Per una qualche legge cosmica (di cui si può essere grati) ogni epoca ha conosciuto almeno un illusionista che si è distinto per garbo, intelligenza e proprietà di linguaggio. Nel 1856 Carlo Collodi (1826-1890), il creatore di Pinocchio, dirigeva un periodico di critica teatrale: Lo Scaramuccia proponeva ogni settimana recensioni degli spettacoli che valeva la pena seguire. Il 10 maggio 1856 lo scrittore dedicò un articolo a un illusionista parigino: Auboin-Brunet.
Dopo averlo visto due volte al Teatro del Cocomero di Firenze (oggi Teatro Niccolini), Collodi rimase molto colpito dal personaggio: egli era in grado di trasportare il pubblico “nel campo dell’impossibile [...] con bel garbo” e aveva “una maniera di conversare col pubblico, piena di gentilezza squisita o della più gran distinzione. Pur troppo siamo tanto avvezzi a sentire sulle labbra di certi maghi una lingua cosi bastarda o volgare, che questa prerogativa del Sig. Brunet meritava una speciale menzione.”
Trent’anni dopo Auboin-Brunet avrebbe portato a Milano sontuosi spettacoli di fantasmagoria, ma negli anni Cinquanta il suo spettacolo era talmente minimale da produrre stupore “anche indipendentemente dall’impostura”. Ecco l’entuasiasta recensione che ne diede Carlo Collodi.
È raro che un pubblico non senta una certa attrazione per tutto ciò che è prestigio; se il pubblico fiorentino non partecipasse di questa debolezza, sarebbe un’eccezione alla regola; ma siccome i Fiorentini non si son mai piccati di costituire eccezioni, si lasciano facilmente adescare all’annunzio d’un mago, che abbia la destrezza di vendere il bianco per nero.
Se finora il teatro del Cocomero non è stato invaso da una folla curiosa, che prova il più gran piacere a vedersi con bel garbo trasportata nel campo dell’impossibile, deve attribuirsi alla concorrenza degli altri teatri, e più di tutto a quella del Maestro Verdi, mago vero e proprio, che col solo prestigio del suo nome è riuscito a farci accettare come una bell’opera i Vespri Siciliani.
Che se, in altre circostanze, qualcuno fra i tanti prestigiatori meritava di richiamare sopra di sè l’attenzione del pubblico, non sappiamo se Auboin-Brunet fosse in grado di temere la concorrenza d’alcuno.
Noi l’abbiamo veduto nella sere di Domenica e Mercoledì ai nostro teatro del Cocomero, dove, senza straordinario apparato, senza quello sfoggio di preparazioni o di macchine, che tante volte costituisce la risorsa principale dei prestigiatori, ha saputo mostrarci che la vera destrezza produce la medesima impressione, anche indipendentemente dall’impostura.
Auboin-Brunet possiede il segreto di varj giuochi, che per un momento ci farebbero credere a qualche cosa di soprannaturale, se in fatto di prestigio o di lestezza di mano non fossimo avvezzi a non sorprenderci di nulla.
Finalmente Auboin-Brunet ha un vantaggio che molto lo distingue al di sopra degli altri prestigiatori: ed è un linguaggio facile, chiaro, spiritoso, una maniera di conversare col pubblico, piena di gentilezza squisita o della più gran distinzione. Pur troppo siamo tanto avvezzi a sentire sulle labbra di certi maghi una lingua cosi bastarda o volgare, che questa prerogativa del Sig. Brunet meritava una speciale menzione.
Chi non ci credesse ha un mezzo di persuadersi, pronto ed infallibile – vada domani sera al Cocomero, e dica poi, se lo può, che Auboin-Brunet non si eleva sulla folla de’ suoi competitori. (1)
1. Carlo Collodi, Lo Scaramuccia, Anno III, N. 28, 10 maggio 1856.
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