Nelle sue Reminiscenze (1882) Cesare Cantù scrisse che Alessandro Manzoni era sostanzialmente scettico, e in una sola occasione sembrò cedere alla superstizione:
Una sola volta ci ho intravveduto superstizione. Stava mal di morte Tommaso Grossi, ed egli suggerì si sentisse un francese, allora comparso a Milano e che vantava di aver ottenute sicure grazie con certe devozioni e certe benedizioni. A questo Manzoni si sottopose nella speranza di salvare l’amico. Né mai gradì le scede (1) dello spiritismo, benché ne andasse pazzo il suo d’Azeglio. (2)
Stefano Stampa spiegherà che il “francese” era il magnetista francese Charles Leonard Lafontaine (1803-1892) in un capitolo del suo libro Alessandro Manzoni. La sua famiglia. I suoi amici. Appunti e memorie (1885); ecco il capitolo in cui Stampa esplora il rapporto tra Manzoni e il magnetismo animale.
Premettiamo che quel francese non era un facitor di miracoli ma un semplice magnetizzatore. E allo stesso modo che ci sono tre specie di medici, cioè: il materialista ateo; lo spiritualista che ammette l’anima; ed il mistico, ossia colui che afferma che senza l’aiuto di Dio la medicina è impotente; cosi ci sono tre sorta di magnetizzatori: il materialista che non ammette che il fluido; lo spiritualista che ammette l’influenza e l’intervento dell’anima; ed il mistico che implora in pari tempo l’aiuto di Dio. Il francese si vantava di quest’ultima specie.
Ma in che modo il Manzoni si lasciò andare a proporlo, mentre egli era incredulissimo riguardo ai vantati effetti del mesmerismo o magnetismo animale, e mentre la sua seconda moglie lo era ancor più di lui?
Ciò importa di raccontare.
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Prima del 1848 era stato a Milano un rinomato magnetizzatore francese (monsieur Lafontaine), autore di trattati, ecc., ecc. Questo diede una seduta o, per dir meglio, rappresentazione di fenomeni magnetico-sonnambolici nel Ridotto del teatro della Scala. Il figliastro di Manzoni egualmente incredulo, ma temperamento esperimentatore per eccellenza, precisamente perchè non vi credeva, non mancò di assistere a quella seduta.
All’esperimento dell’estasi (prodotta sulla sonnambula dalla musica) accompagnata da stranissime contorsioni; al fermarsi, mentre passeggiava, al comando mentale del magnetizzatore fatto mediante un gesto, dietro di essa, che non poteva vedere; e ad altri esperimenti di simil genere egli non badò, perchè potevano esser prodotti da abili precedenti intelligenze. Ma destarono la sua attenzione due esperienze singolari. Quella di far rimanere immobile per circa venti minuti la sonnambula colle braccia tese in croce e colle gambe alzate da terra mentre era seduta. E la seconda, mentre era in questo stato, di ficcarle un grosso spillo sotto l’unghia di un pollice.
Ed il signor Lafontaine avendo invitato qualcuno a levarglielo per persuadersi della sincerità del fatto, il nostro esperimentatore saltò per primo sul palco, prese in mano lo spillo ed il pollice della paziente, e guardandole attentissimamente gli occhi, ch’eran chiusi, ed i canti della bocca e del naso, tirò fuori lentamente lo spillone di sotto l’unghia del pollice.
Dalla resistenza della carne e dalla striscia rossa che comparve sotto l’unghia lungo la direzione che aveva tenuto lo spillo, capì che quell’esperienza non doveva esser messa a fascio colle altre; e l’immobilità quasi cadaverica del viso della paziente durante l’operazione che si sarebbe potuto paragonare ad una statua di cera, filtrarono qualche dubbio entro la sua incredulità.
Pensava tra sé: il far penetrare uno spillo tanto grosso sotto l’unghia del pollice sino alla sua radice dev’essere un dolore cosi acuto come e forse più che ad amputare lo stesso dito!... Come ha fatto quella ragazza a sopportarlo con quell’immobilità ed apparente insensibilità?... E come ha fatto a stare tanto tempo colle braccia tese, mentre un uomo dei più robusti non vi può stare che cinque minuti o poco più, e tutti si accorgono della sua stanchezza?!...
Tornato a casa fece parte delle sue osservazioni ai suoi parenti; ma il Manzoni sorridendo, e sua madre quasi strapazzandolo, vollero persuaderlo che erano tutte cose preparate, anche la ferita sotto l’unghia, e che erano tutte ciarlatanerie. Il figliastro si strinse nelle spalle e non se ne parlò più.
Una volta però a Lesa, fra il Manzoni e il Rosmini, si venne a discorrere del magnetismo animale. E l’ultimo raccontò di aver assistito a Torino ad un esperimento di sonnambulismo, durante il quale un ragazzo aveva scelto per tre volte di seguito un napoleone d’argento, che era stato magnetizzato in un’altra stanza, fra tanti altri non magnetizzati. E che, essendogli stato chiesto come faceva a riconoscerlo, rispose: «Perché è caldo e pesa di più.» Eppure il magnetizzatore non l’aveva neppur toccato. Finito il racconto Manzoni disse: «Curioso!» «Curioso!» ripetè il Rosmini
Ma la moglie di Manzoni tacque, perché non ardiva fare nessuna conversazione a tanto raccontatore! Il figliastro però conservò tutto questo nella sua memoria, e avendo saputo che il Dottor Prejalmini di Lesa (ma domiciliato a Intra), si occupava di questa materia, e che anzi il Rosmini gli aveva scritto in proposito una lunga lettera (stampata fra le sue opere), nella quale spiega, o confuta, i fatti o le teorie del dottore riferite in appoggio del magnetismo; ed avendolo incontrato per l’appunto a Lesa, lo tirò a discorrere di tutte le sue esperienze, e a pregarlo che glien facesse vedere qualcuna. Alla prima si mostrò riluttante, ma finalmente accondiscese e si diedero un appuntamento a Intra. Il soggetto era una contadina, non giovane, grassotta e piuttosto brutta. Addormentata, il figliastro di Manzoni chiese ed ottenne che il dottore ripetesse letteralmente l’esperienza, raccontata dal Rosmini, di riconoscere cioè le monete magnetizzate fuori della camera, senza toccarle e mescolate con altre. L’esperienza riuscì tre volte. E richiesta del come riconoscesse quella moneta (che non erano pezzi da cinque franchi, ma da cinque centesimi) rispose egualmente: «Perché è più calda e pesa di più.»
Questa strana uniformità di risposta, avuta da due soggetto così diversi, a tanta distanza di luogo, senza il magnetizzatore sapesse il perché lo spettatore la provocasse; sorprese il figliastro, il quale si partì da Intra molto pensieroso…
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Venne il 1848, ed il Manzoni si recò colla sua moglie ed il figlio di essa a Lesa, sul Lago Maggiore, prima che gli Austriaci ritornassero a Milano; e mentre sperava ancora che le cosa non sarebbero venute a quel punto: perché diversamente non si sarebbe mosso dalla città per non promuovere i cittadini alla fuga. Fra le persone di servizio che condusse con sè c’era la cameriera di sua moglie, ed una giovane contadina che disimpegnava le incombenze femminili più faticose, come lavare, fare il bucato. Questa aveva un temperamento che appena sedesse e rimanesse un po’ di tempo inoperosa, si addormentava con molta facilità. Una sera che, coricata più presto del solito la sua padrona (che già da anni era cagionevole di salute), si era seduta in fondo alla cameretta, entrò il figlio di lei, e, non so come ne venisse a proposito, ma rivolgendosi alla seduta, esclamò: «Questa dovrebbe esser facile da magnetizzarsi, si addormenta subito! Scommetto che ci riuscirei anch’io.» E sedendole di contro si mise, così per ischerzo a farle quei passaggi (passes) che aveva veduto fare al Lafontaine e al Prejalmini; e non era scorso un minuto che la ragazza si era addormentata.
Benché credesse che il suo sonno fosse il solito, così facile e naturale, pure il suo cuore cominciò a battere più forte. E volgendosi a sua madre le disse: «Ehi! dorme già.» «Sono persuasa. È tutto il giorno che lavora e sarà stanca» rispose la madre dal letto. «Ebbene, provate a chiamarla» disse il figlio volgendosi anche all’altra cameriera. Infatti l’una e l’altra chiamaron forte: «Linda, Linda.» Ma la ragazza non si mosse. «Dorme proprio della grossa» dissero la madre e la cameriera. Ma il figlio, a cui batteva sempre più forte il cuore per la sorpresa e un po’ anche di paura, si provò a farle davanti al viso i passaggi trasversali, che, secondo aveva veduti, dovevano risvegliarla. Ed infatti comincià a dimenar la vita e si risvegliò.
«Mamma, voi altre non avete potuto risvegliarla chiamandola così forte; ed io l’ho risvegliata senza né chiamarla, né toccarla.» «Lo credo bene. Gli hai fatto vento sul viso, ed il fresco risveglia più e meglio di una chiamata» rispose impertubabilmente la madre. E per quella sera ognuno andò per i fatti suoi.
Il giorno appresso il figlio volle ripetere l’esperienza in presenza di sua e di Manzoni. La ragazza si addormentò. Non si mosse alla chiamata; e perché non si dicesse he fosse risvegliata dal vento prodotto dai passaggi trasversali, diede in mano a sua madre un parafoco di cartone, dimenando fortemente il quale, faceva svolazzare i capegli scarmiglliati intorno alla fronte dell’addormentata, che non si svegliò. Allora la madre cominciò ad agitarsi e a temere alquanto; ma il figlio ponendosi a una distanza dalla magnetizzata tale, che nessun vento potesse da esser lei sentito, e cominciati i passaggi trasversali, la paziente contorse alquanto la vita, sospirò e si risvegliò. Allora Manzoni e sua moglie rimasero sorpresi; d’incredulissimi diventarono scettici; ma mancava a loro ancora la persuasione. Ed il suo figliastro per sapere quel che faceva e che doveva fare, chiese in prestito al Dottor Prejalmini l’operetta: Pratique sur le Magnetisme animal del Deleuze (bibliotecario del Museo di Storia Naturale di Parigi, e che Manzoni aveva conosciuto e trovato una garbata persona), e si provvide di qualche altra opera sullo stesso argomento, delle quali Manzoni ne scorse qualcuna facendovi delle critiche e delle osservazioni, naturalmente sensatissime. Finalmente dopo un lungo numero di esperienze alle quali voleva sempre assistere, e che sorvegliava e che dirigeva con molto interesse; persuaso completamente della lealtà scrupolosa del suo figliastro, dell’assurdità ch’egli si fosse inteso con una contadina ignorante per ingannare i suoi parenti; dell’impossibilità che quei curiosissimi fenomeni potessero essere prodotti da inganno, mentre egli stesso ne poneva le condizioni e prescriveva il modo con cui gli esperimenti dovevano essere condotti; finì, come anche sua moglie, a convincersi della verità di quei fenomeni.
Ma gli attribuiva per la maggior parte a una particolare sensibilità ed esaltazione morbosa dei nervi del soggetto: ed in ciò andava d’accordo col parere di molti altri scienziati, ed aveva ragione, ma non in tutto. Ed aggiungeva: «Non vedo però l’utilità che la scienza potrebbe cavare da questi fenomeni irregolari, che non sembrano sottoposti a leggi fisse; e temo che non serviranno che ad accrescere l’infuenza dei ciarlatani.»
Ma si presentò anche il caso che dimostrò che il cosiddetto magnetismo animale poteva praticamente utilizzarsi. La giovane contadina si ammalò; si tentò sopra di lei l’influenza della cura magnetica; e con dei mezzi apparentemente ridicoli, risanò in un tempo molto più breve che se fosse stata curata con l’ordinaria medicina. Allora il Manzoni concluse che sarebbe stato desiderabile che la scienza si fosse occupata e avesse studiato quei fenomeni tanto curiosi e tanto misteriosi, invece di lasciarli in mano soltanto dei ciarlatani o di medici di dubbia riputazione. (3)
1. Sic. In napoletano “scene”.
2. Cesare Cantù, Alessandro Manzoni reminiscenze, Vol. I, Fratelli Treves, Milano 1885, p. 331.
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