La serie Lost è finita, ma la critica è divisa: molti fan pretendevano risposte relative ai molti enigmi offerti dai due autori, ed è nata a tempo record una petizione mondiale per richiedere una spiegazione a tutte le questioni rimaste in sospeso.
Nel corso di sei anni, i creatori della serie hanno messo in piedi un intero universo narrativo che ruota intorno a un’isola sperduta nell’Oceano Pacifico: Lost racconta le travagliate avventure dei superstiti di un disastro aereo, che si trovano – insieme agli spettatori – ad affrontare e “risolvere” continue situazioni enigmatiche, misteri scientifici e dilemmi filosofici.
Gli autori sono stati abili a realizzare una vera e propria “mitologia” a sostegno della serie televisiva, al punto che si sono create vastissime community di appassionati che analizzano ogni suo elemento, pubblicano articoli a sostegno dell’una o dell’altra ipotesi, realizzano spin-off utilizzando frammenti della serie “ufficiale” opportunamente ri-doppiati e si riuniscono in gruppi di discussione nel tentativo di fornire ricostruzioni coerenti del passato dell’isola, dei personaggi e delle relazioni che intercorrono tra essi; per “fissare” in una complicatissima rete lo stato dell’arte è nata una enciclopedia wiki chiamata Lostpedia.
È Damon Lindelof, uno degli autori, a fornire una interessante riflessione sui misteri della serie e su un diffuso atteggiamento da parte dei fan.
Durante un flashback nel corso di una puntata dedicata alla “bella” del gruppo, Kate Austen (1) , si scopre che – anni prima – la ragazza aveva affrontato una lunga serie di peripezie per recuperare il modellino di un aeroplano custodito in una cassetta di sicurezza. Lo spettatore restava all’oscuro dei motivi per cui quel giocattolo potesse essere così importante. Racconta Lindelof:
Il pubblico non sapeva che cosa potesse significare per lei e lo ha scoperto solo otto episodi dopo. Lei da bambina aveva messo quell’aeroplanino in una capsula del tempo, e ora quell’oggetto rappresentava il simbolo del suo amore perduto. C’è una scena in cui lo sceriffo è con lei all’aeroporto e tiene l’aeroplanino in mano e ne racconta la storia, dicendo praticamente: «Questo è tutto quello che c’è da sapere su questo aeroplanino». Quella è la storia definitiva, basta, finito. Ma dopo che l’episodio è andato in onda, la gente continuava a chiedere: «Quando scopriremo la verità sull’aeroplanino?». E noi stavamo lì ogni volta a ripetere: «Ma come? Ve l’abbiamo raccontata tutta quella storia!». Non c’era niente da fare, avevano delle teorie sull’argomento e non le volevano abbandonare. Cose come «c’è un microfilm dentro l’aeroplanino» oppure «il significato reale dell’oggetto gioca un ruolo cruciale per l’intera serie». E invece no, basta con l’aereoplanino. Non ne sentirete più parlare. [...] Eppure alcuni spettatori non vogliono accettare la soluzione di certi misteri perché non corroborano la loro teoria”. (2)
È davvero curioso: neppure gli stessi autori della mitologia sono in grado di contenere le derive interpretative del proprio pubblico. Né, probabilmente, hanno mai avuto alcuna intenzione di farlo: proprio grazie alla sua natura di “opera aperta” Lost è diventata un oggetto di culto, e di certo mai prima d’ora la negative capability di Keats era stata messa alla prova in dimensioni così globali.
1. Episodio 1x12 “Whatever the Case May Be” (in Italia “Il mistero della valigetta”)
2. Intervista a Damon Lindelof in Carlo Dallonte e Giorgio Glaviano, Lost e i suoi segreti, Roma: Dino Audino editore, 2007, p.125.
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