Hai mai visto uno specchio che si rifiuta di riflettere gli esseri umani? Eccolo.
Gabinetto pubblico a Hyde Park Corner, Londra (17 ottobre 2014).
La sua storia parte da New York e arriva a Londra. Eccone il tortuoso percorso.
Anthony chiamò il taxi per raggiungere il McManus Café da Union Square. Tradiva un certo nervosismo e si sfogò con il guidatore: «È una serata tremenda. Avevo un appuntamento con una ragazza, ma ho perso il suo numero e il nome del ristorante. La notte scorsa abbiamo parlato in questo bar per più di due ore. Tra di noi è scattato qualcosa. Me ne sono innamorato dal primo momento.» Non ricordando dove fosse l’appuntamento, stava tornando nel luogo dove si erano conosciuti: «Mi ha detto che è un posto che frequenta spesso, quindi andrò là e la aspetterò tutta la notte, magari si farà viva. Non posso credere di essere stato così stupido! Voglio dire, ci siamo veramente piaciuti ieri sera. Ha tutto quello che cerco in una donna. È intelligente, divertente… ha una risata meravigliosa… alta, mora. Semplicemente bellissima. Non ho provato niente di così forte per nessuna donna in tutta la mia vita.» Lasciandolo di fronte al bar, il tassista gli augurò buona fortuna. Poi la vettura gialla si allontanò silenziosa.
Mezz’ora più tardi, lo stesso tassista aveva scaricato un cliente all’angolo tra la 16ma e la 5a strada, quando Kate gli fece un segno con la mano. Chiedeva di essere portata in un ristorante sulla 20ma: «Sa, ho un appuntamento lì con un ragazzo che ho conosciuto ieri sera.» Il guidatore le chiese dove si fossero incontrati, e la ragazza indicò un punto vago. «Da queste parti...» Il tassista si voltò di colpo, chiedendo concitato: «Quando? Quando? Quando?»
Ebbene sì. In una città di 7 milioni di abitanti, l’uomo stava vivendo la coincidenza più sorprendente della sua vita: Kate era la donna che Anthony stava aspettando nel posto sbagliato.
«Ti porterò io da quest’uomo!» esclamò l’eccitatissimo guidatore. Quando arrivarono di fronte al bar, il tassista suonò il clacson e lampeggiò i fari verso il giovane. Poi abbassò il finestrino e iniziò a urlare: «L’ho trovata! L’ho trovata! L’ho trovata!» Kate fece appena in tempo a scendere dal taxi, quando Anthony la abbracciò incredulo. All’interno della vettura, il tassista aveva un sorriso che andava da un orecchio all’altro. Acconsentì a farsi fotografare con i due giovani innamorati, e si allontanò con una storia incredibile da raccontare a parenti e amici. In quella notte di mezza estate, il destino lo aveva trasformato in Cupido, facendo di lui l’eroe di una classica commedia romantica newyorchese. Una sola cosa gli sfuggiva. Il destino c’entrava fino a un certo punto. Dietro le quinte, infatti, era in azione un’intera squadra. Impegnata in un’attività sofisticata chiamata magic experience design.
La storia accaduta a New York la sera del 29 luglio 2005 coinvolgeva sei persone. Come in una elaborata candid camera, solo il tassista era ignaro del complesso lavoro di progettazione dietro le quinte. Oltre ai due “innamorati” erano in azione Charlie, Chris e Susannah. Quest’ultima era rimasta ferma davanti al McManus Café, fingendosi una passante, pronta a scattare una foto nel momento in cui il tassista avesse riunito la coppia. Sul posto c’era anche Chris, che riprendeva la scena da una certa distanza con una videocamera. Charlie era la mente dell’organizzazione e l’elemento centrale della staffetta in cui il tassista era stato coinvolto. Il tutto si era svolto in tre fasi:
- Anthony aveva preso il taxi dal punto A al punto B (il McManus Café), raccontando durante il viaggio la disavventura della sera prima.
- Charlie salì sul taxi al McManus Café, fingendo di non conoscere Anthony. Non disse una parola durante il tragitto da B a C, ma avvertì Kate con un sms che tutto stava andando secondo i piani.
- Al punto C fu Kate a ignorare Charlie e salire sul taxi, chiedendo di essere portata nel punto D (il ristorante). Durante il tragitto l’autista cambiò direzione, puntando il McManus Café e consentendo ai due amanti di ricongiungersi.
Sin da bambino Charlie Todd era stato un tipo scherzoso, ma come gli era venuto in mente di mettere in scena una commedia tanto elaborata? Dietro quello che poteva sembrare un banale scherzo c’era un dettaglio chiave. È Charlie a raccontarlo: «Il termine “scherzo” non mi sembrava il più adeguato per descrivere quello che avevamo fatto. […] Ci siamo accorti di esserci imbattuti in un’idea inedita: scherzi che non necessitano di una vittima. Era molto facile organizzare una messa in scena che facesse arrabbiare qualcuno. […] Era una sfida molto più interessante mettere in piedi una situazione che offrisse alle persone un’esperienza positiva – una storia sorprendente che avrebbero potuto raccontare per il resto della loro vita.»
Troppo facile ridere di qualcuno facendogli cadere un secchio d’acqua in testa. La svolta di Todd fu di collocare la classica “vittima” di uno scherzo non più in una situazione spiacevole, ma al centro di un evento in grado di stupirla e scuoterla dal torpore della vita quotidiana. La storia del tassista newyorchese incarna la quintessenza di quella che – prendendo a prestito un’espressione coniata da Ferdinando Buscema – chiamo magic experience design: progettare un’esperienza magica significa dar vita a un evento che offra al suo protagonista un momento di stupore e una storia fuori dall’ordinario da raccontare.
L’uso di sotterfugi per produrre effetti straordinari, che all’apparenza violano le leggi di natura, è antico quanto l’uomo. Prime ad adoperarli furono figure sciamaniche che facevano da tramite con il mondo degli spiriti. Erano tempi in cui il destino delle comunità umane era in mano a misteriose forze ultraterrene, da compiacere e tenere a bada. Gli sciamani gestivano i riti religiosi, tramandavano i racconti mitologici e curavano le malattie del corpo e dello spirito – riassumendo in sé le doti oggi necessarie per fare il sacerdote, l’uomo di spettacolo, il narratore, il medico e lo psicologo. Ricostruendo alcuni dei loro metodi, lo psichiatra Roger N. Walsh descriveva la figura del “sognatore” – una spia incaricata di raccogliere informazioni su un malato ascoltando le conversazioni private dei suoi conoscenti, per poi riferirle in segreto allo sciamano. Costui, in un secondo momento, poteva riferirle al paziente come se provenissero da una fonte arcana. In altri casi gli sciamani nascondevano in bocca piccoli sassi, che poi fingevano di risucchiare dal corpo di un malato per simulare l’estrazione di un calcolo.
Secondo una lettura cinica di tali dinamiche, l’inganno – e il senso di reverenza per suo tramite evocato – serviva a consolidare il potere di una casta sacerdotale a scapito delle classi più deboli. Tale punto di vista, però, non prende in considerazione l’esistenza di Charlie Todd ante litteram, che mettevano a punto scenari fittizi per far vivere esperienze positive, mirando al benessere dei loro protagonisti. In ambito medico, i “trucchi” potevano essere parte integrante di un onesto processo di cura; come ipotizzò Tom Cowan: «Il trucco faceva parte del bagaglio dello sciamano, essendo egli o ella consapevole che spesso la mente deve essere ingannata per curare il corpo. Alcuni sciamani sfruttavano in maniera così estesa i trucchi e le manipolazioni dei prestigiatori da essere fraintesi dagli osservatori occidentali e bollati come semplici ciarlatani. Costoro non coglievano la possibilità che trucchi e illusioni fossero uno strumento per compiere in modo spettacolare, nella realtà ordinaria, le trasformazioni che dovevano occorrere sul piano psicologico o spirituale.» Cosa c’era di irrazionale nell’incoraggiare l’effetto placebo, approfittando del proprio carisma da guaritore con la simulazione di una cura?
Attenendosi alle fonti storiche documentate, chi ricostruisce la storia dell’illusionismo spesso parte analizzando le mirabolanti macchine di Erone di Alessandria. Contemporaneo di Gesù Cristo, il matematico greco aveva inventato numerosi meccanismi dal funzionamento meraviglioso. Il più noto, basato su un complesso congegno idraulico, provocava l’apertura automatica delle porte di un tempio accendendo il fuoco su un braciere. Una dimostrazione del genere incoraggiava la fede negli dei: evocati attraverso la fiamma rituale, essi davano segno della loro presenza spalancando l’ingresso del tempio a loro dedicato. La performance aveva certamente risvolti magici, ma i fedeli ne erano coinvolti solo come spettatori passivi. Diverso era il caso della “lecanomanzia”, un metodo divinatorio che offriva – a chi vi partecipava – un’esperienza sconcertante. In un calderone di metallo (il lecano) si versavano acqua e olio, e dai loro movimenti si traevano indicazioni per il futuro. Nei suoi Philosophumena Sant’Ippolito documentò un’elaborata illusione grazie alla quale i sacerdoti facevano apparire l’immagine degli dei nell’acqua. Il pentolone era truccato: il fondo era di vetro, e attraverso un buco nel pavimento si poteva osservare una stanza segreta sotterranea. Accendendo o spegnendo un fuoco, un complice nascosto al piano inferiore poteva attivare o disattivare le visioni. Quando la luce era spenta, l’acqua rifletteva il volto di chi ne osservava la superficie; una volta accesa, il calderone funzionava come un oblò attraverso il quale alcuni attori si mostravano nelle vesti di spiriti e demoni.
Scrivendo la Divina Commedia, Dante immaginò l’aldilà e lo descrisse con versi così efficaci da consentirci di “vederlo” con gli occhi della mente – dal cratere infernale all’anfiteatro della Candida Rosa, attraverso la ripida collina del Purgatorio. Il linguaggio e la penna fecero da tramite dalla sua immaginazione alla carta, e ancora oggi – attraverso la lettura – possiamo immergerci idealmente nel mondo che ha minuziosamente arredato. Chi progettò l’esperienza del lecano aveva un problema simile: immaginare l’aspetto dell’aldilà e ricrearne le fattezze. Raccontarlo, però, non bastava: qui bisognava arredare una stanza vera e propria, rivelarne l’aspetto attraverso un sofisticato marchingegno e popolarla di persone truccate da demoni.
Se scegliendo le parole giuste Dante poté descrivere le tre teste di Lucifero di colore rosso, giallo e nero, farle apparire sotto il pentolone avrebbe richiesto un notevole lavoro di make-up sul corpo di chi l’avesse interpretato. Diversi autori documentano questa pratica. Nel II secolo d.C. Luciano di Samosata raccontò della stanza in penombra in cui si poteva incontrare un serpente dalla testa umana che conversava con i presenti; rappresentava il dio Glicone, ed era stato realizzato applicando a un vero rettile una testa di stoffa dalle fattezze umane, che muoveva la bocca come un burattino.
Ricreare in terra porzioni dell’aldilà, per consentire ai fedeli di averne una visione, fu la prima attività di magic experience design di cui abbiamo testimonianza scritta. Rispetto alla semplice lettura di una sua descrizione, sperimentare dal vivo l’oltretomba era molto più sconcertante, perché offriva – al testimone dell’esperienza – una storia che avrebbe raccontato in prima persona per tutta la vita.
Tra i due modi di plasmare narrazioni sull’aldilà c’è una differenza cruciale. Dante è al tempo stesso autore della storia e colui che la racconta. È lui a immaginare di raggiungere l’ingresso dell’Inferno attraverso una selva e a raccontarlo nella Commedia. La sua è una mitopoiesi diretta.
L’anonimo che concepisce l’aldilà sotto il lecano non ne racconta in prima persona le caratteristiche ma si serve di un tramite: è la persona che ne fa esperienza a raccontare com’è fatto, avendone avuta una percezione diretta – per quanto mistificatoria. Il processo mitopoietico qui è indiretto, perché mira a far sì che un individuo terzo riferisca una storia nei termini decisi dall’autore. Se il progettista del lecano truccato immagina un Lucifero tricapite, la sua mitopoiesi ha successo se chi ha partecipato al rituale riferisce di aver visto un demone dalle tre teste rossa, gialla e nera.
Con l’espressione magic experience design propongo un approccio alla magia che prescinde dalla natura profonda – sia essa normale o paranormale – di quello che succede: l’attenzione è tutta rivolta alla storia fuori dall’ordinario raccontata da chi ha vissuto l’esperienza magica. L’atteggiamento è simile a quello che Alan Turing propose con il suo test; invece di giudicare l’intelligenza di una macchina da ciò che avviene all’interno dei suoi circuiti, il test del matematico inglese prescinde dai livelli profondi: è intelligente ciò che, in una conversazione, mostra reazioni indistinguibili da quelle umane. Ignorando la necessità di una fantomatica “scintilla vitale” per certificare l’intelligenza, il test di Turing concede spazio all’ipotesi materialista secondo cui un giorno le macchine potranno pensare.
Il dibattito intorno al paranormale si arena spesso sull’esistenza (o meno) di entità immateriali difficili da rilevare – dal fluido di Mesmer all’aura, dagli spiriti intelligenti al sesto senso. L’espressione “esperienza magica” fornisce una via d’uscita originale dalla classica dicotomia tra sostenitori e critici del paranormale, evitando di fare riferimento alla natura sottostante dell’evento: essa prende in considerazione solo la narrativa che ne emerge; in questo senso, è “magico” ciò è percepito come tale – come per Turing è intelligente ciò che si comporta in modo intelligente.
Accettando (anche solo temporaneamente) questo punto di vista, la magia perde ogni dimensione esoterico/tradizionale e diventa materia democratica, accessibile a chiunque e – in qualche misura – addirittura riproducibile: se è magico ciò che verrà raccontato come tale, lo studio della magia si riduce all’analisi dei meccanismi con cui agisce una mitopoiesi indiretta finalizzata a produrre storie sorprendenti, meravigliose e surreali. Tale obiettivo si può raggiungere con ogni mezzo necessario: accorgimenti tecnici, tecniche psicologiche, sottrazione occulta di informazioni, astuzie matematiche…
Come spiegano tutti i manuali sull’illusionismo, il mago deve manipolare nel presente la percezione di ciò che avviene e agire sui ricordi perché la storia che verrà raccontata si discosti lungo direzioni fantastiche da ciò che è avvenuto davvero. Uno specchio collocato opportunamente maschera una botola e rende impercettibile il trucco che consente alla magia di compiersi. Al termine dell’evento, il mago può ricapitolare quanto è avvenuto omettendo dettagli chiave, introducendo elementi spuri e suggerendo interpretazioni del fatto tali da influenzare il ricordo che si avrà dell’esperienza.
Alcuni illusionisti operano addirittura nel futuro, offrendo ai potenziali spettatori video promozionali realizzati in computer grafica in cui le illusioni sono esagerate rispetto a quanto si vedrà in teatro: in questo modo sfruttano una sorta di priming, incidendo anticipatamente sulla percezione di chi li vedrà lavorare in un contesto live.
Durante l’estate 2013 mi trovavo a Londra nei pressi di Hyde Park Corner. Raggiunti i gabinetti pubblici, mi sono avvicinato a un lavandino. Alzando casualmente lo sguardo, mi sono cercato nello specchio e non mi sono trovato: tutto vi si rifletteva, tranne me. È stata un’esperienza magica del tutto inaspettata, ma nessuno l’aveva concepita su misura per colpirmi. Lo specchio era stato semplicemente rimosso, forse perché danneggiato: ne restava la cornice, a dividere due file di lavandini perfettamente simmetriche – tali da creare l’illusione di un riflesso. Osservato razionalmente lo stanzone, tutto si chiariva: la disposizione degli arredi e la mancanza dello specchio suggerivano per puro caso la presenza di una superficie riflettente. Confermandomi che un’esperienza magica può emergere dal nulla, senza alcun intervento umano; il segreto sta nell’essere sintonizzati per coglierla, confidando – come scriveva François Truffaut – che «la vita ha molta più immaginazione di noi» .
Le spontanee anomalie del mondo e le esperienze magiche progettate dagli esseri umani esauriscono l’insieme delle storie che l’umanità da sempre associa alla dimensione della magia e del paranormale? È una domanda a cui forse non potremo mai rispondere in maniera definitiva. Ma se questa inestirpabile incertezza è occupata dal “fantastico”, il mondo avrà sempre in serbo per noi una quotidiana dose di incanto.
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