Il 10 aprile 2015 la School of Modern Languages and Cultures dell’Università di Warwick ha organizzato la giornata di studi “Illusione, Inganno, Artificio: Coleridge, Hoffmann, Manzoni, Leopardi”. L’evento si è tenuto presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma. Coordinati da Franco d’Intino, sono intervenuti Gabriele De Luca, Fabio Camilletti, Martina Piperno e Gianluca Cinelli (leggi qui un breve sunto della giornata).
L’incontro si è focalizzato sulla natura delle illusioni, degli inganni e degli artifici nelle opere di alcuni dei principali autori di inizio Ottocento. L’intervento più politico è stato quello di Fabio Camilletti, che si è soffermato in particolare sui risvolti illusionistici della figura di Napoleone Bonaparte, più volte ritratto come “escamoteur” sulle vignette satiriche francesi, e sul ruolo dell’Illuminismo nel far deflagrare l’apparato “prestigioso” del Potere.
Nel pomeriggio ci si è trasferiti nell’Antica Libreria Cascianelli, una delle più affascinanti botteghe storiche nel centro di Roma, dove ho presentato un “laboratorio magico” incentrato su un libro di sorte: l’Oracolo Nuovissimo ossia il Libro dei destini dell’Imperatore Napoleone I° (Milano 1915). Non solo una lezione accademica, non solo uno spettacolo di illusionismo, non solo un laboratorio creativo – ma un po’ tutte queste cose insieme – il laboratorio è ora accessibile in formato audio; l’ascolto richiede un po’ di sforzo di immaginazione, poiché l’incontro ha coinvolto in modo importante la componente visuale. Seguono – per chi volesse approfondire la ricerca storica sulle origini dell’Oracolo – i miei appunti di lavoro.
Introduzione di Fabio Camilletti (9’13”)
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“L’oracolo di Napoleone” di Mariano Tomatis (1h02’44”)
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L’Oracolo Nuovissimo ossia il Libro dei destini dell’Imperatore Napoleone I° è un libro oracolare che ha al contempo un secolo e quasi due; il lettore poteva interrogarlo rivolgendogli una domanda scelta tra 32 e ottenerne una risposta seguendo alcune istruzioni.
Nel 1915 fu pubblicato da Bietti & Reggiani di Milano e più volte ristampato. (1) L’edizione di cui sono in possesso uscì per l’editore Luigi Patuzzi di Milano nel 1932. A dispetto del superlativo assoluto nel titolo, quando uscì il testo aveva già quasi un secolo, trattandosi della traduzione dall’inglese di un libro pubblicato a Londra nel 1822: The Book of Fate formerly in the possession of Napoleon late Emperor of France. (2) Rispetto all’edizione londinese, l’edizione italiana era priva della dedica a Maria Luisa d’Austria (1791-1847), moglie di Napoleone I.
Il curatore del volume londinese si firmava Hermann Kirchenhoffer, attribuendosi un’affiliazione all’Università di Pavia e svariati titoli nobiliari. (3) In un ampio prologo (leggilo qui) lo studioso presentava il lavoro come la traduzione dal tedesco di un manoscritto perso da Napoleone durante la rovinosa ritirata da Lipsia nel 1813. L’Imperatore avrebbe interrogato l’oracolo per oltre un decennio, allo scopo di farsi consigliare strategie e tattiche politiche. Recuperato da un generale prussiano, il documento sarebbe stato venduto a un generale francese prigioniero di guerra nel castello di Koenigsburg. Riconoscendo i sigilli imperiali sul manoscritto, l’acquirente si era preso l’impegno di riconsegnarlo a Napoleone ma era morto prima di rientrare a Parigi. L’incarico era stato assunto dagli eredi, che però non erano riusciti a portarlo a termine: la caduta dell’Imperatore e la successiva morte resero impossibile la consegna; il manoscritto fu dunque riconsegnato alla vedova Maria Luisa d’Austria, che – dopo averne preso visione – incaricò Kirchenhoffer della sua traduzione e pubblicazione.
Descritto il percorso seguito dal manoscritto dalle mani di Napoleone alle sue (dal 1813 al 1822), l’uomo che si firmava Kirchenhoffer offriva una dettagliata ricostruzione del suo ritrovamento in Egitto. A riportarlo alla luce durante la campagna d’Egitto sarebbe stato Charles-Nicolas-Sigisbert Sonnini de Manoncourt (1751-1812), un noto naturalista dell’epoca. La nota introduceva così il contesto storico:
È noto che, nel 1801, molti artisti e letterati francesi accompagnarono il Primo Console Bonaparte nella sua spedizione d’Egitto, con l’intento di esplorare le antichità di quel celebre paese donde in altro tempo fiorirono le arti e le scienze.
Jean-Léon Gérôme, Napoleon in Egypt (1867-1868).
A capo della Commissione delle Arti, Sonnini avrebbe esplorato un complesso funerario nell’area di Tebe, imbattendosi in
un sarcofago in cui si trovava una mummia di straordinaria bellezza ed in eccellente stato di conservazione; esaminandola minutamente, scoperse attaccato al petto sinistro con una qualità di gomma particolare, un rotolo di papiro lungo il quale, essendosi svolto eccitò molto la sua curiosità a causa dei geroglifici che in esso si vedevano meravigliosamente pitturati.
Consegnato a Napoleone, il rotolo fu tradotto dal copto al francese da uno studioso locale. Quando ci si accorse delle potenzialità oracolari del papiro, il testo fu ulteriormente tradotto in tedesco per ostacolarne la lettura da parte di occhi indiscreti: messo alla prova, il manoscritto si rivelò sorprendentemente preciso nel formulare previsioni. Kirchenhoffer spiegò che Napoleone ne avrebbe
consultata la traduzione tedesca del rotolo rispetto ad alcuni avvenimenti della sua vita [e] si stupì vedendo che le risposte date corrispondevano esattamente con ciò che gli era successo. Per conseguenza rinchiuse i manoscritti, originale e tradotto, nella sua cassetta segreta, e a essi sempre si consigliava fino al fatale giorno di Leipzig.
Proponendone la traduzione dal tedesco, Kirchenhoffer si allontanava di un altro passo dalla sua versione in copto, mentre l’edizione italiana del 1915 offriva al lettore il testo in un’ulteriore lingua – la quinta dopo il copto, il francese, il tedesco e l’inglese.
La rocambolesca ricostruzione delle vicende storiche del libro dei destini non convinse i curatori del periodico The British Critic, che nel 1823 lo recensirono con un sarcasmo esplicito e tagliente:
Non ci bastano le meraviglie lasciate a metà. Se un bue parla, non può parlare in lingua volgare, e se un fantasma cammina, non può farlo vestendo cappotto, gilet e calzoni. Suona dunque strano leggere che “molti artisti e letterati francesi” avrebbero accompagnato il Primo Console in Egitto nel 1801 per trovare il Libro dei destini; quando in realtà il Generale Bonaparte (perché era solo Generale all’epoca) tornò dall’Egitto nel 1799, e gli “artisti e letterati” che lo accompagnavano furono rispediti a casa in conseguenza alla resa alle truppe inglesi nell’estate dell’anno citato da Kirchenhoffer. (4)
La rivista letteraria si era accorta di alcune incongruenze nella ricostruzione di Kirchenhoffer. L’anno 1801 e il titolo militare erano implausibili: il generale Bonaparte fu nominato Primo Console solo dopo il suo rientro dalla campagna d’Egitto, che avvenne nel 1799.
Seppure abbastanza grossolano, l’errore fu ignorato fino al 1826: l’edizione XIV del libro presentava ancora il riferimento al 1801. L’anno scomparve nell’edizione XXII pubblicata nel 1835 (5) , dove il titolo militare fu corretto in “generale”:
È noto che molti artisti e letterati francesi accompagnarono il generale Bonaparte nella sua spedizione d’Egitto, con l’intento di esplorare le antichità di quel celebre paese donde in altro tempo fiorirono le arti e le scienze.
La correzione si mantenne in tutte le edizioni successive, compresa quella italiana del 1915. Un’analisi più approfondita del contesto storico, però, fa emergere problemi più profondi.
The Book of Fate trascrive, attribuendolo a Charles Sonnini, un lungo e appassionante brano che sembra tratto dai diari di Indiana Jones: la descrizione si apre su alcune coordinate geografiche dell’area di Tebe per scendere nelle profondità di un sito archeologico, stringere su colonnati che delimitano lunghi corridoi ed esplorare intricati labirinti dalle pareti finemente decorate. Il linguaggio è innegabilmente rigoroso e la precisione delle descrizioni contribuisce alla credibilità del racconto: offerto al lettore con il freddo linguaggio scientifico, il ritrovamento del papiro è collocato nel “giusto” contesto geografico, con un retroscena storico verosimile e verificabile.
Eppure c’è qualcosa che non torna con le date. Sonnini visitò l’Egitto vent’anni prima della campagna napoleonica (dal 20 giugno 1777 al 17 ottobre 1778) e pubblicò il suo resoconto alla vigilia della spedizione intitolandolo Voyage dans la haute et basse Égypte (1798). (6) Nei tre volumi che compongono l’opera non c’è traccia del testo che gli attribuisce Kirchenhoffer e – cosa ancora più importante – Sonnini non prese parte alla campagna d’Egitto.
Il punto è che il brano citato nel libro oracolare fu scritto da Louis-Madeleine Ripault (1775-1823), bibliotecario dell’Institut d’Égypte, incaricato da Napoleone di stilare il rapporto ufficiale della Commissione delle Arti in seguito alla spedizione in Egitto. La relazione fu resa pubblica nel 1800 in un annuario della città di Parigi (7) , immediatamente tradotta in inglese (8) e poi ristampata da Vivant Denon (1747-1825) in appendice al suo Voyage dans la basse et la haute Égypte (1802). (9)
Perché Kirchenhoffer attribuì a Sonnini il brano di Ripault? Fu una svista o una scelta meditata?
Mettiamoci nei suoi panni. L’autore aveva tra le mani un libro oracolare di cui celebrare le doti profetiche. Sfruttando un classico espediente letterario, dichiarò che si trattava della traduzione di un antico manoscritto, attingendo a due elementi della cultura popolare di grande attualità: la passione per l’egittologia e le voci che attribuivano a Napoleone un vivo interesse per l’esoterismo (lo stesso che nel Novecento sarà attribuito ad Adolf Hitler). Sfogliando Voyage dans la haute et basse Égypte di Denon si imbattè nel resoconto di Ripault e trovò il testo che faceva al caso suo: il rapporto parlava di manoscritti ritrovati in un complesso funerario a Tebe durante la campagna d’Egitto. Per raccontarlo non doveva inventare nulla: Kirchenhoffer si limitò a ricopiare il brano che descriveva la curiosa scoperta. Ripault gli forniva il trampolino su cui innestare il proprio racconto fantastico: una volta chiuse le virgolette, l’autore poté ricamare sulle vicissitudini del manoscritto, coinvolgendo Napoleone, la traduzione dal copto al francese e al tedesco, l’adozione del libro come strumento oracolare e la sua perdita durante la disfatta di Lipsia.
La nota introduttiva di Kirchenhoffer era un intreccio di realtà e fantasia che nascondeva la propria natura: non c’era alcun elemento nel testo che rendesse esplicito il gioco dell’autore. Solo le svariate incongruenze nel testo svelano la sua natura parzialmente mistificatoria, portando alla luce i trucchi adoperati durante la sua creazione. Chiarito lo scenario in cui si trovò a operare l’uomo, è più semplice ricostruire il percorso logico che lo portò a compilare quella nota introduttiva.
Pubblicando in inglese per un editore londinese, probabilmente Kirchenhoffer viveva in Inghilterra. Il Voyage dans la basse et la haute Égypte di Denon – fonte del testo citato – era stato pubblicato a Londra e gli era dunque facile da reperire – molto più del Voyage dans la haute et basse Égypte di Sonnini, pubblicato a Parigi quattro anni prima. Avendo quasi lo stesso titolo, Kirchenhoffer potrebbe aver confuso i due autori, scegliendo per sbaglio Sonnini come protagonista delle vicende dell’oracolo napoleonico.
Frontespizi dei due libri di Sonnini e Denon: i titoli sono quasi identici.
O forse voleva cautelarsi dal rischio che Ripault smentisse la sua ricostruzione? Nel 1822, quando uscì The Book of Fate, Sonnini era ormai morto da dieci anni mentre Ripault era ancora vivo.
Potendo tornare indietro nel tempo con il senno di poi, Kirchenhoffer avrebbe potuto scegliere un retroscena più consistente dal punto di vista storico. Invece che con Sonnini, il suo racconto si sarebbe potuto aprire con il matematico francese Gaspard Monge (1746-1818). Lo studioso, che aveva preso parte alla campagna d’Egitto, aveva sottratto da una biblioteca del Cairo un libro di sorte arabo del 1582. Illustrato in modo raffinato, il volume era in perfette condizioni e fu spedito alla Biblioteca Nazionale di Francia a nome del Generale Bonaparte.
Nota che cita il deposito del libro arabo da parte di Monge a nome di Napoleone Bonaparte.
Compilato da Seyyid Mohammed Ibn Emir Hasan, il libro era in tutto e per tutto simile ai libri di sorte italiani coevi.
Tavola dal libro di sorte arabo (a sinistra) a confronto con una tavola tratta dal libro di sorte di Lorenzo Spirito (XV sec., a destra).
Il metodo di consultazione implementato si basava sullo stesso principio di Le risposte della Signora Leonora Bianca, libro oracolare pubblicato a Venezia nel 1565. Scegliendo Monge invece di Sonnini, Kirchenhoffer avrebbe fatto centro – perché The Book of Fate offriva una consultazione oracolare perfettamente coerente con quella del libro di sorte ritrovato a Il Cairo durante la campagna d’Egitto.
Le sedici figure geomantiche tratte dal libro di sorte arabo (a sinistra) e dal libro di sorte di Leonora Bianca (1565, a destra).
Nonostante sulla copertina dell’edizione italiana fossero ritratte quattro carte da gioco, il metodo divinatorio dell’oracolo napoleonico non aveva nulla a che fare con la cartomanzia: il nome con cui è noto da più di mille anni è “geomanzia”.
Su un’ampia tavola fuori testo L’Oracolo Nuovissimo presentava trentadue domande, ognuna delle quali poteva condurre a trentadue risposte diverse – per un totale di 32 × 32 = 1024 responsi oracolari.
Ecco la lista da cui il consultante poteva scegliere:
1. Ditemi alcuna o tutte le circostanze concernenti la mia futura sposa
2. Il prigioniero sarà posto in libertà, o ritenuto in prigione?
3. Arriverò alla vecchiaia?
4. Viaggerò per mare o per terra, o risiederò in terra straniera?
5. Mi vedrò involto in liti? E in tal caso le perderò o le guadagnerò?
6. Sarò fortunato nel giuoco?
7. Potrò un giorno ritirarmi dagli affari con un capitale?
8. Sarò io eminente e avrò la preminenza nelle mie imprese?
9. Riuscirò bene nell’attuale impresa?
10. Erediterò io qualche giorno?
11. Passerò quest’anno con più soddisfazione del passato?
12. Sarà immortalato il mio nome e applaudito dalla posterità?
13. Sarà leale o traditore l’amico di cui parlo?
14. Riappariranno le cose rubate e sarà scoperto il ladro?
15. Qual è l’aspetto dei tempi? Vi saranno cambiamenti politici?
16. Ritornerà presto il forestiero?
17. La mia amante sarà fedele durante la mia assenza?
18. Il mio prossimo matrimonio sarà prospero o disgraziato?
19. I miei figli saranno virtuosi o felici dopo la mia morte?
20. Mi vedrò qualche giorno libero da tante disgrazie?
21. Che indica il mio Sogno? È di buono o di cattivo augurio?
22. È destinato che io abbia a provare tante vicissitudini nella mia vita?
23. La mia reputazione sarà in qualche modo menomata dalle calunnie?
24. Ditemi le circostanze concernenti il mio futuro sposo.
25. Guarirà l’ammalato
26. Mi corrisponde ed apprezza la persona che amo?
27. Sarà il mio viaggio prospero o avverso?
28. Troverò qualche volta un tesoro?
29. Quale impiego o professione debbo adottare?
30. Ho qualcuno o molti nemici?
31. Ditemi se stan bene i miei amici assenti e che cosa stanno ora facendo.
32. Mia moglie partorirà un maschio o una femmina?
Senza prestare attenzione al loro numero preciso, il consultante doveva tracciare alcuni segmenti verticali uno accanto all’altro, facendo in modo che fossero più di dodici: il curioso vincolo era imposto per facilitare la scelta di un numero a caso, visto che dopo aver tracciato molte linee era più facile perderne il conto. La procedura doveva essere ripetuta fino a completare cinque serie composte da un numero qualsiasi di segmenti.
Esempio di cinque sequenze casuali tratto dall’Oracolo Nuovissimo (1926).
Al termine bisognava contare il numero di tratti di ciascuna sequenza, sostituendola con uno o due asterischi. Le sequenze dispari dovevano diventare un singolo asterisco (*) mentre le sequenze pari una coppia (**).
Esempio di cinque sequenze casuali tratto dall’Oracolo Nuovissimo (1926).
Disposti l’uno sotto l’altro, singoli asterischi e coppie formavano una colonna di cinque elementi (pentagramma) che poteva assumere 32 aspetti diversi.
Alcuni dei pentagrammi che si possono ottenere dalla procedura di scelta casuale. In rosso quello ottenuto con le sequenze dell’esempio su riportato.
La grande tavola fuori testo riportava le 32 domande sulle righe e i 32 pentagrammi sulle colonne di un’enorme tabella composta da 1024 riquadri. All’incrocio tra la domanda rivolta all’oracolo e il pentagramma scelto a caso c’era un piccolo disegno che individuava la pagina del libro con il responso. Scegliendo la domanda 32 (Mia moglie partorirà un maschio o una femmina?) ed estraendo a sorte il pentagramma composto da cinque singoli asterischi l’uno sull’altro, il disegno all’incrocio tra i due rappresentava la luna. Alla pagina corrispondente, la riga corrispondente al pentagramma estratto recitava: “La tua sposa ti darà molti figli, e parrà tra essi la regina della notte quando è circondata dalle stelle.”
La consultazione si intitolava alla geomanzia perché originariamente le linee venivano tracciate sulla terra (gaia o gé) con un bastone e da essi si traeva un oracolo divinatorio (manteia). Di origini arabe, la geomanzia fu – insieme all’astrologia e alla cartomanzia – uno dei metodi divinatori più diffusi in Europa. Oggi è stata quasi del tutto dimenticata, soppiantata dall’I Ching cinese che si basa sulla stessa struttura matematica binaria: singoli asterischi e coppie sono stati sostituiti da una linea continua (Yang) o spezzata (Yin), ma le configurazioni finali sono sempre in numero di potenze di due.
Mentre Le risposte della Signora Leonora Bianca del 1565 e il libro di sorte arabo del 1582 si basavano su tetragrammi geomatici (4 sequenze che conducevano a 24 = 2 × 2 × 2 × 2 = 16 risposte), l’oracolo di Napoleone invitava il consultante a scegliere casualmente un pentagramma geomantico (5 sequenze che conducevano a 25 = 2 × 2 × 2 × 2 × 2 = 32 risposte). Da sempre l’I Ching si basa su esagrammi (6 sequenze che conducevano a 26 = 2 × 2 × 2 × 2 × 2 × 2 = 64 risposte).
Quando nel 1661 l’Europa entrò “ufficialmente” in contatto con l’I Ching, grazie al libro che gli dedicò il matematico Leibniz (1646-1716), il metodo binario per scegliere casualmente un responso oracolare era già in uso da secoli. Nel VII secolo d.C. gli arabi chiamavano il metodo ’ilm al-raml, “scienza della sabbia”. La sua diffusione, dapprima al continente africano e poi all’Europa attraverso la Spagna, seguì quella dell’Islam. Nella prima metà del XII secolo fu Ugo di Santalla a tradurre dall’arabo l’Ars Geomantiae.
Dante Alighieri citò la geomanzia in apertura del Canto XIX del Purgatorio e il poeta comparve insieme a Beatrice tra le tavole del libro di sorte di Leonora Bianca come guida per la consultazione.
Quando nel 1822 uscì The Book of Fate, in libreria si poteva trovare un secondo libro oracolare legato alla figura di Napoleone: The Philosophical Merlin (10) era stato pubblicato nello stesso anno dall’astrologo Robert Cross Smith (1795-1832). Più compatto rispetto al concorrente, il libro dichiarava la sua natura sin dal frontespizio:
Traduzione di un importante manoscritto posseduto in precedenza da Napoleone Buonaparte (sic), ritrovato insieme ad altri documenti di valore tra i suoi effetti personali in occasione della battaglia di Lipsia.
The Philosophical Merlin era dedicato a Marie Anne Adélaide Lenormand (1768-1843), la più nota cartomante francese dell’epoca. Il libro si apriva con una breve descrizione del contesto storico: l’interesse per l’occulto da parte di Napoleone era definito “ben noto […] quasi proverbiale”; il condottiero si sarebbe sempre basato sugli astri per condurre le proprie campagne belliche, e probabilmente non fu un caso se a Lipsia fu duramente sconfitto: in quell’occasione i manoscritti oracolari che consultava con regolarità sarebbero finiti tra le mani di alcuni ufficiali prussiani.
Robert Cross Smith dichiarava trasversalmente di essere a conoscenza del The Book of Fate firmato da Kirchenhoffer; a proposito dei documenti perduti scrisse che
alcuni sono già stati pubblicati, in forme diverse, ma nessuno è così curioso e interessante come questi; se i lettori sapranno apprezzarli come si deve, saranno solo il preludio per altri che, non appena resi pubblici, non mancheranno di sollevare il più vivo interesse; alcuni sono già pronti per la stampa e non aspettano altro che il via da parte dell’opinione pubblica.
Con un atteggiamento più allusivo rispetto a quello di Kirchenhoffer, Cross Smith ammetteva che
l’editore non afferma che sia comprovata in modo definitivo una correlazione tra le vittorie di Napoleone e la sua conoscenza dei fatti futuri; tale collegamento va lasciato all’analisi imparziale del lettore. Resta singolare il fatto, del tutto comprovato, che dopo quella battaglia fatale egli non vinse mai più! La perdita dei suoi manoscritti e l’inesorabile declino arrivarono mano nella mano!
Come nell’I Ching, The Philosophical Merlin non presentava una lista di domande ma invitava il consultante a tracciare quattro sequenze di linee verticali, da cui ricavare un tetragramma composto da singoli asterischi e coppie. A seconda della figura ottenuta tra le sedici possibili, il lettore doveva sfogliare il libro fino alla pagina corrispondente e leggere un lungo responso.
Sebbene in futuro avrebbe usato gli pseudonimi di Raphael e Merlinus Anglicus Junior, Robert Cross Smith si firmò per esteso sul frontespizio di The Philosophical Merlin. Lo stesso probabilmente non avvenne con The Book of Fate: il nome di Hermann Kirchenhoffer, che chiude la nota del traduttore accanto alla data di “Londra, 1° giugno 1822”, era probabilmente uno pseudonimo.
Il gioco di maschere si mantenne nell’edizione italiana, firmata da un fantomatico Osrevar Toigar accanto alla data di “Milano, 1° maggio 1895” (aggiornamento che forse si rese necessario per presentare l’oracolo come “nuovissimo”); Roberto Labanti mi ha fatto notare che, leggendolo al contrario, lo pseudonimo suona come “Ragio Traverso”.
Dietro il nome di Kirchenhoffer si nascondeva probabilmente l’astrologo Richard James Morrison (1795-1874). L’uomo, che usava anche lo pseudonimo di Zadkiel, pubblicò nel 1856 un oracolo del tutto simile a quello attribuito a Napoleone, intitolandolo questa volta alla regina Elisabetta (1533-1603). (11) Il riferimento storico era a un più vago manoscritto sottratto dalla biblioteca di Robert Devereux II (1566-1601), conte dell’Essex, condannato a morte dalla regina per tradimento.
Trentaquattro anni dopo, nella sua nuova versione, The Book of Fate divenne “regale”: The Royal Book of Fate coinvolgeva 64 esagrammi come nell’I Ching, presentando 64 di domande, ognuna delle quali conduceva ad altrettante risposte – per un totale di oltre quattromila responsi oracolari.
Senza dichiarare esplicitamente di essersi firmato Kirchenhoffer, in una pagina autobiografica Morrison scrisse di aver iniziato la carriera da scrittore nel 1822 pubblicando un libro geomantico. (12) Dal momento che l’astrologo cita i titoli di tutte le altre sue opere, lo strano riserbo su quella del 1822 fa propendere per la sua identificazione con Hermann Kirchenhoffer.
Nel 1884 The Book of Fate uscì negli Stati Uniti in un’edizione ridotta per l’editore Frank Tousey di New York. Il riferimento a Napoleone si manteneva nel titolo (Napoleon’s Oraculum and dream book) ma il volume non era firmato né citava mai l’Imperatore francese. Basandosi su tetragrammi, offriva sedici responsi ad altrettanti interrogativi, per un totale di 256.
1. Almeno due volte da Bietti & Reggiani negli anni 1924 e 1926.
3. Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine dell’Annunciazione della Sardegna e Cavaliere della Legione d’Onore.
4. The British Critic, Vol. XX, agosto 1823, pp. 138-143.
5. Non ho verificato in quale edizione, tra il 1826 e il 1835, l’errore viene corretto per la prima volta.
6. Charles Sonnini, Voyage dans la haute et basse Égypte, fait par ordre de l’ancien gouvernement, et contenant des observations de tous genres (2 voll.), F. Buisson, Parigi 1798.
7. “Antiquités de la Haute-Egypte. Fin du Rapport de la Commission des Arts, au Premier Consul”, N. CCX, 30.8.1800 in Jean Gabriel Peltier, Paris pendant l’année 1800, Vol. XXVIII, Imprimerie de T. Baylis, Londra, 1800, pp. 39-58. Il brano citato da Kirchenhoffer è l’intero paragrafo “Sepultures de Thebes” alle pp. 45-48 tranne l’ultima frase.
8. Louis-Madeleine Ripault, Report of the Commission of Arts to the First Consul Bonaparte on the Antiquities of Upper Egypt, J. Debrett, Londra 1800. Kirchenhoffer trascrive l’intero paragrafo “Sepulchres of Thebes” alle pp. 69-77 tranne l’ultima frase.
9. [Dominique] Vivant Denon, Voyage dans la Basse et l’Haute Egypte pendant les campagnes du général Bonaparte, Vol. 2, Cox, Fils et Baylis, Londra, 1802. Il brano di Ripault è alle pp. xxix-xxxii della appendice “Rapport fait au Premier Consul Bonaparte, par le Cytoyen Ripaud, Bibliothécaire de l’Institut d’Egypte. Description abrégée des principaux Monumens de la Haute-Egypte, accompagnée de Détails sur les Tableaux qui, en les décorant, servaient à faire conjecturer à quelles Divinités les Temples étaient consacrés”, pp. i-xl.
10. Robert Cross Smith e George Graham, The Philosophical Merlin, J. Denley, Londra 1822.
12. Morrison, op. cit., p. xiv. Due pagine dopo cita più precisamente l’estate del 1822 come data di pubblicazione del libro.
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