Martedì 3 giugno 2014 ho presentato L’arte di stupire a Pavia presso la libreria Il Delfino insieme a Ferdinando Buscema e allo scrittore ed esperto di giochi Beniamino Sidoti.
Durante l’incontro è intervenuto Luca Casarotti, membro del Collettivo No Slot (con lui c’erano anche Ludovica Cassetta e Mauro Vanetti) e storico giapster. Trascrivo qui di seguito l’intervento che ha dedicato al nostro libro, in cui ricorrono l’arte del viver bene di Spinoza e la poetica di Gianni Rodari.
Mi piace tantissimo una cosa che aveva detto Wu Ming 1 a proposito del libro. Ne stavamo parlando una sera, prima che uscisse. Mi disse: «Lo devi leggere, perché tutta la tesi di fondo riguarda la necessità che l’arte magica debordi dai luoghi deputati e da mestiere specializzato diventi performance art al servizio della “buona vita”. Molto spinoziano, se vogliamo.» È uscito, l’ho letto e devo dire che quella definizione è più che mai calzante. Nel tempo della lettura – lo lessi in un giorno, complice un 25 aprile di pausa – quello che ricordo meglio è il senso di levità trasmesso da molte delle storie raccontate. Non dico “leggerezza calviniana” perché mi sono accorto che è un’espressione che stanno usando in tantissimi senza aver letto le Lezioni Americane, e dunque parlando a sproposito, anche se nel caso de L’arte di stupire l’espressione si addice.
Io ho letto a brevissima distanza, quasi immediatamente uno dopo l’altro, la Grammatica della fantasia di Gianni Rodari e L’arte di stupire, e come spesso succede, al di là della volontà degli autori, i libri sono entrati in potente risonanza. L’ho scritto a Mariano e la reazione è stata all’altezza de L’arte di stupire: «Grammatica della fantasia? L’ho comprato due giorni fa!» Trovo che, fatte le debite differenze perché nei due libri si maneggiano materiali molto diversi, ci sono parecchi punti di contatto tra le poetiche dei due testi. Una delle cose che hanno in comune è di sfruttare molto quella che Rodari chiama “ipotesi fantastica”: cosa succederebbe se…? È la prima cosa che ho scritto a Mariano. Ma forse, riflettendoci, una comunanza più fondamentale ancora è che tutti e due i libri sono una sorta di manuale per selezionare delle storie che valga la pena raccontare; L’arte di stupire agisce più sul pratico, o quantomeno su un pratico differente rispetto a Rodari, ché anche l’inventare storie è a tutti gli effetti un atto pratico, ma di fatto racconta delle storie, selezionando dal flusso della quotidianità delle storie che per la particolare “rivelazione” che portano con loro valgono la pena di essere raccontate. Poi, come risulta chiaro leggendo L’arte di stupire, le parole possono evocare scenari di diverso tipo e il punto fondamentale è trovare storie che non siano tossiche, ma siano piuttosto come quella degli Improv Everywhere con cui si apre il libro, che mi ha colpito molto ed è una “buona storia”: val la pena di essere raccontata non soltanto perché viola una consuetudine o in generale una norma di qualche tipo, ma anche e soprattutto in quanto, eticamente, è una “buona storia”.
Mi piace vedere questo libro come un contributo alla ridefinizione, o meglio ancora, alla restituzione al termine “gioco” – e a tutto il campo semantico che gli sta attorno – del suo significato originario, ludico; questo recupero abbiamo cercato di farlo anche noi, complice Beniamino Sidoti che ci ha insegnato molto sul punto, nel nostro libro Vivere senza slot, in cui cerchiamo di disincrostare il termine “gioco” dalla sovrapposizione semantica che lo porta a essere identificato immediatamente come “gioco d’azzardo”: nel linguaggio comune noi utilizziamo spesso il termine “gioco” come sinonimo di “gioco d’azzardo”, quando in realtà le connotazioni dei due termini sono molto diverse, a tratti radicalmente separate. La connessione tra i due è meno forte di quanto comunemente si pensi.
Poi ho trovato interessantissima la riflessione sulla mindfulness, cioè l’atteggiamento mentale che predispone a prestare attenzione al dettaglio, alle variazioni minime ma inconsuete che non si coglierebbero tenendo un livello di concentrazione impostato sulla “modalità predefinita”, viaggiando col “pilota automatico”. Le neuroscienze collegano la mindfulness al fatto di trovarsi in determinate situazioni fisiche o psichiche. Credo si tratti di qualcosa che io sperimento quotidianamente, nella mia condizione di non-vedente, che mi costringe ad ascoltare anche quel che normalmente si dovrebbe vedere. È così, ad esempio, per la lettura dei libri. Prova ne sia che l’esperimento di mindfulness proposto ne L’arte di stupire, di cui ora ovviamente non faccio spoiler, con me è riuscito subito, senza che dovessi leggere la soluzione.
Luca Casarotti
Pavia, 3 giugno 2014
Durante il viaggo in treno da Torino a Pavia avevo con me due libri. Uno era Grammatica della fantasia di Gianni Rodari (l’altro scoprilo qui). Sulla mia edizione (2013) il testo è preceduto da alcune recensioni uscite nel 1974. Quella di Giulio Nascimbeni sul Corriere della sera ben isolava un aspetto rivoluzionario della Grammatica:
Secondo Rodari, il nocciolo originario di una storia è un’immagine che nasce dallo scontro di due elementi, come la scintilla è prodotta da quello tra due fili elettrici. La tesi del “binomio fantastico” sta a Rodari come quella del fanciullino stava a Pascoli, con la differenza che questa è una tesi per la quale non serve essere poeti con l’alloro, ma semplicemente bambini. (1)
Se non è più necessario l’alloro del poeta per raccontare belle storie (perché basta essere bambini) che bisogno c’è di appartenere a un’élite per diventare maghi?
1. Giulio Nascimbeni, Corriere della Sera, 25.8.1974.
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