Giovanni Arpino
Streghe e demoni in Costa Azzurra
Quello che il turista non vede
"Buonasera, signore, a lei e al suo compagno", dicono ancora alcuni vecchi contadini dell'alta Provenza, dal Massiccio della Sainte-Baume alle colline lungo il fiume Durance e fino alle acque salate della Camargue. A chi si indirizza quel "compagno" se il viaggiatore è solitario? All'angelo custode che ognuno ha (o dovrebbe avere) dietro la spalla destra, protettore della singola anima in cammino.
È un saluto antichissimo, risale ai tempi in cui, qui, streghe e diavoli, lupi mannari e maghi, guaritori e draghi, piedi forcuti e vergini assatanate, chiromanti e settimini di ogni razza erano più numerosi che le foglie di cento foreste.
La stregoneria è morta? Apparentemente sì. Come e dove possono correre le streghe se le notti sono attraversate da centinaia di strade e migliaia di auto illuminate, se i cicli sono percorsi da decine di aerei al minuto, se anche l'ultimo villaggio è stato "adottato" da ogni tipo di ente turistico, e il più piccolo rudere si colora, nottetempo, grazie ai fari incrociati dei programmi "Son et lumiere"?
Luce e ragione sono i nemici tradizionali di ogni pratica stregonesca. La luce è dovunque; ma la ragione meno, quindi molte attività minori, ispirate al demonio o agli insegnamenti della magia "bianca" e benevola resistono, aumentando il fascino per smania mondana, per diffidenza verso la medicina, per ansia occultistica, per arcaica ignoranza contadina.
La Provenza, dalla facciata gloriosa e rutilante, la sua Costa Azzurra carica di grandi alberghi, casinò, passeggiate tra le palme e siepi di buganvillee, tiene chiuse nelle sue ossa profonde le antiche magie paesane, un rituale spezzettatosi col tempo, ma qua e là ancora fertile, persino minaccioso.
Qui si trovano ancora i filtri d'amore, i medicamenti per le pene d'anima e per le fratture ossee; qui esiste una pratica di cuocere, raccogliere, scegliere le erbe dotate di nascoste virtù. Dopotutto, fino a due secoli fa questo grande territorio era la patria dei pastori: il pastore conosce le erbe, deve aver esperienza di medicina empirica, e in più è padrone dei capri, cioè animali diabolici. Il nome solo del "bergier" evoca stregoneria ancora oggi.
I filtri tradizionali, quasi nettari poetici oppure mostruosi (nei primi: acini di campanula, ambra grigia, combinati alla vigilia del giorno di san Giovanni con un minuscolo cartiglio che porta scritta la parola magica Sheva; uno dei secondi: sangue marcito, residui di unghie, terra cimiteriale e vino grigio. Lo impiegò Madame de Montespan per conquistare l'amore di Luigi XIV), hanno ancora oggi le loro varianti, da villaggio a villaggio, da vecchia donna a nuova chiromante con tanto di attico sulla "promenade" di Nizza.
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Le formule magiche — per ottenere amore, salute, per respingere la malasorte — si pronunciano ancora, anche se nessuno più conosce il significato autentico delle frasi, costruite in un mistilinguismo derivato da parole latine, antiche radici saracene, residui dialettali di varie terre. Per ottenere l'affetto d'una ragazza o d'una donna, sarebbe indispensabile, pare, dopo aver "tirato" l'oroscopo, guardarla fissamente negli occhi e ripetere la seguente formula: Kafé, Kasita, non Kafela et publia file omnibus suis.
E rimangono in piedi tutte le pratiche con statuine di cera da punzecchiare, grani di caffè, ceneri rovesciate, metalli fatti bollire. E si continua a parlare di alberi che portano sulle loro cortecce i segni, le visibili ferite degli abominii commessi nel segreto dei villaggi (neonati uccisi, cani avvelenati, vecchi fatti precipitare per cogliere più presto un'eredità).
II turista che scende lungo i tornanti del Colle di Tenda non sa che quelle gole furono abitale da streghe capaci di trasformarsi in gatti diabolici, pronti ad assalire il viandante e a balzare di roccia in roccia, seguite da torme di irsuti e laceri fantasmi. Solo il rullo dei tamburi e il suono dei pifferi le allontanava. E a La Ciotat, delizioso paesino tra Tolone e Marsiglia, anch'esso ricettacolo di antiche stregonerie, è andato perduto da poche decine d'anni un "joli métier". L'ultimo ad esercitarlo fu un giardiniere, che smise con la sua morte, nel 1930. Il mestiere lo aveva battezzato col nome di tétaire: infatti lo vedeva "aiutare" le puerpere ammorbidendone i capezzoli a favore dell'infante.
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Bestiari fantastici scolpiti sui muri delle grotte e delle chiese, cunicoli sotterranei che "piangono" per il vento, oggetti abbandonati misteriosamente lungo i sentieri di campagna, seguitano a parlare in mille punti della Provenza: le leggende, a milioni, hanno trovato spazio in apposite raccolte, e lasciano intuire quanto di antico è riuscito ancora a resistere e a predicare nell'era dei jets e degli atomi. Gli studiosi hanno saccheggiato un patrimonio di cultura popolare, ora ridicolo ora truculento, che testimonia la ricchezza di questa terra dove i soldati romani portarono il culto di Mitra, con evidenti influssi orientali, dove gli ugonotti si nascondevano nelle caverne e venivano soffocati dal fumo di immensi falò, dove i battellieri agivano sui fiumi secondo codici corporativi e dialetti particolarissimi. La demonologia studia la Provenza come una regione principe. Qui le streghe e le pratiche di maleficio appartengono a un "girone" inferiore, rispetto alla punta che Lione occupa nel triangolo diabolico dell'Europa (i due altri vertici sono Praga e Torino), ma è un "girone" ricchissimo di avvenimenti, ricordi, testimonianze e pratiche di origine contadina, legati ai tempi e ai costumi del pastore, del battelliere, del legnaiolo, su e giù per itinerari che conducono fino al profondo Medioevo.
Dicono gli studiosi più accorti, come ad esempio Jean Palou, che la stregoneria è figlia della miseria, è la speranza dei ribelli, è un frutto che matura solo in terre devastate dalle catastrofi naturali, dalle guerre, dalle epidemie, dalle turbe sociali. Anche la stregoneria ha una sua storia documentabile, in corrispondenza alle crisi di un paese e alle sue oscillazioni sociologiche, grazie alle quali nascono i mediconi e gli esorcismi contro la peste portata dai soldati o nascono i crudeli signori come Gilles de Rais. Gli archivi giudiziari sono colmi di pratiche contro streghe e stregoni, e sono pagine — dicono gli esperti — che provocano brividi sia per le follie dei condannati, sia per la ferocia dei giudici.
Le metamorfosi del Diavolo, seppure un diavolo contadino, sono tortuose e indecifrabili. La segale cornuta che stermina intere famiglie in un paesetto dell'entroterra provenzale (successe alcuni anni fa), il filtro benigno e maligno, la formula dettata con la luna calante e quella che invece va sillabata di fronte al sole del mattino, sono elementi di un territorio fantastico che non ha smesso di agire. L'esecrabile vita di Guglielmina Babin, strega, testo uscito poco più di vent'anni fa, scritto dall'avvocato Maurice Garçon, è un documento che nessun autore di storie surreali saprebbe inventarsi.
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Gli studiosi oggi parlano dei Sabba come di allucinazioni collettive dovute a bevande particolari. Ci dicono che i "viaggi" sulle scope erano anch'essi sogni dovuti a filtri potentissimi. I rituali di oggi, con Lsd e canti e preghiere comuni, come possono venir definiti, a confronto di queste pratiche antiche?
Ma per non sfuggire dalla Provenza, è meglio fermarsi al rosmarino, cioè all'erba che una principessa settantenne provò su se stessa, in decotto alcoolico, finché riacquistò tanta forza da attirare e sposare un re di Polonia. Rimedio contro i reumatismi, indicato per il fegato, astrologicamente legato al sole, il rosmarino non tradisce mai, secondo quanto comandano le vecchie ricette provenzali. Non è a questa erba e ai benefici effetti che si deve pensare quando, tra fantasmi e demoni e prodigi, tornano in mente i versi di Machado: En mi soledad / he visto cosas muy claras / que no son verdad.