Quando Vittorio Zucconi gli chiede perché non ci sia sesso nei suoi romanzi, Dan Brown risponde che si tratterebbe di un trucco di bassa lega per catturare i lettori; i buoni romanzi devono essere svuotati di tutto ciò che è ridondante e gratuito. Per ribadire il concetto, sceglie un’infelice citazione di Alfred Hitchcock:

Il dramma è la vita senza tutto ciò che c’è di noioso. (1) 

Il giornalista coglie la gaffe e replica di trovare il sesso tutt’altro che noioso.

È l’unica risposta di Dan Brown che esce dal copione a cui lo scrittore ci ha abituati.

L’intervista che apre “La Repubblica delle idee” è ospitata nella sala dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze. Chi ha letto il romanzo Inferno avverte un curioso cortocircuito: nella stessa sala il protagonista Robert Langdon trova uno degli indizi che l’autore ha voluto sulla copertina del libro – una minuscola scritta sull’affresco del Vasari che oggi molti cercano di catturare con il cellulare. Tale cortocircuito è anche uno degli elementi alla base del suo enorme successo editoriale.

Quando Samuel Coleridge parlò di “sospensione volontaria dell’incredulità”, faceva riferimento alla disposizione di chi vuole apprezzare un’opera di fantasia – come quando a teatro si perdona un fondale dipinto in maniera sommaria, accettando che si tratti di una foresta, o leggendo Cappuccetto Rosso si chiude un occhio su un lupo che parla.

L’illusionismo è l’unica arte a non richiedere tale sospensione: il mago che usa un filo per far volare un oggetto, deve fare in modo che il trucco non si veda. È compito suo sospendere l’incredulità dello spettatore, e ci riesce solo quando è davvero bravo. Nel corso di una performance scadente il filo potrebbe vedersi. In questo caso, per godersi lo spettacolo, il pubblico sarebbe costretto a ignorarlo volontariamente. Quando tutto fila liscio, chi osserva un mago in azione è testimone dell’impossibile anche senza sospendere attivamente il proprio spirito critico.

Dan Brown ha un simile approccio alla scrittura. Il lettore che percorra le vie di Firenze col suo libro in mano ne può verificare la maniacale accuratezza topografica. La stessa precisione si ritrova in gran parte degli elementi storici con cui hanno a che fare i protagonisti dei suoi romanzi. Con Il codice Da Vinci tutti ci siamo sorpresi di fronte al volto effeminato di Giovanni l’Evangelista sull’Ultima cena di Leonardo, e il sospetto che si trattasse della Maddalena – sollevato dentro il romanzo – ha colto anche noi, che ne viviamo all’esterno.

Quando l’autore ci invita a osservare l’affresco del Vasari, non dobbiamo sospendere alcuna incredulità, ma solo alzare gli occhi: le parole “CERCA TROVA” sono lì, davanti ai nostri occhi come a quelli di Robert Langdon.

Lo scarto minimo, il filo che deve nascondere per bene, è quello tra i ruoli che tale scritta assume nel nostro mondo e in quello del romanzo. Nelle pagine di Inferno, è una tappa lungo un’eccitante caccia al tesoro. Nel nostro mondo, la scritta ha origini e significati più prosaici (magnificamente analizzati da Alfonso Musci (2) .)

Dan Brown offre, del nostro mondo, una versione “aumentata”: il livello che aggiunge è fatto di enigmi, complotti e percorsi di indizi dalla logica ferrea. Integrandoli negli intricati giocattoli che sono i suoi romanzi, lo scrittore reincanta in modo sistematico piazze, opere d’arte, frammenti della Divina commedia e addirittura – ne Il simbolo perduto – la banconota da un dollaro, sede di oscuri richiami massonici. Pur con un linguaggio popolare e uno stile tutt’altro che raffinato, Dan Brown ci costringe a guardare la realtà con occhi diversi, esclamare “Wow!” e partecipare con lui al gioco del complotto, della caccia al tesoro, del salvataggio del mondo dalle grinfie dei malvagi.

E quando conferma a Zucconi di cercare l’ispirazione appendendosi a testa in giù – per ossigenare meglio la testa, ma anche per vedere il mondo da un punto di vista inedito – è impossibile non pensare a Dale Cooper: il bizzarro e asessuato protagonista di Twin Peaks – partorito dal genio visionario di David Lynch – praticava ogni mattina lo strano rituale, dichiarando una simile volontà di osservare le cose in modi insoliti e interrogandosi sui complotti intorno alla morte di John Kennedy.

Ovviamente non tutti percepiscono (e apprezzano) lo scarto. Su Internet sono numerosi i siti complottisti, secondo cui i romanzi di Dan Brown rivelerebbero – in forma di fiction – verità altrimenti irriferibili. Il fastidio espresso dalla Chiesa Cattolica per Il codice Da Vinci emerse, in parte, dal desiderio di “proteggere” i lettori ingenui dai pensieri blasfemi espressi nel best seller in forma romanzesca.

Poiché è difficile stimare quanta parte dei lettori pratichi una fede ingenua nelle sue storie e quanta, invece, partecipi al gioco in maniera consapevole (3) , il copione delle interviste di Dan Brown è del tutto standard. Quando Zucconi gli chiede se creda davvero che Maria Maddalena abbia sposato Gesù, lui risponde immediatamente di sì. Rassicurata la parte del pubblico che crede nella verità letterale dei suoi romanzi, può rivolgersi agli altri, precisando meglio e offrendo l’evidenza – per chi sappia coglierla – che in fondo è tutto un gioco.

Lo stesso schema si ripete quando il giornalista cerca di incastrarlo definitivamente:

Lei crede a quello che scrive?

La risposta è ancora un netto sì. Seguito da una lucidissima analisi sulla tendenza a cercare (e trovare) schemi e complotti anche dove non ci sono, per una naturale disposizione mentale. Ma è l’intera conversazione a oscillare tra un colpo al cerchio e uno alla botte. Intervistate un qualsiasi lettore del pensiero dopo uno spettacolo a teatro (“È vero quello che fai?”) e ne otterrete la stessa miscela di ambiguità, alla base del personal branding di ogni illusionista che si rispetti.

Eppure gli sono grato per la citazione di Hitchcock: mi riporta alla mente Edward Gorey, che cattura meglio un aspetto paradossale dell’esistenza umana – e la conseguente difficoltà a tradurla in fiction. Secondo l’illustratore statunitense,

la vita è intrinsecamente noiosa e rischiosa allo stesso tempo. In ogni istante, una botola potrebbe aprirsi sotto i nostri piedi. Ovviamente non lo fa quasi mai; ed è esattamente questo che rende la vita così noiosa. (4) 


Note

1. Alfred Hitchcock, “Drama is life with the dull bits cut out.” cit. in Leslie Halliwell, Hallywell’s Filmgoer’s Companion, HarperCollins, Londra 1984.

2. Alfonso Musci, “Giorgio Vasari: «cerca trova». La storia dietro il dipinto.” con un’Appendice di Alessandro Savorelli in Rinascimento, N. 51, Olschki Editore, Firenze 2011, pp. 237-268.

3. I termini “fede ingenua” e “fede ironica” sono usati da Michael Saler nel suo As If – Modern Enchantment and the Literary Prehistory of Virtual Reality, Oxford University Press, New York 2012.

4. Cit. in Max Maven, “Mayday! Mayday!” in Magic Magazine, maggio 1992, p. 13.
Difficile misurare quanto sarcasmo ci fosse nelle parole di Michelangelo, quando sosteneva di aver realizzato la scultura del Mosé limitandosi a sottrarre le parti della pietra in eccesso, ma l’idea che l’arte proceda per sottrazione è affascinante. Meglio della Clarke, Austin Kleon esplora il concetto nel suo libro Newspaper Blackout. All’autore texano basta un pennarello per far emergere, da un semplice giornale, frasi dall’elegante minimalità – in un gioco facile da riprodurre ma difficile da padroneggiare. Perché c’è minimalità e minimalità. È certamente essenziale il riassunto che Andrea Marcenaro fa dell’intera operazione “La Repubblica delle Idee”, pubblicato oggi su Il Foglio. E se per Woody Allen Guerra e pace “parla della Russia”, per il giornalista l’intelligencija della sinistra italiana si è data appuntamento nella capitale del Rinascimento – e ha messo in piedi tutto questo ambaradan – intorno a due sole parole. Berlusconi merda.

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