Scrivendo L’arte di stupire (Sperling& Kupfer 2014) io e Ferdinando Buscema abbiamo espresso un certo disagio nei confronti dell’illusionismo “ufficiale”: per noi il concetto di “magia” doveva comprendere esperienze stuporose non contemplate nei classici manuali per i prestigiatori. Molti lettori l’hanno capito e hanno accolto con entusiasmo l’espressione di magic experience.

Durante le presentazioni del nostro libro, diversi maghi ci hanno avvicinato per raccontarci esperienze magiche da loro messe a punto una tantum, progettate per coinvolgere una singola persona e improvvisate in situazioni irripetibili. Quella che segue ce l’ha raccontata un mago cui non interessa apparire con nome e cognome: il suo “raggio di stella” rappresenta proprio quella magia fuori dagli schemi, gratuita e “sgurz” che anima la comunità che si riconosce nello slogan di “Magia al popolo!”.

Nel lontano 1997 mi trovavo a Lucca per un grosso raduno di maghi. Io e il mio “socio magico” (credo che ogni mago ne abbia uno!) avevamo trovato un hotel accessibile alle nostre tasche – nelle quali abbondavano molto più lo spirito avventuresco e la voglia di “magicare” che non le possibilità economiche.

In quel periodo l’hotel ospitava soprattutto maghi: l’anziana padrona della struttura era probabilmente l’unica “babbana”. La ricordo come fosse ieri: era una signora bassa, robusta e ancora zitella, con una gran voglia di assistere a qualcosa di magico – ma seppure l’albergo fosse pieno di illusionisti, nessuno sembrava accorgersi della sua voglia di magia. In quei giorni acquistai un trucco che consentiva di far apparire una luce verde tra le dita: era un attrezzo tutt’altro che comune, visto che quello più diffuso creava una luce rossa. L’avevo acquistato di quello strano colore con l’idea di sfruttarlo in un modo preciso. Ci riuscii solo due volte nella mia vita, ed entrambe l’effetto fu grandioso.

L’ultima sera dell’evento raggiunsi la donna dopo aver “indossato” l’aggeggio truccato. Volevo ringraziarla per l’ospitalità e prevedevo che mi avrebbe chiesto di mostrarle qualcosa di magico: arrivarci già pronto avrebbe dato l’impressione che il tutto fosse improvvisato e accadesse solo per lei.

La mia previsione si avverò. Al mio saluto, replicò chiedendo: «Prima di andarvene, potete mostrarmi qualcosa?» Le risposi: «Non voglio solo mostrarti qualcosa: voglio regalartela.»

Ci trovavamo accanto a una finestra aperta, e guardando il cielo le dissi: «Vorrei regalarti una stella per ringraziarti dell’ospitalità.» (1)  Trovandoci vicini, la invitai a chiudere un occhio e scegliere una stella, indicandomela con il dito. Quando mi fu chiaro quale stella volesse, finsi di prenderla tra pollice e indice, ma prima di chiudere le dita le dissi di aprire la mano. Stringendo le mie dita, la luce che si sprigionò dall’attrezzo fu particolarmente intensa, e le feci notare en passant che la stella era sparita dal cielo (non era vero, ma a me interessava lasciare in lei il ricordo che fosse scomparsa). Avvicinando la luce al palmo della sua mano, aprii le dita e l’illuminazione scomparve: le spiegai che quel “raggio di stella” – avendo percorso uno spazio enorme per giungere sulla terra – si era affievolito in modo naturale.

Sapevo di averla coinvolta in un’esperienza non codificata su alcun libro di magia: nessun manuale per illusionisti descriverà mai un gioco di prestigio del genere, ma io adoro essere libero dai paletti che gli illusionisti si pongono senza neppure accorgersene. Non sapevo come avrebbe vissuto quel momento, ma mi ero preso il rischio di provarci.

Gli occhi della donna si fecero lucidi, poi mi prese le mani e mi disse: «Grazie. Il raggio della stella è la cosa più bella che mi abbiano mai regalato.»


Note

1. Avevamo già pagato la quota, quindi la frase non si prestava a essere fraintesa.

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