avvicina e descrive gli oggetti che le vengono mostrati. (1)
Ritaglio da Etienne Gaspard Robertson, Fantasmagorie de Robertson, Parigi 1800, p. 4.
Il mistero della donna invisibile diventa oggetto di vive discussioni sui giornali e c’è chi specula che l’effetto non sia affatto illusorio, ma coinvolga davvero l’invisibilità. Secondo un giornale, chi vuole apparire alla moda non può evitare di parlare del mistero nei caffè e in occasione di ritrovi pubblici. Il trucco dietro la performance è svelato da un libretto pubblicato a Parigi nel 1800.
E. J. Ingannato
La Femme Invisible et son secret dévoilés
Gueffier, Paris 1800.
Una donna in carne e ossa è nascosta in un’intercapedine, e da qui può vedere cosa succede di fronte alla bara di vetro attraverso un buco. La sua voce passa in un tubo che, attraversando il muro di fondo, sbuca nei pressi della cassa ed esce da un cornetto acustico.
La didascalia dell’incisione riporta questo dialogo:
Il curioso: «Francesca, cos’ho in mano?»
Sbirciando attraverso la sua piccola fessura D, Francesca risponde: «Un bastone da passeggio.»
Tutto il pubblico a una sola voce: «Ma com’è possibile?!»
Chi si limita a interrogarsi sulla natura tecnica del trucco, alimentando il dibattito tra “scettici” e “credenti”, può perdere di vista gli aspetti simbolici dell’esibizione. Nel tentativo di accertare la natura paranormale (o meno) dell’effetto, alcune delle questioni più interessanti possono sfuggire: “perché una donna?”, ci si potrebbe chiedere. La storica Jann Matlock nota che
L’attrazione della donna invisibile esplode nell’immaginario popolare nell’esatto momento in cui con più fervore si dibatteva sulla visibilità pubblica delle donne. (2)
Nel suo saggio L’invisibile (Einaudi 2016) Philip Ball aggiunge che
dopo la Rivoluzione, in Francia le ragazze avevano la temerarietà di andare in giro giorno e notte in completa libertà [e] i padri avrebbero dato tutta la loro fortuna perché le loro figlie fossero invisibili come la signora nella scatola. (3)
Per sapere cosa pensassero le donne dell’esibizione si può leggere una lettera pubblicata sul Courrier des spectacles.
Courrier des spectacles
Paris 1800.
La signora Therese M*** rivolge al caporedattore un messaggio appassionato:
Sono una donna, cittadino, e non sono priva di una certa stima in me stessa. [...] Ho tanto sentito parlare della supposta “bella Invisibile” in mostra presso il passage Longueville e ho voluto sincerarmi del fascino che gli uomini le attribuiscono. Ho dunque coinvolto mio marito per fargli godere di uno spettacolo che a me pareva un vanto per il genere femminile. Sfortunatamente ha accolto positivamente la mia proposta... e dico sfortunatamente, perché da quando ha sentito quella sirena, non smette più di parlarmene con un entusiasmo che mi atterrisce. Gradirebbe, infatti, che anch’io mi rendessi invisibile, e che mi limitassi a parlargli attraverso [...] un cornetto acustico. Penserete subito che una donna di 23 anni, che finora la natura non ha trattato troppo male, non cederebbe con facilità a una richiesta del genere. Eppure devo confessarvi che darei qualunque cosa per conoscere il segreto di quella donna, perché mi rendo conto che l’invisibilità guadagnerebbe a qualsiasi donna – non importa quanto brutta – i complimenti più lusinghieri e certamente più meritati. Gli stessi che, ne sono sicura, arrivano quotidianamente alla [donna invisibile], che da mattina a sera è attorniata da una folla immensa di adoratori che le riservano elogi che non hanno paragoni con quelli che riceverebbe se fosse visibile. E poiché fa molto piacere sentirsi dire tutte queste cose, sono convinta che resterà nascosta per tutto il tempo che potrà.
Vogliate, cittadino, unirvi a me per coinvolgere le donne a sollevarsi contro questa mania e costringere [la donna invisibile] a mostrarsi nelle sue vere fattezze, perché la bellezza visibile smetta di essere surclassata da una bruttezza che si nasconde. Le donne dovranno anche opporsi al fatto che i mariti visitino quella attrazione diabolica, perché quella maga ne ha già stregati molti con i suoi incantesimi. (4)
Therese usa un tono sarcastico nei confronti della vicenda, e non è tenera con la donna invisibile: il grande assente, nella lettera, è piuttosto l’uomo che ha messo in piedi il baraccone; la scrivente se la prende con la “sirena”, il cui fascino invisibile è irraggiungibile per qualunque donna in carne e ossa, senza mai inchiodare il vero responsabile del discutibile gioco.
Un secolo prima di essere segata in due, la donna deve sparire con ogni mezzo necessario. Karen Beckman spiega che, nel corso dell’Ottocento,
Nessun trucco illusionistico è mai stato così importante, così tenuto in alta considerazione. (5)
Tipicamente l’effetto magico coinvolgeva un’intelaiatura segreta che reggeva il lenzuolo con cui la donna veniva coperta; ruotando verso il basso il piano della sedia, ella poteva scivolare in una botola del palco. (6)
Immagine tratta da Albert Allis Hopkins e Henry Ridgely Evans, Magic, Stage Illusions and Scientific Diversions including Trick Photography, Sampson Low, Marston & Co., London 1897, p. 43.
Sapendo che l’ipotesi della botola era la più semplice da avanzare, gli illusionisti rassicuravano il pubblico mettendo per terra un giornale: ciò serviva a scongiurare la possibilità che ci fosse un buco tra le assi del palcoscenico. Ma era un inganno di secondo livello: la pagina di carta, infatti, era a sua volta truccata, presentando anch’essa un’apertura. Per il pubblico, la presenza di un giornale per terra era talmente familiare che perfino Georges Méliès lo utilizzerà davanti all’obiettivo della sua cinepresa.
Georges Méliès, Escamotage d’une dame au théâtre Robert Houdin, 1896.
La sua pagina, però, non presentava tagli: era la pellicola a presentarne uno, tra il fotogramma in cui la donna c’era e quello in cui non c’era più.
Commentando il successo del numero, Beckman lo attribuiva al
brivido di immaginare per un attimo che il corpo femminile [potesse] essere scomparso senza lasciare tracce o conseguenze. (7)
Il gioco di prestigio tornerà come dorsale narrativa nel classico film di Alfred Hitchcock La signora scompare (1938):
Karen Beckman ritrova il tema in Eva contro Eva (1950) e Che fine ha fatto Baby Jane? (1962), ma il più recente Gone Girl (2014) fa parte della stessa costellazione di film che ritraggono una figura femminile condannata a
fluttua[re] interminabilmente tra il mondo visibile e quello invisibile. (8)
1. Etienne Gaspard Robertson, Fantasmagorie de Robertson, Parigi 1800, p. 4.
2. Cit. in Philip Ball, L’invisibile, Einaudi, Torino 2016, p. 219.
3. Ibidem.
4. Courrier des spectacles, n. 1231, 19.7.1800, p. 4.
5. Karen Beckman, Vanishing Women: Magic, Film and Feminism, Duke University Press, Durham 2003, p. 52.
6. Albert Allis Hopkins e Henry Ridgely Evans, Magic, Stage Illusions and Scientific Diversions including Trick Photography, Sampson Low, Marston & Co., Londra 1897, p. 43.
7. Beckman 2003, p. 58.
8. Karen Beckman cit. in Ball 2016, p. 222.
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