Qual è la relazione tra Arte e Contenuto? Banksy scriveva che

La fama non si raggiunge attraverso opere d’arte nate al solo scopo di raggiungere la celebrità. Oggi la notorietà è l’effetto collaterale della creazione di qualcosa che abbia un significato(1) 

Allo stesso tempo, troppo “contenuto” produce più Didascalismo che Arte. Durante un’intervista, Willem De Kooning (1904-1997) diede una definizione sottile di “contenuto”:

Il contenuto è un colpo d’occhio su qualcosa, un incontro come in un lampo. È minuscolo... è una minuscola cosa, il contenuto. (2) 

Questo concetto è al cuore dell’approccio minimalistico all’Arte (e – perché no? – alla divulgazione). Mi sono imbattuto nella citazione di De Kooning questa mattina, quando il mio amico ed esperto di storia dell’arte Diego Cuoghi mio ha segnalato la profonda analisi di Susan Sontag (1933-2004) “Contro l’intepretazione” (1964), dedicato al tema sollevato nel mio recente documentario “L’ombra di Poussin”.

Il pensiero di De Kooning è stato scelto da Susan Sontag in apertura del suo saggio, dedicato alla paranoide ricerca di “contenuti” nell’arte classica – basata sulla moderna assunzione che ogni opera d’arte debba dire “qualcosa” per definizione.

Nessuno di noi potrà mai ritrovare quella stagione di innocenza che precedette tutte le teorie, quando l’arte non aveva bisogno di giustificarsi, e non ci si chiedeva che cosa “dicesse” un’opera d’arte perché tutti lo sapevano, o credevano di saperlo. [...] In quasi tutti gli esempi moderni, l’interpretazione è un rifiuto filisteo di lasciare in pace l’opera d’arte. La vera arte ha la capacità di innervosirci, ridure l’opera d’arte al suo significato e poi interpretare questo significa addomesticarla. L’interpretazione rende l’opera d’arte gentile e accomodante.

Le sue conclusioni meritano una riflessione:

Il valore più alto e più liberatore che esista nell’arte – e nella critica – d’oggi è la trasparenza. S’intende per trasparenza il fare esperienza della luminosità della cosa in sé, delle cose per quelle che sono. [...] Tanto tempo fa (diciamo all’epoca di Dante) architettare le opere d’arte in modo che potessero essere percepite a livelli diversi era verosimilmente una esperienza rivoluzionaria e creativa. Oggi non lo è più; rafforza anzi quel principio di ridondanza che è la principale calamità della vita moderna. Tanto tempo fa (quando la grande arte era rara) interpretare le opere d’arte doveva essere un’operazione rivoluzionaria e creativa. Oggi non lo è più.

Nel suo saggio la Sontag sembra prevedere con precisione l’odierno sovraccarico informativo dovuto a Internet, e proprio a tale contesto fa riferimento nel ridefinire la figura dell’artista e del critico:

Basti pensare alla moltiplicazione delle opere d’arte a disposizione di ciascuno di noi, che s’aggiungono ai sapori, agli odori e agli spettacoli contrastanti dell’ambiente urbano per bombardare i nostri sensi. La nostra è una cultura basata sull’eccesso, sulla sovrapproduzione, da cui consegue una costante diminuzione di acutezza della nostra esperienza sensoriale. Tutte le condizioni della vita moderna – la sua abbondanza materiale, il suo affollamento – congiurano a ottundere le nostre facoltà sensorie. Ed è dalle condizioni dei nostri sensi, delle nostre facoltà (e non di quelle di un’altra epoca) che deve essere determinato il compito del critico. Ciò che oggi è importante è ricuperare i nostri sensi. Dobbiamo imparare a vedere di più, a udire di più, a sentire di più.

Le sue conclusioni sono provocatorie.

Il nostro compito non è quello di trovare in un’opera d’arte la quantità massima di contenuto, e ancor meno di spremerne più contenuto di quello che già c’è. Il nostro compito è di sfrondare il contenuto in modo da poter vedere la cosa nella sua essenza.

Un’idea splendidamente sintetizzata nella frase che chiude il suo saggio.

Anziché di un’ermeneutica dell’arte, abbiamo bisogno di una erotica dell’arte. (3) 


Note

1. Banksy, Wall and Piece, Century 2006.

2. Willem de Kooning: The North Atlantic Light, 1960-1983, Museum of Modern Art, Stockholm, 1983. Intervista con Harold Rosenberg e David Sylvester.

3. Susan Sontag, “Against Interpretation”, 1964 (il saggio completo).

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