L’albergo in cui mi trovo sorge a pochi metri da rue Saint Victor. Alla fine dell’Ottocento i fratelli Lumière vi avevano installato la propria fabbrica. Il 19 marzo 1895 una cinepresa montata di fronte ai cancelli aveva ripreso, per 45 secondi, l’uscita degli operai dallo stabilimento. Proiettato su grande schermo a Parigi nel dicembre dello stesso anno, il cortometraggio entrò nella storia come primo film mai presentato al pubblico. Insomma, mi trovo a Lione, a due passi da qui:
È interessante accostare la sequenza ai lavori successivi di Georges Méliès, trattandosi di due approcci in totale contrapposizione. Mentre i Lumière cercavano di rappresentare la realtà il più fedelmente possibile, Méliès sfruttava il cinematografo per trascendere i limiti imposti dalle leggi naturali e mettere in scena l’impossibile.
I fratelli lionesi affascinarono gli spettatori della capitale lavorando sull’accuratezza dell’immagine, la ricchezza dei dettagli e la stabilità della proiezione. Avendo un passato da illusionista, Méliès valorizzò il potenziale illusorio dello strumento, giocando con il salto della pellicola per proporre una ricca sequela di effetti magici impossibili da proporre in teatro.
Non a caso l’approccio Lumière – che ricorda quello dei pittori realisti – venne inaugurato con la ripresa di una fabbrica cinematografica: il primo filmato offerto al pubblico era già un dietro-le-quinte autoreferenziale, che mostrava il luogo da cui fisicamente uscivano le pellicole dirette verso i café parigini. Nessun trucco e nessun inganno: solo la rigorosa e distaccata documentazione dell’uscita dal lavoro di quegli stessi operai grazie ai quali la proiezione poteva avvenire. Per i Lumière, la fedeltà delle immagini ritratte rendeva lo strumento prezioso per l’investigazione scientifica. L’aveva intuito due anni prima lo psicologo Alfred Binet, che aveva fatto realizzare una sequenza fotografica del mago Raynaly intento a eseguire alcuni giochi di prestigio – in vista della pubblicazione del saggio “La Psychologie de la Prestidigitation”.
Troverei ozioso chiedermi se preferisco l’approccio Méliès a quello più serioso dei fratelli Lumière: si tratta di linguaggi funzionali a espressioni diverse – e di certo troverei noioso un mondo in cui esistesse l’uno senza l’altro.
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