Non credevo di riuscire a leggere la pagina di un oracolo maya con così grande facilità: merito della sorprendente abilità divulgativa di Michael Finley, che qui illustra in modo chiaro e dettagliato come decifrare gli oscuri geroglifici del Codice di Dresda.

Come tutti i libri maya, il Codice è costituito da una lunghissima striscia di carta alta una ventina di centimetri e lunga svariati metri. La striscia è piegata a soffietto in tante pagine larghe circa 15 centimetri, ed è costituita da una fibra ricavata da una varietà selvatica di fico che veniva assottigliata e imbiancata attraverso uno strato di calce spalmato sulla sua superficie.

Il primo a decifrare una parte dei misteriosi geroglifici impressi sul codice tedesco fu un bizzarro e geniale studioso autodidatta di origini francesi, tale Constantine Samuel Rafinesque (1783-1840). Oltre che di botanica, archeologia, zoologia e meteorologia, Rafinesque si occupava anche di linguistica, e in un articolo pubblicato nel febbraio 1832 su una rivista da lui curata (1)  rivelò di aver imparato a contare come la sconosciuta civiltà che aveva realizzato il codice di Dresda. Non sapeva ancora che si trattasse dei Maya, ma la sua intuizione si rivelò preziosissima nei decenni a venire.

Il codice riportava diverse strisce con simboli stilizzati di questo tipo:

Particolare del Codex Dresdensis, p.27. I numeri rappresentati sono: sulla prima riga 16, 2, 15 e 15; sulla seconda riga 3, 14, 4 e 12.

Lo studioso francese scrisse che rappresentavano dei numeri, e notando che i pallini non erano mai più di quattro, suggerì che questi valessero 1 e che le linee valessero 5.

Il primo simbolo in alto a sinistra significava dunque 16, poiché era la somma di un pallino (1) e di tre linee (3×5=15); il secondo simbolo, la coppia di pallini, valeva 2, mentre il terzo, le tre linee, valeva 15 (3×5). Il tempo avrebbe dato ragione a Rafinesque: si trattava proprio di numeri, e una volta indovinata la chiave, il metodo per convertirli nella notazione occidentale era molto semplice.

Pochi anni dopo si scoprì che i Maya erano in grado di usare i punti e le linee per esprimere numeri anche molto grandi, disponendoli su più livelli. I numeri da 1 a 19 erano di semplice scrittura, mentre il 20 introduceva una novità sorprendente: il numero zero, rappresentato da una conchiglia.

Archivista della biblioteca che lo custodiva, Ernst Wilhelm Förstemann (1822-1906) era molto interessato alla decifrazione del Codice di Dresda: i disegni che lo decoravano erano rimasti oscuri fino alla scoperta della Relacion del las Cosas de Yucatan, il libro scritto nel 1566 dal conquistador Diego De Landa; sulla Relacion a ogni giorno era associato un diverso geroglifico ed erano annotate, come noi facciamo sui moderni calendari da muro, le principali festività religiose. Studiando questo testo, Förstemann aveva scoperto che i maya utilizzavano un calendario chiamato Tzolkin.

Mentre noi oggi abbiamo 7 nomi per i giorni della settimana e (circa) 30 giorni in un mese, il calendario Tzolkin contava i giorni da 1 a 13 e aveva 20 giorni della settimana, i cui nomi erano Ymix, Ik, Akbal, Kan, Chikchan, Cimi, Manik, Lamat, Muluc, Oc, Chuen, Eb, Ben, Ix, Men, Cib, Caban, Etz’nab, Cauac e Ahau.

Dopo lunedì 7 noi abbiamo martedì 8, mentre loro dopo 1 Ymix avevano 2 Ik, seguito da 3 Akbal, 4 Kan, e così via... Arrivati a 13 Ben, la numerazione ricominciava da 1 e si entrava nell’1 Ix, poi nel 2 Men, eccetera.

Utilizzando quindi la Relacion come chiave di lettura, il ricercatore tedesco si era soffermato su alcune pagine del Codex e si era accorto di trovarsi di fronte a un almanacco astronomico e astrologico simile a quelli che oggi si vendono in edicola a firma di Frate Indovino.

L’almanacco del religioso di Cerqueto non consente soltanto di tenere nota dello scorrere dei giorni, ma offre anche diverse previsioni del futuro. Alcune sono assolutamente esatte, e riguardano le fasi lunari, gli orari di alba e tramonto, il santo del giorno e le festività. Altre sono più vaghe e discutibili: quando il frate prevede per un giorno un tempo “moderatamente soleggiato”, senza specificare dove, a quale regione si sta riferendo? E dal momento che l’edizione da cui traggo la previsione è andata in stampa oltre un anno fa, in che modo può pretendere di conoscere con tanto anticipo le condizioni atmosferiche odierne? Altre previsioni vaghe dell’almanacco sono quelle che riguardano la vita pubblica italiana: “I politici impareranno a risparmiare... diminuendo la quantità del buonsenso”.

Förstemann scoprì che il Codice di Dresda aveva le stesse funzioni: non serviva soltanto a tenere il computo dei giorni, ma anche a segnalare la divinità venerata, le festività, a prevedere le fasi lunari, la posizione di alcune stelle e le eclissi. Accanto a queste previsioni “precise”, altre erano più vaghe: i giorni potevano essere fortunati (utz) o sfortunati (lob), e ognuno era propizio per alcune attività e non altre, a seconda delle divinità che partecipavano alla staffetta di ogni giorno. I giorni dedicati a Ix Chel, ad esempio, incoraggiavano attività legate alla medicina e alla nascita dei bambini. Per ottenere un buon raccolto di mais era invece consigliato seminare nei giorni 8 o 9 Kan.

Per tradurre una pagina fitta di simboli misteriosi è molto utile adoperare il dizionario fornito da Diego De Landa. Il frammento del codice riprodotto di seguito deve essere suddiviso in quattro blocchi verticali, che i Maya chiamavano t’ols:

Particolare del Codex Dresdensis, pp.16-17.

Osserviamo ora i cinque simboli a sinistra, contrassegnati dall’asterisco: se cerchiamo il loro significato sulla Relacion del francescano spagnolo, scopriamo che si tratta del nome di alcuni giorni. A parte il quarto dall’alto, gli altri si riconoscono facilmente: si tratta di Muluc, Ymix, Ben e Caban.

Particolare della versione a stampa del libro di Diego De Landa Relacion del las Cosas de Yucatan

BLOCCO I – A sinistra di Muluc c’è un pallino, che indica il numero 1: la data completa è dunque 1 Muluc. La divinità ritratta nel primo blocco è Ix Chel, che per i Maya era associata alla nascita e alla guarigione; il giorno 1 Muluc era dunque propizio per queste due attività. I quattro simboli in testa al blocco costituivano una previsione relativa allo stesso giorno, che scritta in caratteri latini recita “Chak u kuch Chel ahawlel” ovvero “Chak [dio della pioggia] è il carico di Chel e si impone”. I sacerdoti erano incaricati di interpretare questi oracoli, conoscendo le caratteristiche delle varie divinità e il significato di ogni loro accostamento, e in questo caso l’immagine di vittoria finale (“si impone”) era considerata positiva, dunque il giorno 1 Muluc era da ritenersi fortunato.

Sotto i quattro simboli compare un numero facilmente riconoscibile, il 13, che indica un intervallo temporale: indica che il prossimo oracolo farà riferimento a 13 giorni dopo.

BLOCCO II – Tredici giorni dopo l’1 Muluc è il 1 Ik: il secondo blocco corrisponde dunque a questo nuovo giorno. La frase in alto è di cattivo presagio, dunque si tratterà di un giorno sfortunato. Sotto la frase, i pallini indicano il numero 4.

BLOCCO III – Facendo scorrere altri 4 giorni, si arriva al 5 Cimi, cui si applica l’oracolo riportato nel terzo blocco.

In basso si riconosce un simbolo che è una variante del numero 20: significa che il blocco successivo, il quarto, si riferisce a una data che cadrà tra 20 giorni.

BLOCCO IV – Venti giorni più tardi è il 12 Cimi. La regola per passare da un blocco all’altro è sempre la stessa, e il numero 15 che compare in basso nel quarto blocco significa che è sufficiente calcolare il quindicesimo giorno dopo il 12 Cimi per andare a capo e ricominciare dalla seconda riga. Facendo passare altri 15 giorni si arriva all’1 Ymix, che è proprio il simbolo che appare in testa alla seconda riga.

La pagina copre, dunque, venti giorni complessivi e i quattro presagi si ripetono per cinque volte (infatti l’oracolo del primo blocco vale per l’1 Muluc ma anche per l’1 Ymix, l’1 Ben, ecc.)

Avendo capito la regola, è facile interpretare correttamente anche il quarto simbolo che non avevamo trovato sul dizionario di Diego De Landa. Con pochi calcoli, si ricostruisce facilmente la pagina completa, scoprendo che il simbolo misterioso significava Chikchan:

1 Muluc+13 gg.1 Ik+ 4 gg.5 Cimi+20 gg.12 Cimi+15 gg.
1 Ymix+13 gg.1 Ix+ 4 gg.5 Etz’nab+20 gg.12 Etz’nab+15 gg.
1 Ben+13 gg.1 Cimi+ 4 gg.5 Oc+20 gg.12 Oc+15 gg.
1 Chikchan+13 gg.1 Etz’nab+ 4 gg.5 Ik+20 gg.12 Ik+15 gg.
1 Caban+13 gg.1 Oc+ 4 gg.5 Ix+20 gg.12 Ix...torna a 1 Muluc

Un ulteriore affascinante dettaglio di questa tavola è il fatto che fosse completamente ciclica: se parto dall’ultimo giorno in basso a destra (12 Ix) e calcolo il quindicesimo giorno successivo, ritorno al giorno in alto a sinistra (1 Muluc). Se dunque una singola tavola copriva 20 giorni sparsi lungo l’arco temporale dei 260 giorni del ciclo Tzolkin, erano sufficienti 13 tavole di questo tipo per avere un oracolo corrispondente ad ogni giorno dell’anno sacro! E infatti, esattamente 13 tavole del Codice di Dresda erano dedicate a questo sorprendente almanacco astrologico.

Nota: Le note raccolte in questa pagina sono un minuscolo estratto di una più vasta ricerca alle origini della leggenda sulla fine del mondo del 2012, che verranno pubblicate nel mio prossimo libro 2012, è in gioco la fine del mondo? (Roma: Iacobelli, 2010).


Note

1. Constantine Samuel Rafinesque, Atlantic journal and friend of knowledge, 1833, p.44.

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