Uno dei più antichi ipertesti magici della storia ha più di quattro secoli. Lo crea nel 1607 Andrea Ghisi, un nobile veneziano appassionato di magia. Poiché non si deve leggere dall’inizio alla fine, ma ogni pagina offre quattro percorsi alternativi, lo intitola Il Laberinto.
A sinistra: l’edizione londinese del 1610. A destra: l’edizione veneziana del 1616.
Si tratta di un libro anomalo. Contiene poche parole e moltissime immagini, perché il suo scopo principale non è quello di raccontare una storia: il libro, infatti, consente di leggere nel pensiero.
Il laberinto è una raccolta di 21 tavole, una per ciascuna lettera dell’alfabeto italiano, ognuna delle quali copre due pagine. Ogni tavola presenta le stesse 60 immagini, mescolate in modi sempre diversi, suddivise in quattro riquadri di 15 figure ciascuno.
La tavola O tratta dall’edizione londinese del 1610.
Quando qualcuno pensa a una delle figure, sono sufficienti tre domande per capire di quale immagine si tratti. La seconda edizione del libro, pubblicata a Londra nel 1610, offre la possibilità di presentare un secondo effetto magico: con un percorso attraverso le diverse tavole del libro, è possibile indovinare un numero pensato da 1 a 60.
Il libro è praticamente introvabile, e ne sono sopravvissute poche copie, ma oggi come quattrocento anni fa, funziona alla perfezione; nessuno, però, è mai stato in grado di svelarne i meccanismi segreti e di offrirne una mappa esaustiva. Di recente, la ricercatrice egiziana Nadya Chishty-Mujahid ha definito “profondo e eccitante” il mistero offerto dal libro di Ghisi:
A fronte degli ovvi sforzi che ha richiesto la creazione del Laberinto, sfortunatamente il profondo (e forse eccitante) mistero che offre questo labirinto iconografico è venato dalla frustrazione che sorge dalla totale assenza di regole fisse attraverso cui giocarci. (1)
Lo studioso di alchimia Adam McLean confessa la sua incapacità di svelarne i meccanismi, sospettando la presenza di un messaggio ermetico nascosto tra i suoi tortuosi percorsi:
Non sono in grado di dire se quest’opera abbia una qualche valenza esoterica, dal momento che non sono stato in grado di risolvere la sua enigmatica struttura. L’uso delle immagini ispirate ai Tarocchi di Mantegna potrebbe non avere un grosso ruolo, dal momento che la prima edizione riportava un diverso gruppo di figure. Tuttavia il fatto che l’opera sia stata pubblicata in questa forma nel 1616, periodo che vide l’esplosione delle pubblicazioni a carattere ermetico e alchemico, suggerisce che la sua struttura possa contenere qualche messaggio ermetico. (2)
Qualche anno fa, però, qualcuno aveva forse scoperto il suo segreto: si chiamava Vanni Bossi, ed era un apprezzato storico della prestigiazione. Nel 2006, in uno studio dedicato ai book test (3) , il noto illusionista Max Maven aveva attribuito a Vanni Bossi l’introduzione del libro di Andrea Ghisi presso la comunità magica. Interrogato sull’argomento, il 28 maggio 2008 Bossi mi aveva scritto:
Ho lavorato per alcuni anni sul “labirinto” del Ghisi, che entro l’anno dovrebbe essere pubblicato in fac-simile accompagnato da un saggio, più o meno nello stile del Galasso e del Cardano già pubblicati. Un lungo commento su di esso è anche presente in un mio studio sulla magia italiana che era quasi pronto per la pubblicazione alla fine del 1999, salvo bloccarsi a causa della malattia e seguente perdita di mia moglie. Ho ripreso a lavorare solo recentemente su questo progetto con nuove aggiunte. Penso che sarà pronto per la pubblicazione il prossimo anno. (4)
Purtroppo Vanni Bossi è morto nel dicembre 2008, portando con sé i segreti del Laberinto. In occasione della sua morte, ho scritto:
Stava preparando la pubblicazione di un libretto che ora, senza di lui, difficilmente vedrà la luce: una perla magica ritrovata nelle pieghe della storia, di cui mi parlava negli ultimi tempi con orgoglio e impazienza. Non so quanti altri sapessero di questo suo progetto, né se qualcuno lo riprenderà in mano in omaggio al suo genio; me lo auguro di cuore: lo meriterebbe.
Il “libretto” cui mi riferivo era proprio Il Laberinto di Andrea Ghisi, che all’epoca non avevo visto neppure in fotocopia.
Riportare alla vita Il Laberinto significa condurre a termine un lavoro cui Vanni Bossi ha dedicato molte ore di studio; per farlo, devo procurarmene una copia e restaurarla, senza poter contare sul materiale dello studioso di Castellanza. Gli appunti da lui lasciati sono voluminosi ed è impossibile accedervi in tempi brevi; gli eredi stanno provvedendo a un meticoloso lavoro di riordinamento, ma le note sul libro di Andrea Ghisi non sono ancora saltate fuori.
L’impresa presenta una serie di ostacoli. Vanni Bossi aveva potuto lavorare su una copia dell’edizione del 1616, a me inaccessibile. Mi sento come Guglielmo da Baskerville, che nel Nome della Rosa è costretto a ricostruire la struttura di una labirintica biblioteca senza poterci entrare.
Nel maggio 2010 è per me decisivo un incontro con Bill Kalush: lo studioso statunitense mi segnala che una copia in PDF dell’edizione del 1610 è disponibile negli archivi del suo Conjuring Arts Research Center. Il file trovato nel database del centro studi americano è sufficiente per un lavoro accurato e un’analisi completa.
Trattandosi dell’edizione inglese, devo dapprima tradurne le istruzioni; le immagini, invece, hanno mantenuto il loro nome italiano. La creazione del facsimile vero e proprio si compone di diverse fasi. Ogni figura va scannerizzata e restaurata digitalmente, per rimuovere le tracce di sporco e le distorsioni dovute alle cattive condizioni delle pagine. Le 1260 xilografie vanno, poi, impaginate seguendo la stessa struttura del libro originale; il rischio di commettere un errore è enorme, dunque affido a un computer il gioco di tutte le 60 “partite” possibili, a partire da ciascuna figura. Il “controllo elettronico” individua tutte le imprecisioni e mi consente di correggerle.
La tavola L prima (a sinistra) e dopo il restauro digitale (a destra).
La parte più difficile del lavoro riguarda il riconoscimento dei 240 piccoli numeri che compaiono su quattro tavole. Molti di loro sono illeggibili, e la loro ricostruzione mi pone una sfida simile a quella di un enorme Sudoku: devo dapprima capire con quale logica sono stati assegnati, quale sia la relazione tra i numeri delle diverse tavole e predisporre un secondo “controllo elettronico” per verificare il funzionamento di tutte le opzioni di gioco.
Qual è il numero associato alla Lumaca? E i numeri delle due figure alla sua sinistra?
I buchi vengono via via colmati, e dopo diverse ore la griglia è completa. Dopo la trascrizione dei vari numeri accanto alle 240 figure, procedo a un secondo controllo per escludere eventuali errori.
La realizzazione del facsimile non esaurisce il mio interesse per Il Laberinto: la parte più divertente del lavoro deve ancora venire, ed è la sua completa mappatura. Scopro che la sua planimetria è caotica e ridondante per quasi il 70% delle sue immagini; le isole di ordine sono poche ma cruciali. Per illustrarne i segreti, tra qualche mese pubblicherò La mappa del Laberinto di Andrea Ghisi; cuore del lavoro è questo schema, che in un solo colpo descrive la struttura dell’intero libro e consente di prevedere tutti i possibili percorsi attraverso le sue pagine:
La mappa del Laberinto
Ma poiché la mappa non è il territorio, impossibile goderne appieno senza Il Laberinto (o il suo facsimile) tra le mani.
A sinistra: il facsimile del Laberinto da me realizzato.
A destra: La mappa del Laberinto di Andrea Ghisi in uscita a maggio.
Se siete interessati al facsimile, scrivetemi: è disponibile in un numero limitato di copie.
1. Nadya Chishty-Mujahid, “An Examination of Andrea Ghisi’s Venetian Labyrinth Game and its Hermetic Predecessor, the Mantegna tarocchi”, relazione tenuta il 9 aprile 2010 in occasione dell’Annual Meeting della Renaissance Society of America.
2. Adam McLean, “Labarinto and the Tarrochi of Mantegna”
3. Max Maven, “Book Tests – The History”, Magicseen, n. 11, novembre 2006.
4. Comunicazione privata all’autore.
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