Lo chiamavano “il fachiro di Porta Palazzo” perché si esibiva abitualmente nella centralissima piazza torinese. Pietro Gatti (1886-1954) era nato a Candiolo ma si era trasferito a Torino quando era ancora bambino.
Nel capoluogo piemontese
aveva scoperto in sé qualità non comuni agli altri mortali il giorno in cui, salito su un treno merci per farsi trasportare gratuitamente da Torino a Candiolo, si era accorto che il convoglio non fermava alla stazione del suo paese: per cui senz’altro si gettava da uno dei carri e piombava malamente al suolo riportando larghe e profonde ferite in tutto il corpo. (1)
Trasportato d’urgenza in ospedale, gli fu prescritto un ricovero di almeno 25 giorni. Nonostante ciò, la convalescenza fu più breve del previsto:
Con sommo stupore dei medici, il Gatti non accusava il più piccolo dolore e […] le sue ferite tendevano a rimarginarsi con una rapidità che aveva del prodigioso. (2)
Il medico che lo aveva in cura esclamò: «Ma costui dovrebbe fare il fachiro!», e il giovane paziente – ormai completamente guarito – seguì il consiglio. Per allenarsi,
saliva quasi tutte le settimane sul treno merci e si lanciava dal convoglio in corsa, incurante delle contusioni e lacerazioni che ne riportava. (3)
Chiamato alle armi, fu riformato perché
terrorizzava commilitoni e superiori girando per le camerate nudo con uno spillone che gli trafiggeva le spalle. (4)
Scritturato dalla compagnia di spettacoli diretta da Giovanni Bondi, Gatti si esibiva con il nome d’arte di Gücia (“ago” in piemontese) e distribuiva depliant in cui si definiva “fenomeno fachiro mondiale, visitato da celebrità mediche di tutti i paesi d’Europa e d’America” (5)
Il suo numero più applaudito era quello della botte:
Completamente nudo, salvo un piccolo paio di mutandine, il Gatti si faceva rinchiudere nell’interno di un barile alle cui pareti erano stati fissati centinaia di cocci di vetro. Chiusa la botte, questa veniva fatta rotolare per il palcoscenico sino a che il pubblico in piedi urlava: «Basta, basta!» Era il grande momento del Gatti. Al suono di una marcetta eroica egli emergeva dal barile, tutto cosparso di ferite, ma sorridente. (6)
Si ritirò dalle scene prima degli anni Trenta. Nel 1933 lo studioso di spiritismo A. Boccardi ricordò Gücia durante un’intervista rilasciata a La Stampa, dicendo che
Anni or sono vi era a Torino un tale Pietro Gatti, che si magnificava del titolo di «fenomeno fachiro mondiale» (7)
Nel 1938 Gatti si separò dalla moglie, fruttivendola al mercato torinese di Piazza Madama Cristina. L’anno successivo andò a convivere con Giuseppina Salvai in un monolocale in via Ormea 12; la Salvai era una collega di lavoro presso una ditta di accessori per auto. (8)
L’uomo si rivelò molto violento e la compagna non ebbe vita facile. Il rapporto si fece via via più teso, fino a sfociare nella tragedia: sfinita dalle continue botte, la mattina del 14 febbraio 1954 la donna uccise il marito a martellate. (9)
1. “La vita avventurosa del «fachiro» Gatti assassinato dall’amante in via Ormea”, La Stampa, 17.2.1954.
2. Ibidem.
3. Ibidem.
4. Ibidem.
5. U.P., “A colloquio con un cultore di studi spiritici. I trucchi dell’illusionismo.”, La Stampa, 6.1.1933, p. 6.
6. La Stampa, 17.2.1954.
7. La Stampa, 6.1.1933, p. 6.
8. La Trama, sita a Torino in via Campana 15.
9. “Una donna uccide nel sonno l’amante poi tranquillamente va a giocare a carte”, La Stampa, 16.1.1954. Dopo una perizia psichiatrica effettuata dal dott. Villata, nel giugno 1954 il Pubblico Ministero Buscaglino chiese al giudice di dichiarare non punibile la donna per infermità totale di mente (La Stampa, 6.6.1954).
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