Il 31 dicembre 2014 Il Corriere del Ticino ha dedicato due pagine alla “Biblioteca magica del popolo”. Qui di seguito l’intervista che mi ha fatto Carlo Silini.
Ci risiamo. Con la fine dell’anno piovono oroscopi e previsioni per i 12 mesi a venire. È il momento d’oro degli scrutatori di stelle, dei profeti da rotocalco, dei mentalisti che vedono con precisione chirurgica nel futuro (per essere poi regolarmente sconfessati dai nemici delle bufale del CICAP). Il vizio è molto antico, in realtà. Ne fa stato un sito Internet straordinario, online appena da un mesetto, e curato da un prestigiatore che ama definirsi cultore del «materialismo magico», un altro modo per dire che la magia non esiste, ma i fenomeni stupefacenti sì: solo che si possono spiegare senza far ricorso a forze soprannaturali, buone o cattive che siano. Il sito si chiama Biblioteca magica del popolo e il suo curatore Mariano Tomatis, che oltre ad essere un illusionista e uno scrittore (ha firmato, fra i vari titoli: L’arte di stupire, Te lo leggo nella mente, Numeri assassini, La magia dei numeri, saggi grazie ai quali ha vinto il Premio Peano per la divulgazione) è curatore del museo di Rennes-le-Château e si è esibito come illusionista per Google e WIRED. L’abbiamo intervistato.
Mariano Tomatis, partiamo dal suo nuovo sito Biblioteca magica del popolo. Di che cosa si tratta?
È un progetto che nasce perché da qualche tempo sto scrivendo un saggio sui libri magici [La magia dei libri (Editrice Bibliografica 2015)]. Man mano che cercavo tutta la bibliografia che mi serviva, mi sono accorto che riuscivo a trovare tutti i testi in Rete gratuitamente. Non era scontato visto che si trattava di libri scritti anche secoli fa. Così mi sono costruito quello che all’inizio doveva essere un piccolo sito per tenere traccia di ciò che trovavo. Poi la cosa mi è scappata di mano anche grazie all’aiuto di un amico, Mauro Ballesio, che mi ha mandato molte segnalazioni. Alla fine ne è nato un sito che pubblica oltre 800 link dove si possono trovare i testi integrali di altrettante opere di magia scritte dal Cinquecento ad oggi. Non c’è nessun libro scaricabile direttamente dal mio sito, ma è già un grosso passo avanti. Perché le biblioteche magari mettono a disposizione il materiale che hanno. Ma il lavoro di classificarli, metterli in ordine per data, scrivere qualche riga di presentazione per ognuno di essi o anche solo selezionarli su questo specifico tema non l’aveva mai fatto nessuno.
Che libri si trovano?
Ci sono libri che raccontano la storia della magia, soprattutto la magia secolare. Per magia secolare bisogna intendere la magia degli illusionisti, non quella della tradizione esoterica. Ci sono libri che svelano i segreti della magia e sono destinati ai professionisti della magia e insegnano materialmente i trucchi del mestiere. E più in generale ci sono libri che si occupano di fenomeni strani e misteriosi che spesso hanno dei risvolti teatrali. A questa categoria appartengono per esempio libri sulle bolle di sapone, sull’automa che gioca a scacchi, sugli esperimenti di fisica dilettevole per cui si prendono degli oggetti e gli si fanno fare delle cose che sembrano magiche, ma in realtà sfruttano leggi fisiche poco note, esperimenti di chimica dilettevole, eccetera. Nel sito li ho elencati in due tipi di categorie: per secolo (libri del Cinquecento, del Seicento, del Settecento, dell’Ottocento, del Novecento e degli anni Duemila) e per categorie varie, come quelle già menzionate. I testi recenti sono o quelli liberi dal copyright, o quelli che arrivano fino agli anni Quaranta e che le biblioteche possono mettere in Rete perché non violano i diritti d’autore.
In diversi libri di cui lei offre i link si cita un prestigiatore spagnolo del Cinquecento: Daumatum. Chi era?
Era un prestigiatore di cui non si sa nulla raccontato in prima persona, ma si sa molto per i racconti degli altri. Doveva essere una celebrità in tutta Europa perché se ne parla in Paesi diversi. In Italia, per esempio, ne parlò il matematico Cardano. Costui sembrava in grado di fare una cosa che a tutt’oggi, quando la fanno i mentalisti, stupisce molto il pubblico.
Cioè?
Mostrava delle carte da gioco. Poi chiedeva a qualcuno di pensare ad una di quelle carte. Il suo punto di forza non era tanto quello di dirti poi con certezza qual era la carta pensata, ma era addirittura in grado di dire qual era la carta a cui lo spettatore stava pensando prima della scelta definitiva. In altre parole gli diceva: tu stavi pensando alla carta X, ma poi hai cambiato idea e hai scelto la carta Y. E ci azzeccava sempre, mandando tutti in visibilio. Oggi i prestigiatori stanno cercando di capire come fosse capace di un simile trucco. Quello che è certo è che molti suoi contemporanei ne sono stati testimoni senza giungere alla soluzione.
Un testo fondamentale è quello di Reginald Scot, The Discoverie of Witchcraft del 1584.
È considerato in terra anglofila il libro dei libri, perché è il primo che parla di illusionismo in lingua inglese. In Italia si potrebbe andare molto più indietro nel tempo, perché già Fibonacci o Leonardo da Vinci dedicarono alcuni capitoli dei loro libri ai giochi di prestigio e matematici. Quello di Scot, però, non nacque per insegnare giochi di prestigio. Il suo autore era un magistrato scandalizzato dal fatto che venissero mandate al rogo con eccessiva facilità le cosiddette “streghe” e che si attribuissero al demonio fatti o fenomeni che potevano tranquillamente essere spiegati con la ragione. Qualche secolo prima del saggio Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, Scot ha scritto un libro in cui cercava di far ragionare le corti e l’opinione pubblica sul fatto che laddove si voleva vedere per forza l’opera del diavolo, in realtà c’erano solo aspetti fisici anomali o strani. Uno dei capitoli del libro è infatti dedicato a una raccolta di giochi di prestigio a sfondo occulto in cui l’autore mostra come si ottengono degli effetti magici utilizzando dei trucchi.
Per esempio?
Per esempio racconta il trucco del mago che riesce a conficcarsi un coltello nel naso e poi, estraendo la lama, il naso resta perfettamente integro. È il vecchissimo trucco – utilizzato ancora oggi con i coltelli di plastica – della lama che rientra nel manico.
Questo magistrato del Cinquecento ha quindi studiato i fenomeni illusionistici per mostrare che le forze occulte non c’entravano nulla. Un illuminista ante litteram?
Direi di sì. Ma soprattutto la sua opera aveva uno scopo sociale: voleva sollevare le povere vittime da accuse di stregoneria che costavano loro la vita.
Fra i libri catalogati, molti raccontano le truffe dei ciarlatani. Come dire che anche in passato la gente era meno credulona di quanto si pensi.
Il mondo dei maghi e quello dei ciarlatani è da sempre sovrapponibile. E gli autori menzionati lo sapevano bene. Lo scopo dell’illusionismo è mettere in scena un inganno. Bisogna poi vedere la ragione di questa messinscena: se lo si fa per sottrarre del denaro è un conto, se lo si fa per farti tornare a casa meravigliato e stupito è un’altra cosa. Il trucco può essere lo stesso, ma l’obiettivo diverso. Da anni mi piace approfondire il ruolo dell’inganno e la domanda che mi pongo – e che è alla base della mia attività di illusionista – è se sia possibile accogliere un inganno come una forza positiva e come utilizzarlo per offrire qualcosa a una persona invece che sottrarre soldi al suo portafogli. Storicamente si vede che lo stesso trucco può sempre essere utilizzato nei due modi.
Lei, quindi, crede negli inganni «buoni»?
Penso che un uso “etico” dell’inganno sia concepibile. In particolare nel momento in cui è rivolto a stimolare la persona per destarla dal torpore in cui vive la propria giornata. Se le si offre qualcosa che stupisce, scuote e risveglia, può osservare il mondo da una prospettiva diversa.
Uno dei concetti che tornano in parecchie delle opere che lei ha classificato è quello dell’Hocus pocus. Di che cosa si tratta?
Hocus pocus, oltre ad essere una formula magica tra le prime utilizzate, è anche lo pseudonimo di un autore che non voleva apparire con nome e cognome in un libro inglese pubblicato qualche anno dopo quello di Reginald Scot e che nacque esplicitamente come raccolta di giochi di prestigio. Si apre con un lungo capitolo sul gioco dei tre bussolotti, uno dei più antichi che esistano e ancora oggi si vede nelle piazze e coinvolge tre palline e tre bicchieri. Le palline passano sotto un bicchiere, spariscono e attraversano magicamente il fondo. Il libro è una fotografia fedele dei giochi che si potevano vedere alle varie fiere inglesi – e non solo – dell’epoca. “Non solo” perché i libri stampati in Italia, Francia e Germania nello stesso periodo raccontano più o meno lo stesso repertorio. È come se si usasse un cronovisore. Uno osserva nelle pagine di questi libri uno spettacolo dell’epoca. Interessante che nei libri ci siano anche i testi di alcuni di questi giochi.
Che storie se ne possono ricavare?
Una delle storie che più mi hanno divertito è tratta dal primo libro francese di giochi di prestigio di Prévost – siamo alla metà del Cinquecento – che racconta il metodo per fare apparire i fuochi fatui nei cimiteri di notte. Dice semplicemente di prendere delle tartarughe di mettere sul dorso delle candele accese e poi di abbandonarle nei cimiteri. Si può immaginare che la vista delle luci che vagavano lentamente nel buio nel cimitero potesse scatenare reazioni di terrore con pochi simpaticissimi mezzi.
Fra i testi nel suo sito ce n’è uno che lei ha studiato in modo approfondito: Il Laberinto del 1610.
Il Laberinto è un ipertesto, ovvero un testo che non va letto in sequenza, ma lo si legge saltando da una pagina all’altra e veniva utilizzato nelle corti italiane del Seicento per presentare un esperimento di lettura del pensiero. Chi possedeva quel libro si trasformava in un mentalista. È un libro completamente ricoperto da immagini disposte alla rinfusa. Lo si apriva in una pagina a caso, si chiedeva a una persona di pensare ad una delle sessanta immagini rappresentate nelle due pagine aperte, dopodiché con sole tre domande il libro diventava una sorta di complice del mago e – senza che il trucco apparisse a chi osservava – gli suggeriva qual era l’immagine pensata. Riassumendo: il mentalista, con tre domande ben piazzate sulla base di istruzioni nascoste nel libro, poteva indovinare un’immagine pensata da un’altra persona. Insomma, un curioso libro, in realtà basato su una struttura matematica molto complicata che senza dare nell’occhio poteva essere manipolato davanti a tante persone.
Com’è nato il libro?
L’idea è nata all’inizio del Seicento. Il suo autore era Andrea Ghisi, un nobile veneziano. L’idea non si è molto diffusa anche se subito dopo uscì un altro libro basato sullo stesso metodo e intitolato La zecca aritmetica, perché rimase confinato in un’area geografica limitata, l’Italia, in un lasso di tempo piuttosto ristretto. Tuttavia il libro di Ghisi fu poi tradotto in inglese.
Un manuale per mentalisti del Seicento...
Qualcosa di più. Un manuale insegna dei trucchi, mentre questo è un vero e proprio complice perché non poteva essere letto: era composto solo da immagini. Le istruzioni andavano lette e poi buttate via, tant’è vero che è difficilissimo trovare copie del Laberinto con le istruzioni. Senza istruzioni, il libro diventava completamente muto a chi non conosceva il trucco. Uno poteva sfogliarlo e non capire mai cosa rappresentasse. Tant’è che per secoli si è pensato che fosse un libro esoterico e la disposizione delle immagini fosse legata a qualche simbologia occulta.
E lei le istruzioni le ha trovate?
All’inizio no. Nella copia che ho avuto a disposizione io non ce n’erano. Ho dovuto ricostruire il trucco e capire come funzionava restaurandone una copia. Poi ne abbiamo trovato una copia con le istruzioni, che effettivamente coincidevano.
E il trucco funziona ancora oggi?
Sì, e ne ho costruito la versione digitale sul mio sito Internet, dove uno può giocare al Laberinto, farsi leggere il pensiero dal computer che utilizza in modo filologicamente accurato quella sequenza di immagini e lo stesso trucco che Andrea Ghisi aveva ideato nel Seicento (clicca qui per giocare).
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