Raccontare la decadenza attraverso l’illusionismo. Ce lo consentono due film usciti a mezzo secolo di distanza.
Nel 1963 Federico Fellini dirige “8½”. La pellicola è un viaggio nella mente di un regista in preda al blocco dello scrittore. In una scena il protagonista Guido Anselmi, interpretato da Marcello Mastroianni, si imbatte in un illusionista particolarmente su di giri – tale Maurice (Ian Dallas). Insieme all’assistente Maya (Mary Indovino), il mago si esibisce in una sbraitata esibizione di lettura del pensiero. Quando Maurice avvicina Guido, la sensitiva gli legge nella mente alcune parole misteriose: “ASA NISI MASA.” (1) La scena è seguita da un lungo flashback che svela l’origine delle strane parole. Quando era bambino, il regista usava la frase come formula magica: pronunciata nel modo giusto, era in grado di muovere le pupille di un uomo ritratto in un dipinto, facendole puntare verso un tesoro nascosto.
Secondo il critico Paul Meehan, la scena farebbe riferimento all’enigmaticità del processo creativo, tale da essere impenetrabile perfino a un telepata. (2)
Lo sguardo di Fellini sul mago è benevolo, e la scena densa di incanto. Si avverte l’eco degli incontri del regista con Gustavo Rol, il sensitivo torinese che non solo dava prova di leggere nel pensiero, ma riusciva a modificare a distanza i quadri, usando speciali formule magiche. Sempre a Torino, gli occhi della Statua della Fede, di fronte alla Chiesa della Gran Madre di Dio, guarderebbero nella direzione di un tesoro mitologico – il Santo Graal, sepolto chissà dove in città. La scena di “Maurice il mago” sembra permeata dalle tematiche delle conversazioni tenute tra i bronzi e gli arazzi di Rol.
Anche “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino racconta la storia di un artista in crisi. Ospite odierno de “La Repubblica delle Idee”, il regista napoletano ha già dedicato al mago Silvan pagine affettuosamente amare in Tony Pagoda e i suoi amici. (3)
Come in “8½”, anche il protagonista de “La grande bellezza” – Jep Gambardella (Toni Servillo) – si imbatte in un illusionista.
La bellezza totale delle terme di Caracalla illuminate a giorno [...] e, contro lo sfondo monumentale delle terme, in mezzo al prato, da sola con i suoi irreali cinque metri d’altezza, illuminata dai proiettori, c’è una giraffa. [...] Non lontano dalla giraffa, elettricisti e operai vari, indifferenti anche alla giraffa, fumano e parlano di calcio come se niente fosse. Jep, a bocca aperta per lo stupore, è anche lui lì e fissa la giraffa. Gli si avvicina un uomo sui cinquanta, alto, elegante, ritoccato chirurgicamente, con una sigaretta sottile tra le mani. Si chiama Arturo. (4)
Ancora un riferimento torinese? Arturo Brachetti non fuma, ma è il più affascinante tra gli illusionisti italiani contemporanei.
Jep: Arturo, tu che ci fai qui?
Arturo: Come che ci faccio? Provo il mio spettacolo di magia. Questo è il numero clou di domani sera. La scomparsa della giraffa.
Jep: Fai scomparire la giraffa?
Arturo: Certo che faccio scomparire la giraffa.
Jep: E allora, Arturo, perché non fai scomprarire anche me?
Cinquant’anni dopo Fellini, però, l’illusionista di Sorrentino è impotente. E non lo nasconde.
Arturo: Jep, secondo te, se davvero si potesse far scomparire qualcuno, io starei ancora qui, alla mia età, a fare ’ste baracconate? È solo un trucco.
A mezzo secolo di distanza, l’autentica magia di Maurice ha lasciato spazio all’amara consapevolezza che è un trucco. Solo un trucco. Ma è un’amarezza relativa. Perché Sorrentino ne coglie comunque risvolti di incanto, affidando a Jep un monologo finale in cui la vita è colta nei suoi frammenti più intensi e contrastanti:
Il silenzio e il sentimento. L’emozione e la paura. Gli sparuti, incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell’imbarazzo dello stare al mondo.
Una ricchezza che ha valore nonostante il disincanto. Nonostante la consapevolezza che
In fondo, è solo un trucco. Sì, è solo un trucco.
1. La parola deriva da “Anima” e si ottiene aggiungendo – dopo ogni sillaba – la desinenza “s*”. Aggiungere lettere fisse alle sillabe è un classico gioco infantile: quando ero bambino io, il “linguaggio farfallino” si otteneva posponendo le lettere “f*”; la parola “Anima” sarebbe diventata “AFA NIFI MAFA”.
2. Paul Meehan, Cinema of the Psychic Realm: A Critical Survey, 2010, p. 49.
3. “Alla fine, quando tutti moriranno, Silvan vivrà. È immortale, come lo scoglio. Se lo fissi attentamente negli occhi, nei capelli bloccati, nel fisico asciutto, dici: ha trent’anni. Lo guardi un attimo dopo e dici: ne ha centotrenta.” in Paolo Sorrentino, Tony Pagoda e i suoi amici, Feltrinelli, Milano 2012, capitolo 3.
4. Paolo Sorrentino e Umberto Contarello, La grande bellezza, Skira 2013.
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