L’illusionista affonda le sue radici nella figura del trickster. Difficile da tradurre in italiano (“briccone”, “mistificatore”, “imbroglione”), il termine deriva da trick che significa “tiro mancino” o anche “scherzetto” (ad Halloween i bambini propongono l’alternativa trick or treat, “dolcetto o scherzetto”). Il trickster è una categoria mitica, presente in tutte le culture e religioni dell’antichità, che incarna una naturale ambivalenza. Fondamentalmente ribelle e riluttante a essere inquadrato con precisione, come tutte le figure liminali è una costante minaccia per l’ordine costituito.
Oscillando tra astuzia e dabbenaggine, il trickster si muove sul precario equilibrio tra genio e follia. Non a caso molti aspiranti illusionisti etichettano come “pazzo, pazzo, pazzo!” il proprio spettacolo, allineandosi con orgoglio a una documentata tradizione storica. Purtroppo, in molti casi, la categoria della “follia” per definire un’esibizione serve solo a giustificarne il pressapochismo e la mancanza di compattezza stilistica. Il tutto si basa sulla falsa idea che rompere le regole sia semplice e alla portata di tutti. Mario Tronti evidenzia la difficoltà di farlo in un frammento cui i Wu Ming hanno dato risalto sul blog Giap e a cui ispirano la propria azione politico-letteraria:
Ribellarsi è giusto: ma bisogna farlo bene, saperlo fare bene, imparare a saperlo fare bene, e questo è il compito di una vita.
Nel 2012, al congresso mondiale del FISM, il giovane mago francese Yann Frisch ha proposto “Baltass”, una rielaborazione moderna del più antico gioco di prestigio del mondo – quello dei bussolotti.
Il gioco dei bussolotti nel Medioevo (a sinistra) e oggi (a destra).
Nel corso della routine, che gli ha meritato il titolo di “campione del mondo”, Frisch interpreta la parte del pazzo. Con un controllo della follia da prendere a esempio.
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