Questa è la nona puntata della serie “In viaggio con Mesmer”. Scopri tutte le altre: 7.8 Venaus, 8.8 Modane, 9.8 Chambery, 10.8 Dijon, 11.8 Blois, 12.8 Parigi, 13.8 Gisors, 14.8 Annecy, 15.8 Lovagny e 16.8 Marina di Andora.

Usando la lingua tedesca, oggi chiameremmo wunderkammer il museo di meraviglie ottiche che Étienne-Gaspard Robertson aveva aperto a Parigi nel 1800. In Francia si parlava di cabinets de curiosité, letteralmente “armadietti di curiosità”: variegate collezioni di oggetti il cui principale obiettivo era sorprendere.

A riprova che il Capitalismo trasforma tutto in sterco, il principale centro commerciale di Annecy ha installato le toilette accanto a una rivendita di dispositivi ottici, chiamando i gabinetti cabinets de curiosité.

Centre commercial Courier ad Annecy, Savoia. Fotografia di Mariano Tomatis.

Per visitarne un esemplare “vecchio stile” bisogna lasciare la città e risalire il fiume Fier fino a Lovagny, villaggio su cui svetta il castello medievale di Montrottier.

Il castello di Montrottier a Lovagny, Savoia. Fotografia di Mariano Tomatis.

A darmi il benvenuto nel cortile è una giovane artista girovaga Savoiarda che suona la ghironda.

Statua di suonatrice di ghironda, cortile del castello di Montrottier. Fotografia di Mariano Tomatis.

Vero gioiello architettonico, il castello è un esempio di accostamento armonico di strutture piuttosto diverse tra loro, erette – ciascuna con il proprio stile – dal XIII secolo in avanti. Il fascino del luogo, però, si estende alle collezioni che contiene, pazientemente raccolte da un personaggio generoso e poliedrico: Léon Marès (1854-1916).

Léon Marès. Fotografia di Mariano Tomatis.

In seguito alla morte della moglie, avvenuta nel 1906, l’uomo era andato a vivere nel castello, installandovi una ricchissima wunderkammer. Morì dieci anni dopo, lasciando in eredità castello e collezione all’Accademia Florimontana, un’associazione culturale fondata nel 1607. Per consentire a tutti di godere delle sue meraviglie, Léon Marès aveva scritto sul testamento che i suoi armadietti di curiosità dovevano essere accessibili a chiunque. È una specie di “viaggio nel tempo” quello proposto nelle sale del castello di Montrottier: tutto è fermo al 1916, e una visita consente di apprezzare l’enorme varietà di pezzi raccolti.

La collezione comprende un numero impressionante di armi, bronzi e stoffe pregiate, abiti e oggetti massonici, mobili in legno, quadri, statue, porcellane e oggetti esotici, provenienti in prevalenza dall’Oriente, dall’Africa e dall’Oceania. Dei reperti archeologici – soprattutto di origine romana ed egizia – gli studiosi lamentano la totale assenza di documentazione: impossibile sapere dove se li sia procurati e dove siano stati rinvenuti. (1)  È il caso della magnifica “amazzone” di origine gallo-romana:

Tre elementi mi hanno colpito più degli altri.

Lo sguardo delle bambole

Un armadio contiene una ricca collezione di bambole in ceramica. Due di loro mi hanno osservato con occhi impossibili da dimenticare.

Bambola dalla collezione di Léon Marès. Fotografia di Mariano Tomatis.

Bambola dalla collezione di Léon Marès. Fotografia di Mariano Tomatis.

Lo specchio “parlante” del Settecento

Nei libri di magia del XVIII secolo ho spesso incontrato il disegno di specchi rotondi circondati da strani cerchi. Edmé-Gilles Guyot, per esempio, descrive (2)  uno specchio magico illustrandolo così (è la fig. 1 in alto a sinistra sulla planche 3):

Una pagina tratta dalle récréations di Guyot, Vol. 4, 1770 (link).

La collezione di Léon Marès ne presenta un esemplare appeso nella sala delle ceramiche:

Confronto tra lo specchio ritratto da Guyot e quello della collezione Léon Marès.

Lo specchio descritto da Guyot era truccato: tramite un pannello che poteva scorrere nelle due direzioni, a seconda di come lo si appendeva rispondeva affermativamente (o meno) facendo apparire le parole “sì” o “no” a chi lo interrogava. Nel disegno il pannello si riconosce perché è tratteggiato e indicato con le lettere ABCD agli angoli.

Se non ci credi... è un peccato!

Uno dei reperti più preziosi è il “corno di unicorno”, un oggetto che non può mancare in una wunderkammer degna di questo nome.

Il corno di unicorno di Léon Marès. Fotografia di Mariano Tomatis.

Esponendolo, i curatori del museo hanno avuto una brillante idea: il cartello che lo illustra può essere ruotato di 180 gradi, mostrando due descrizioni che oscillano – come direbbe Francesco Orlando – tra “credito” e “critica”.

Da una parte si legge:

Per chi ci crede... Autentico corno di unicorno! Al corno di unicorno sono stati attribuiti poteri di guarigione e doti antidotali. Tali proprietà, ritenute vere sin dal XIII secolo, ne fanno uno dei rimedi più costosi e rinomati, e giustificano il suo uso presso le corti nobiliari, dove è tenuto in gran conto.

Ruotando il cartello, dall’altra parte si legge:

Per chi non ci crede (ma è un peccato!) Corno di narvalo Mammifero cetaceo dei mari artici, può raggiungere i 4 metri di lunghezza. L’incisivo superiore sinistro raggiunge nei maschi delle dimensioni smisurate. È soprannominato “unicorno marino”.

Il doppio cartello – mark e smart – che illustra il corno: una soluzione molto smark!

Le wunderkammer: una prospettiva democratica

Secondo un inventario del 1916, gli “armadietti di curiosità” di Léon Mares contano complessivamente 941 reperti il cui valore supera i 13 milioni di euro. (3)  L’enorme investimento può scoraggiare chi ama il collezionismo ma è privo di disponibilità finanziarie. Nel suo lungo articolo Wunderkammer reborn (Parte 1 | Parte 2) Bizzarro Bazar smonta in modo brillante l’associazione automatica tra cabinets de curiosité e ricchezza:

La prima macroscopica differenza con il passato è che il collezionismo di curiosità non è più appannaggio esclusivo di facoltosi milionari. Certo, esiste un mercato di altissimo profilo (a cui la maggior parte degli appassionati non avrà mai accesso); ma la buona notizia è che oggi chiunque abbia una connessione internet possiede già i mezzi per cominciare una sua piccola collezione. Grazie alla rete, perfino un teenager può creare il suo scaffale di meraviglie. Tutto ciò che serve è un po’ di pazienza e buona lena per scandagliare i vari siti di articoli naturalistici o di aste online alla ricerca di buone occasioni. Esistono libri per bambini, attività scolastiche e corsi specifici che incoraggiano anche i più piccoli a iniziare questo genere di esplorazione delle meraviglie naturali. Il risultato è un’idea di wunderkammer più democratica, alla portata di tutti i portafogli. (4) 

Ma nella riflessione di Ivan Cenzi è l’essenza stessa delle moderne “camere delle meraviglie” a essere antieconomica, basandosi fondamentalmente su elementi narrativi. Non sono più indispensabili corni di narvalo o animali impagliati per allestire una wunderkammer; quando si acquisisce il giusto sguardo sullo spontaneo incanto del mondo, ogni cosa può diventare reperto:

Perché un oggetto è degno di figurare in una camera delle meraviglie soltanto in virtù della storia che racconta, della meraviglia che suscita, della vertigine che spalanca di fronte a noi. (5) 

Ne ho la prova raggiungendo Seynod, moderno agglomerato urbano ai margini di Annecy. Di solito i turisti attraversano questo anonimo centro abitato senza fermarsi: i suoi palazzoni grigi e squadrati non hanno nulla del fascino della “Venezia di Francia” – come spesso è chiamato il vicino capoluogo annecién.

Oggi il parcheggio del locale supermercato Géant ospita un vasto mercatino delle pulci. Non si tratta di una raffinata fiera antiquaria: a esporre sono soprattutto vide granier (“svuota soffitte”), la cui merce è disposta alla rinfusa e offerta a prezzi stracciati (l’Almanacco del vecchio Savoiardo classe 1977 costa appena 50 cents). Uno dei banchi più ampi e organizzati è quello di un matematico tra i più bizzarri che si possa incontrare: Henri Pysniak.

A destra: il furgone decorato di Henri Pysniak (è l’uomo con la maglia e il cappello verdi). Al centro: i tavoli con la collezione di meraviglie scientifiche offerte a prezzi stracciati.

Il suo furgone bianco è completamente ricoperto da equazioni e formule matematiche, ma osservando con più attenzione si scopre che ciascuna nasconde una battuta di spirito o un paradosso. Per spiegare di cosa si occupa non usa l’espressione settecentesca di physique amusante (“fisica dilettevole”) ma la più diretta physique pour rire (“fisica per ridere”). È convinto che la scienza vada illustrata facendo uso dell’umorismo e ogni scritta sul furgone offre la possibilità di scoprire un concetto matematico attraverso una freddura o una curiosità numerica.

Non importa se si trovi in un polveroso piazzale di periferia sotto il sole di agosto; il suo banco è una wunderkammer a tutti gli effetti: ci sono antichi strumenti medici, rilevatori di corrente, bussole e goniometri, bilance e strane ampolle di vetro, giocattoli ottici e rompicapi di metallo, cubi di Rubik e puzzle simili al Tangram; il lato sinistro del tavolo è riservato agli esperimenti interattivi: Henri fa provare la macchinina che segue un tracciato disegnato in diretta con un pennarello e mette in modo una specie di trottola a pannelli solari.

Tutto è in vendita a prezzi molto contenuti, dimostrando sul campo la possibilità di allestire dei cabinets de curiosité senza spendere cifre astronomiche. La ricchezza degli stimoli intellettuali trascritti sulla carrozzeria del furgone estende il concetto di meraviglia al mondo delle idee: costruire un simile museo di matematica umoristica richiede l’investimento di un semplice pennarello indelebile – e, certo, tanta inventiva.

Bisogna ricordare qualche nozione scolastica per capire le battute su Chuck Norris riportate sul lato destro del furgone:

Chuck Norris può dividere per zero.
Chuck Norris ha contato per due volte fino a infinito.
[Chuck Norris] conosce l’ultima cifra del pi greco.

Il “paradosso del groviera” è molto sottile:

Più si ha del groviera e più sono i buchi
ma più sono i buchi e meno c’è groviera
quindi più si ha del groviera e meno c’è groviera.

In questo “disegno impossibile” (sul retro del furgone) è impossibile dire in modo univoco se siano rappresentate due o tre colonne:

Sul lato destro del furgone Henri dimostra che 2 è uguale a 1 (!!!) e invita a scovare l’errore nel ragionamento:

E non è curioso che moltiplicando 12.345.679 per i multipli di 9 si ottengano risultati composti dalla stessa cifra ripetuta?

L’emoticon sulla destra è il ritratto fedele di Henri Pysniak .

Non mancano freddure vietate ai minori; questo disegno sembra provenire dalla parete di una toilette pubblica, mentre descrive – con precise formule! – l’ammontare della forza che, provocando l’erezione nel maschio, si oppone a quella di gravità.

Dal meraviglioso banco del signor Pysniak acquisto un oggetto che cercavo da tempo: una Useless Box (“scatola inutile”).

La mia scelta dell’articolo rivela a Henri ciò di cui mi occupo; secondo lui, infatti, ho dimostrato un occhio esperto acquistando «la quintessenza della physique pour rire.» La “scatola inutile” si accende spostando la levetta su ON; così facendo, il coperchio si apre ed esce un dito che, spostando la levetta su OFF, spegne la macchina. Tutto qui. Almeno in apparenza. Perché la Useless Box è un dispositivo inutile solo a un primo sguardo.

La vertigine subentra quando si ragiona sull’insieme di competenze messe in campo per immaginarla, progettarla e realizzarla in serie, per farne un’oggetto venduto a meno di 20 euro (e meno di metà nella versione usata). Ma quel dito che spegne il meccanismo ogni volta che si cerchi di attivarlo è anche un gesto di resistenza luddista: un’opposizione ostinata alla dittatura dell’utile, secondo cui ha senso occuparsi solo di ciò che dà un profitto o può costituire oggetto di un godimento immediato. La scatola inutile è un monumento a quei “pazzi disinteressati” di cui scriveva Henri Poincarè, “morti in miseria, che non hanno mai pensato al profitto e ciò non di meno avevano una guida diversa dal proprio esclusivo capriccio.” Si devono a costoro “tutte le conquiste dell’industria, che – per contro – hanno arricchito un così gran numero di uomini pratici e non sarebbero mai state realizzate se fossero esistiti solo questi uomini pratici, ovvero se costoro non fossero stati preceduti dai pazzi.” (6) 

Contraddicendo la definizione riportata su di sé, la “useless box” è utile per ritrovare “la dimensione magico-narrativa che si oppone all’omologazione e alla serialità della produzione di massa” (7) . Perché anche fosse stata prodotta in milioni di esemplari, la sua riluttanza a mettersi in modo e produrre “qualcosa” ne fa davvero la “quintessenza” di ciò che oggi possiamo (e dobbiamo) coltivare insieme.


Note

1. Spiega l’egittologa Suzanne Ratié che “non sappiamo se si tratti di oggetti acquistati in Egitto o in un altro paese; potrebbe averli acquistati in Francia presso un antiquario” in Suzanne Ratié, “Trois oushebtis provenant des collections du château de Montrottier”, Revue savoisienne, Anno 125, Annecy 1985, pp. 15-9.

2. Edme-Gilles Guyot, Nouvelles récréations physiques et mathématiques, Vol. 4, Gueffier, Paris 1770, p. 77 e planche 3.

3. Jolien Coppier, “Léon Marès (1854-1916): de ses racines montpelliéraines à sa vie en Haute-Savoie, un collectionneur singulier”, Académie des Sciences et Lettres de Montpellier, 20.2.2012.

4. Bizzarro Bazar, Wunderkammer reborn, Parte 2, 25.6.2017.

5. Ibidem.

6. Henri Poincarè, Science et méthode, Flammarion, Paris 1908, p. 9.

7. Bizzarro Bazar 2017.

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