Secondo lo scrittore americano Jim Thompson ci sono trentadue modi di scrivere una storia, ma fondamentalmente una sola trama: le cose non sono quel che sembrano. (1)
La lezione non si applica solo all’ambito della magia teatrale – dove la percezione è costantemente sfidata per creare l’illusione dell’impossibile: l’idea di capovolgere (e sconvolgere) i punti di vista ha contaminato largamente letteratura e cinema moderni. Ecco due magnifiche opere di cui esplorare gli affascinanti universi narrativi.
Il best seller dell’estate, scritto dal giovane svizzero Joël Dicker e pubblicato in Italia da Bompiani, merita tutto il successo che sta avendo. Se Twin Peaks costruiva la propria trama intorno alla domanda “Chi ha ucciso Laura Palmer?”, qui la giovane uccisa si chiama Nora. Lo sfondo è identico: una cittadina americana dove tutti hanno qualcosa da nascondere e un giovane detective (Dale Cooper qui è Marcus Goldman) che arriva da una grande città e vuole dipanarne i misteri. Ma se la serie di Lynch alludeva in modo massiccio a implicazioni metafisiche, mantenendo svariate sottotrame sotto un’ombra sinistra e irrisolta, il meccanismo narrativo di Dicker è un congegno sofisticato i cui pezzi si incastrano tutti perfettamente. Il romanzo è un rompicapo ingegnoso, che svela i vari indizi con un timing ben calibrato e prende a sberle il lettore a ogni pagina, capovolgendo di continuo gli scenari aperti da ciascuna nuova rivelazione. Per il modo in cui manipola la percezione di chi ne affronta la lettura, è stato paragonato a F for Fake di Orson Welles. Il parallelo è azzeccato: nulla, nel romanzo di Dicker, è quel che sembra.
In nota trovate i link alle recensioni entusiaste di Corrado Augias (2) , Giancarlo De Cataldo (3) e Mariarosa Mancuso (4) .
Alpi francesi, a due ore di macchina da dove vivo. Un pullman pieno di bambini esce di strada e finisce in un burrone. La cittadina dell’Alta Savoia è sconvolta dalla notizia, e le famiglie coinvolte costrette a elaborare un lutto atroce. Tre anni dopo, tale percorso è bruscamente interrotto dal ritorno a casa di Camille. È viva e non ricorda nulla dell’incidente in cui ha perso la vita.
“I ritornanti” della serie TV di Fabrice Gobert e Frédéric Mermoud non hanno nulla a che spartire con i classici zombie: indistinguibili dai vivi, non riescono a dormire e hanno molta fame, ma più di tutto rivogliono il posto che hanno lasciato morendo. Il loro ritorno, però, getta nello scompiglio la piccola comunità montana, devastandone gli equilibri e riportando alla luce tutto ciò che di oscuro i vivi avevano cercato di seppellire. Il lento prosciugarsi del lago artificiale che incombe sulla cittadina va di pari passo con la presa di coscienza che il desiderio di riabbracciare qualcuno che è morto ha risvolti inaspettati e inquietanti – se esaudito alla lettera.
Memorabile e spietato il ritratto di un sacerdote, alle prese con l’inaccettabile idea che il concetto di “risurrezione” abbia perso ogni connotato simbolico, applicandosi letteralmente per Camille e gli altri come lei.
Come ne “La verità sul caso Harry Quebert”, la serie offre un’appassionante trama gialla i cui ingredienti vengono dosati con ritmo sapiente – e svariati cliffhanger di fine episodio mi hanno letteralmente fatto saltare sulla sedia. Non mancano i risvolti thriller (riuscirete a impedire al piccolo Victor di visitarvi durante i vostri incubi?) e sfacciatamente horror, ma se a Twin Peaks si ispirano le dinamiche della piccola cittadina di montagna in cui ognuno ha qualche scheletro nell’armadio, “Les Revenants” si tiene lontana dagli aspetti grotteschi del cinema di Lynch, offrendo piuttosto atmosfere severe e del tutto prive di umorismo. Fra le nebbie della Savoia, una sola regola sembra reggere all’Apocalisse: le cose non sono quel che sembrano.
La recensione perfetta di questa ipnotica serie, dai raffinati risvolti filosofici, l’ha scritta qui (molto meglio di me) Lenny Nero. Non ho nulla da aggiungere alle sue parole, se non un aperto ringraziamento per avermi segnalato il capolavoro francese. Otto puntate che ho divorato. Nel terrore che la seconda serie (annunciata per il 2014) rompa l’incantesimo.
1. Cit. in Antonio D’Orrico, “Mani in alto: questo è un capolavoro!” in Corriere della Sera – Sette, 14.6.2013.
3. Giancarlo De Cataldo, “L’arte della menzogna” in Repubblica, 27.5.2013.
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