Laura Yan e Arina Shabanova pubblicano sul blog Hopes&Fears l’anonima confessione di un illusionista contemporaneo. Assolutamente stereotipate, le sue riflessioni inquadrano bene la figura del “prestigiatore medio”, facendone emergere le difficoltà relazionali e la necessità – spesso frustrata – di trovare un senso alla propria arte. La traduzione è mia.
Sono un illusionista autodidatta. A 9 anni, in occasione del Natale, mi regalarono la scatola del mago. Molti bambini ricevono in dono una scatola del genere nel corso della loro vita, per il compleanno o in qualche altra occasione. La maggior parte ci gioca per un giorno, forse una settimana, prima di chiuderla in un armadio a prendere polvere. Io ho ancora la mia e non ho mai smesso di giocarci. È il set Harry Blackstone Master Magician di livello avanzato, rivolto ai bambini dagli 8 anni in su. È da allora che studio per diventare mago.
Nel bene o nel male, la magia è la mia vocazione. Mi capita di fare anche il fachiro, esibendomi in un contesto di vaudeville, e a volte faccio il presentatore.
Solo dal 2000 la magia è diventata la mia professione principale. Prima era solo una cosa divertente da fare durante le feste; all’epoca ero piuttosto imbranato. Sono timido e introverso, e i giochi di prestigio erano un modo per rompere il ghiaccio senza dover sviluppare una personalità forte.
Odio parlare di magia perché se poi non mostro qualcosa dal vivo, restano parole vuote. È come provare a descrivere un quadro o un sogno senza averlo provato personalmente. Uno dei miei numeri lo eseguo da sedici anni. È una routine di manipolazione con una corda. Comprende una serie di diversi giochi di prestigio che dura circa 3 minuti e mezzo, anche se il pubblico non coglie il fatto che mi abbia richiesto sedici anni per arrivare a questo livello di padronanza. È la mia routine preferita, ed è quella per cui sono più conosciuto.
Ho anche un bel numero da fachiro: consiste nell’infilarsi un chiodo da muratore nel naso, usando un comune martello. Il mio modo di presentarlo è molto divertente. Una volta lo vidi fare da un artista in un sideshow e l’idea mi conquistò. Gli chiesi di insegnarmelo. La gente si contorce dalla repulsione quando lo vede. Ma penso che sia divertente.
Quando cogli gli aspetti fisici e biologici della questione, vai sul sicuro. Mi basterebbero cinque minuti per spiegarvi come si fa. Ma impieghereste cinque anni per farne un numero capace di intrattenere il pubblico.
Quando mi esibisco come fachiro, non faccio il mago, e viceversa. La magia è frutto di trucchi: è una questione di inganno, destrezza, abililità, misdirection, bugie e fili invisibili. Nel fachirismo quello che vedi accade davvero. Se mi esibisco in un numero del genere, e poi proseguo con un gioco di prestigio, il numero iniziale non è più credibile.
La mia vita è piuttosto noiosa e abitudinaria, con qualche momento più interessante qua e là. Da giovedì a sabato sono le mie serate più intense. Tra cabaret in città, feste private e convegni aziendali. A volte mi esibisco anche in uno show in solitaria. Sono un performer da palcoscenico.
Il mio pubblico newyorchese è piuttosto eterogeneo. Ci sono tre tipi di spettatori. Il primo apprezza la magia. Colgono la sua natura di arte teatrale e amano assistere all’esibizione di chi è capace di presentarla bene e compiere qualcosa di sorprendente. Amo questo genere di persone.
Poi ci sono gli altri due tipi, che costituiscono la minoranza rumorosa.
Ci sono quelli che credono che la magia accada davvero, e non c’è nulla che tu possa fare per dissuaderli. Quando presento un numero di mentalismo, concludono che sono dotato di poteri psichici. Potrei anche dire loro “No, no: c’è un trucco! Sono un mago, vi mostro il metodo su un libro” ma niente: non mi crederebbero, perché preriscono pensare che io dica così per proteggere i miei segreti professionali.
Una volta, dopo una routine di mentalismo apparentemente impossibile, questa vedova restò talmente colpita da chiedermi di contattare il defunto marito. Le disse che non sarei stato in grado, e che nessuno avrebbe potuto farlo. Si rifiutò di credermi. Pensava: “No, no: tu questo dono ce l’hai” e se ne andò piuttosto arrabbiata perché l’avevo respinta.
Poi hai quelli che sono all’opposto: gli scettici che rifiutano un intrattenimento costituito dall’inganno. Hanno reazioni spesso violente, e ti apostrofano sistematicamente dicendo: “So come hai fatto! Ce l’avevi nella manica!” Non li capisco tanto. Cosa fai a un mio show?
Io mi faccio pagare a tempo. Ho le mie tariffe. A volte, se c’è uno spettacolo che non voglio fare, sparo una cifra che mi vergogno anche solo a dire a voce alta, sperando che sia troppo alta per le loro tasche. Il trucco sta nello sparare una cifra che sia abbastanza alta da non riuscire a pagarla, ma non troppo da svelare il gioco che sto facendo.
Una volta portai a casa 5000 dollari per uno spettacolo. Si trattava di una convention aziendale organizzata da una corporation dell’informatica. Volevano un mago che intrattenesse i presenti, convincendoli a iscriversi alla loro mailing list. È una cosa che non mi piace fare. Odio questo genere di cose, non mi piace il ruolo dell’esca.
Dunque sparai la cifra più alta, rispondendo: “Perfetto, è totalmente nelle mie corde, posso confezionarvi uno spettacolo su misura, faccio sempre questa cosa, porterò con me tutto il materiale.” Aggiunsi: “Se mettiamo insieme tutto questo più le spese di viaggio vi costerà 5000 dollari.” Convinto che mi avrebbero risposto che la proposta era ottima ma semplicemente non avrebbero potuto permetterselo. Invece, senza battere ciglio, mi risposero immediatamente che era OK. Immediatamente! Avrei potuto chiederne diecimila...
Faccio sempre così, a volte entra, a volte no – è così che funziona.
Nel corso della mia vita ho incontrato molte donne che si sono rifiutate di uscire con me perché ero un mago. È sempre accaduto con i servizi di appuntamenti online: dichiarando che ero un mago, non sollevavo alcun interesse. Quando ho provato a chiedere perché, mi hanno risposto: “Mi dispiace, non esco con un mago.”
Capii che avrei dovuto nascondere la mia professione fino al primo appuntamento. Una volta, durante l’incontro con una, venne fuori la questione. Glielo dissi, e lei reagì molto negativamente: “No, non voglio incasinarmi la vita con un mago.” Le chiesi perché, e lei mi rispose: “Non voglio uno che mi dica bugie.”
Mi venne da dirle: ma non capisci che io non sto davvero mentendo? È come quando vedi uno spettacolo teatrale di Amleto, non è che ti alzi per contestare la premessa: “Ehi, quel tizio non è davvero Amleto!”. È teatro. È sospensione dell’incredulità. È intrattenimento.
Dopo un po’ ho iniziato a preoccuparmi seriamente: mi sono chiesto se non avessi scelto la professione sbagliata, per colpa della quale sarei rimasto solo tutto il resto della mia vita. O se magari in giro ci fosse un mago particolarmente stronzo che stesse rovinando la reputazione di tutti gli altri.
Alla fine mi sono tolto da tutti i servizi di appuntamenti online. Le donne che incontro quando mi esibisco sono affascinate da quello che faccio.
Penso sempre alla magia. Quando un bravo compositore passeggia per una città, coglie musica nel suono dei clacson e nel rumore dei cantieri. Attraversando un parco, un bravo pittore riconosce colori e forme negli alberi e negli edifici. Quando cammino io per la città, colgo metodi sempre nuovi per far apparire o sparire le cose, o per far sollevare da terra cose che nessuno si aspetterebbe facciano. 99 di questi pensieri su 100 non sono che scarti, ma ogni tanto salta fuori una buona idea.
Questo percorso di sviluppo creativo è costante perché la magia è fottutamente complicata.
Da un anno sto lavorando a uno spettacolo che mi richiederà almeno un anno prima di poter essere presentato su un palco. Non so anticipatamente se tra un anno mi piacerà ancora, il che vuol dire che per due anni avrò lavorato su un lavoro che devo ancora decidere se porterò o meno in scena.
Mi è capitato di mettere in scena spettacoli orrendi. Devo solo imparare ad ammettere che un certo gioco non funziona e non funzionerà mai. Grazie di tutto e buona notte. Ho vissuto questa situazione così tante volte da aver perso il conto. Ma da un po’ non mi capita più. Ultimamente, quando qualcosa va storto, di solito c’è un piano B. Non è esattamente quello che mi ero promesso di fare, ma il pubblico non può saperlo.
Quando iniziai a fare il mago facevo schifo. Raramente riuscivo a evocare qualcosa di profondo che andasse oltre l’applauso. Devi solo insistere e crederci, il che è vero per la maggior parte delle professioni.
Non basta essere bravi. La cosa più importante è essere coerenti. Assicurarti di calcare il palcoscenico tutte le volte che puoi, perché non sai mai chi ti sta osservando.
Fonte: Laura Yan e Arina Shabanova, “I do magic
tricks and hammer nails up my nose”, Hopes & Fears.
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