Il breve racconto “L’illusionista” di Steven Millhauser divenne noto al grande pubblico per il film omonimo realizzato da Neil Burger (2006).
Ambientata a Vienna, la vicenda mette al centro il duello intellettuale tra il mago Eisenheim – ispirato a Erik Jan Hanussen (1889-1933) – e il tutore della legge Walther Uhl. In una dotta analisi del racconto, la studiosa Yoshimi Nitta fa notare il ruolo dell’illusionista come minaccia per l’ordine costituito.
Uhl scopre che l’obiettivo di Eisenheim è quello di “scuotere le fondamenta dell’universo, minacciare la nozione di realtà e dunque mirare a un obiettivo ben più grave: sovvertire l’Impero. Perché dove andrebbe a finire l’Impero, una volta che l’idea stessa di confini diventasse sfumata e incerta?” Egli intuisce le implicazioni più radicali nelle illusioni di Eisenhein, che potrebbero contribuire a sovvertire il sistema politico e, al limite, far crollare il regime. Con la sua magia, Eisenheim lavora per scuotere il pubblico dal torpore, e Uhl è l’unico a capirlo. Agendo come custode della legge, è la sua stessa presenza tra il pubblico a essere percepita come simbolo della legalità. Incaricato di vegliare sull’ordine sociale, Uhl sorveglia Eisenheim per censurare quello che fa sul palcoscenico e impedirgli di incoraggiare attività o pensieri sovversivi. Dall’altro lato, come per dimostrare che l’autorità esercitata dall’Impero è puramente illusoria, Eisenheim fa apparire dal nulla un ragazzino senza nome tra il pubblico. Il numero di magia serve a cancellare la percezione di un confine tra gli spettatori e l’illusione. Dando vita a una situazione tanto disturbante, Eisenheim supera il limite fissato da Uhl e diventa un’esplicita minaccia. Per riassumere, la performance magica mostra di avere una grande potenza nel mettere in dubbio non soltanto il confine tra le poltrone del teatro e il palcoscenico, ma anche la credibilità dell’Impero. Se non ci fosse Uhl tra gli spettatori, Eisenheim potrebbe eliminare l’ovvio confine tra ciò che è reale e ciò che è immaginario, tra coscienza e inconscio. [...] Nel racconto “L’illusionista” il mago cerca di sovvertire il concetto stesso di senso comune. Le illusioni di Eisenheim mettono in discussione l’idea che alcune nozioni intangibili – come il “senso comune” – esistano davvero, suggerendo che si tratti piuttosto di meri figmenti dell’immaginazione.
Cogliendo appieno il potenziale militante della magia da palcoscenico, Yoshimi Nitta conclude:
Il mondo rappresentato sul palcoscenico riflette la situazione politica e sociale corrente e il pubblico è infettato in modo nascosto dai messaggi che vi incorpora l’illusionista. [...] Mettendo in scena uno spettacolo fuori dall’ordinario, l’artista non si limita a offrire storie che conducano gli spettatori verso mondi analoghi a quello in cui vivono, ma spinge anche il pubblico a confrontarsi con le contraddizioni che si nascondono nelle loro esistenze quotidiane.
- Il nucleo dell’idea di una magia militante risale all’epoca di Luther Blissett, quando si invocavano “maghi materialisti, antifascisti, libertari, [...] contro i divini di tutte le risme”; la sollevazione si chiudeva con un sovversivo “Hasta la magia siempre!” (vedi qui).
- L’idea di portare in scena numeri di magia militante ha dato vita al Laboratorio di Magnetismo Rivoluzionario, da me realizzato con Wu Ming.
- “Magia al popolo!” ha dato il titolo alla giornata di presentazione del romanzo di Wu Ming L’armata dei sonnambuli che si terrà a Carpi (MO) il 22 ottobre 2014 (vedi qui):
Tutti i post sono distribuiti con Licenza Creative Commons BY-NC-SA 4.0