Hollywood ama Venezia, e durante ogni mia visita in Laguna, non manco mai di visitare campo San Barnaba, sotto il quale – nel terzo film della sua serie – Indiana Jones trova la tomba di uno dei tre Cavalieri del Graal.
Sulla scatola dell’omonimo videogioco (Indiana Jones and the Last Crusade) il promo recitava: «If you were in Indy’s shoes, how would you measure up?». Raggiungere il luogo del film è, ogni volta, un’occasione per indossare le scarpe dell’archeologo americano.
A sinistra: Fotogramma del film (1989) • A destra: Campo San Barnaba vent’anni dopo (6 dicembre 2009)
Ho trascorso lunghissime ore a decifrare gli enigmi del videogame: si trattava di un gioco elettronico fedelissimo alla versione cinematografica, e ho impiegato mesi per risolvere tutti i puzzle ambientati dentro (e sotto!) la chiesa di San Barnaba. Ed è ogni volta strano non ritrovare, tra le sue navate, le splendide vetrate che nascondevano l’ingresso al sottosuolo veneziano.
A sinistra: Fotogramma del film (1989) • A destra: Fotogramma dell’omonima avventura grafica (LucasFilm, 1989).
Quest’anno a Venezia la sorpresa è stata doppia, perché appena voltato l’angolo ci siamo trovati davanti a un altro luogo hollywoodiano: Ca’ Macana, il negozio che ha fornito le maschere a Stanley Kubrick per il suo film Eyes Wide Shut.
Pellicola meno solare ma più complessa e raffinata, Eyes Wide Shut presenta altrettanti enigmi insoluti, immersi in una cornice intrisa di sottile inquietudine. La mia Alice si è accorta del mio sguardo rapito e mi ha fatto dono di una splendida riproduzione della maschera indossata da Tom Cruise durante il rituale orgiastico.
Non mi riesce di smettere di vedere e rivedere quello che Enrico Ghezzi ha definito “il film più lavorato e complesso che sia dato di vedere”: forse per i continui riferimenti ad una intricata simbologia esoterica, grave ma al contempo definita una grande “sciarada”, una elaborata messa in scena; forse per l’infinità di riflessi che ne costellano le scene e che ci costringono a osservare la protagonista Alice “attraverso lo specchio”; forse per la continua ambiguità del «doppio sogno» su cui è costruita la trama; forse ancora per la forza di alcune inquadrature iconiche, che lasciano a bocca aperta. Ma senza voce. Nello spirito dell’ossimoro che gli dà il titolo.
Nicole Kidman nei panni di Alice Harford in Eyes Wide Shut (1999)
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