Imhrat Kahn ha un sogno: diventare un mago. L’uomo che potrebbe avverarlo è in India. Il professor Moor è un illusionista che ha in programma uno spettacolo nel teatro di Lahore. Il giovane lo raggiunge da Bombay, riuscendo non solo ad assistere allo show ma anche a farsi notare dal “professore”. L’incontro è fortunato; assunto come apprendista, Imhrat impara alcuni giochi di prestigio e li presenta di fronte al teatro: l’esibizione è il gancio perfetto per fermare la gente e invitarla allo spettacolo serale. Ma Imhrat non è soddisfatto. La magia degli illusionisti è – appunto – solo un’illusione: lui vuole diventare un mago vero. Ad aiutarlo è Banerjee, uno yogi che lo inizia ai poteri della chiaroveggenza. Dopo anni di durissima disciplina, Kahn impara a vedere tenendo gli occhi chiusi, e decide di calcare le scene con uno spettacolo di mentalismo senza precedenti; prima, però, chiede aiuto al dottor Cartwright per certificare i suoi poteri.

Kuda Bux (1905-1981), il mentalista cui è ispirata la figura di Imhrat Kahn.

Bendato, il giovane vede chiaramente le carte da gioco e passeggia in mezzo alla gente senza urtare nessuno. Dal giovane portento, Cartwright ottiene addirittura una spiegazione esaustiva del percorso didattico seguito per acquisire tali capacità. La confessione ha un prezzo altissimo: Imhrat muore nel sonno la notte successiva.

Disperato, Cartwright scrive un dettagliato rapporto della sperimentazione su Imhrat Kahn. Le pagine finiscono tra le mani di un annoiato signore inglese: Henry Sugar vive da sempre di rendita e trascorre le giornate tra case da gioco e ristoranti di lusso. Scoprendo il percorso di Kahn, si convince che le doti di chiaroveggenza gli sarebbero utili al casinò: la capacità di riconoscere le carte dal dorso gli garantirebbe vincite sicure. Seguendo le istruzioni di Imhrat, Sugar acquista le sue stesse doti e inizia ad arricchirsi. Ma oltre a guadagnargli poteri paranormali, il lungo studio lo cambia dentro; ora non è più il cinico e annoiato individuo di prima: con i soldi guadagnati, l’uomo apre una fondazione e destina tutti i proventi ai bambini più sfortunati. Henry Sugar muore dopo aver destinato 144 milioni di sterline a venti orfanotrofi. In seguito alla morte, il segretario affida a Roald Dahl l’incarico di raccontare la vicenda in uno dei suoi libri. La straordinaria storia di Henry Sugar esce nel 1977, regalando ai lettori un complesso gioco di scatole cinesi. (1) 

Dahl afferma trattarsi di una storia vera, a parte il nome del protagonista: lo pseudonimo Henry Sugar servirebbe a proteggere la sua identità. Di sicuro l’autore descrive Imhrat Kahn ispirandosi a Kuda Bux (1905-1981), il mentalista pakistano cui aveva dedicato un articolo su Argosy nel luglio 1952.

Spiazzante e misterioso come un gioco di prestigio, il racconto è una parabola sull’insoddisfazione cronica e un faro sinistro puntato sul mentalismo. Nel mondo spietato in cui si svolgono le vicende, Imhrat Kahn muore perché ha svelato i suoi metodi. Cartwright si limita a dire che è morto nel sonno, ma l’impressione è che sia stata la comunità degli illusionisti a ucciderlo: ogni sera, prima di coricarsi, molti mentalisti pregano che – chi svela in pubblico i trucchi – muoia tra tormenti inenarrabili. Se fosse vissuto oggi, Imhrat Kahn avrebbe curato un canale didattico su YouTube, attirandosi orde di illusionisti haters che lo avrebbero ucciso a colpi di pollice verso.

Henry Sugar, per contro, è un individuo orrendo. È ricco senza contribuire in alcun modo al benessere della comunità e la sua vita si attorciglia intorno al proprio ombelico. Una delle istruzioni di Kahn prescrive che ci si concentri a lungo sul volto di una persona amata, osservata attraverso il fuoco di una candela. Sugar colloca la fiamma tra sé e uno specchio, in modo da poter ammirare il proprio viso durante la concentrazione. Autorecluso in una vita priva di significato, scopre con orrore che neppure la conquista di un potere paranormale gli procura alcuna gioia.

Provava anzi una specie di malinconia. Era stato tutto fin troppo facile. Ogni volta che aveva scommesso aveva avuto la certezza di vincere. Non aveva provato emozione, incertezza, paura di perdere. Naturalmente sapeva che da quel momento sarebbe potuto andare in giro per il mondo a guadagnare milioni. Ma dove stava il divertimento? Nella sua mente si fece lentamente strada la consapevolezza che nulla dà gioia quando se ne può avere a volontà, specialmente se si tratta di soldi. (2) 

Sugar scopre sulla sua pelle ciò che i veri illuminati si tramandano da sempre. Un pensiero riportato, per esempio, nell’antico trattato illusionistico di Carlos Maucci, L’ultima parola della magia e dell’occultismo (1898). L’autore spiega che l’odierno mentalismo fa le stesse illusorie promesse degli antichi riti magici: ottenere risultati prodigiosi attraverso scorciatoie e sotterfugi, mascherando il vuoto di contenuti dietro una scintillante superficie.

I filtri d’amore e i talismani astrologici appartengono alla magia antica. Il magnetismo e il mentalismo che hanno scoperto nuovi orizzonti alla scienza moderna costituiscono per noi la magia dei nostri giorni. (3) 

A un secolo di distanza, la comunicazione ipnotica è venduta a scopo seduttivo, la PNL promette performance lavorative (ed erotiche) esorbitanti e i tecno-guru insegnano a diventare ricchissimi lavorando 4 ore al mese. Ma, come commenta Maucci lapidario,

Farsi amare per le proprie qualità senza ricorrere a filtri e talismani è il sommo della felicità, è un’arte ideale che tutti vorrebbero possedere. Quest’arte esiste, ma è molto difficile da trasmettere. (4) 

Perfino su YouTube.


Note

1. Devo la segnalazione del racconto a Martina Piperno, che ringrazio.

2. Roald Dahl, The Wonderful Story of Henry Sugar, 1977.

3. Carlos Maucci, L’ultima parola della magia e dell’occultismo, Genova 1898.

4. Ibidem.

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