Il 29 giugno 1886 il Ministero dell’Interno aveva vietato gli spettacoli di ipnotismo, magnetismo, mesmerismo e fascinazione. (1) Nel 1930, sotto la presidenza del consiglio di Benito Mussolini, la polizia applica tale divieto con particolare severità. A farne le spese è un giovane ipnotista di Santa Margherita Ligure: Riccardo Passaglia (1897-1977), noto al pubblico con il nome d’arte di Mister Lakenar.
Nel weekend dell’Immacolata è in tour a Torino. La Stampa ne annuncia il debutto al Teatro Balbo per lunedì 8 dicembre:
La Stampa, Domenica 7 dicembre 1930.
La Stampa, Lunedì 8 dicembre 1930.
Martedì 9 dicembre, durante il secondo spettacolo torinese di Lakenar, un poliziotto cerca di fermarlo, ritenendo che gli esperimenti presentati siano illegali. Scoppia un diverbio, e il mago – che sta usando trucchi da illusionista per simulare effetti di ipnosi e catalessi – si schermisce: «Ma lei non ne capisce. Mi lasci lavorare; io soddisfo il pubblico». Lakenar viene arrestato e tradotto in carcere: ha piccoli precedenti penali, e viene incriminato di oltraggio a pubblico ufficiale. Il processo si svolge il 17 dicembre, e il mago viene condannato al pagamento di circa 350 euro dell’epoca.
Qui di seguito i due lunghi articoli che La Stampa ha dedicato al caso.
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Mister Lakenar – l’illusionista che martedì sera dovette lasciare la ribalta del Teatro Balbo per seguire in questura il funzionario che lo aveva dichiarato in arresto, ha fatto ieri la sua apparizione alla ribalta giudiziaria. Ma è stata una brevissima e fugace apparizione, una semplice e rapida esibizione, come si dice in gergo di palcoscenico, intesa a mettere il protagonista dinanzi al suo giudice, che questa volta non era il pubblico ma il Tribunale. Mister Lakenar ha fatto questa esibizione ostentando un atteggiamento dignitoso ed altero. Coi polsi saldamente stretti dalle manette — lui abituato ad incatenare… l’attenzione degli altri – è entrato baldanzosamente nell’aula, precedendo di qualche passo i carabinieri che lo scortavano, e senza incertezze ed esitazioni — quasi avesse dovuto collocarsi dietro il tavolo dal quale, in teatro, illustrava agli spettatori i suoi multiformi miracoli – ha preso posto dietro la sbarra che separa il posto dei giudicabili dal resto dell’aula.
Il suo paesaggio per i corridoi del Tribunale è avvenuto quasi in sordina. L’annuncio dato prima dell’udienza, che il processo sarebbe stato rinviato, e le energiche misure prese dai funzionari di servizio, hanno fatto sì che il pubblico, convenuto in gran copia al Palazzo di Giustizia per assistere al dibattimento, sgomberasse l’aula e le adiacenze. E solo quando il pubblico ebbe sfollato, il protagonista della vicenda fu tolto dalla guardina e tradotto nell’aula. L’udienza è brevissima. Non si tratta che di sanzionare, attraverso le formalità previste dalla procedura, la decisione del rinvio. Mister Lakenar al secolo Riccardo Passaglia, di 33 anni, nativo di S. Margherita Ligure non ha neppure tempo di sedersi sul banco dei giudicabili. Egli del resto non prova alcuna ripugnanza per il duro banco. Vi ha già preso posto altre volte e per reati più gravi e pregiudizievoli per il proprio onore di quello che non sia il reato di cui oggi deve rispondere: oltraggio a pubblico ufficiale. Se come illusionista la sua carriera è relativamente recente, come imputato egli esordi giovanissimo: a 15 anni.
Lo attesta il certificato penale che ora è agli atti insieme al verbale di denuncia. Mister Lakenar ha subito tre condanne per furto, ma è incorso anche in altre procedure. Il 27 marzo 1912 il Pretore di Viareggio lo condannava condizionalmente, per furto, a 9 giorni di reclusione; il 22 novembre dello stesso anno il Tribunale di Lucca gli infliggeva 5 giorni di reclusione per furto e un mese di arresti per porto di coltello; più tardi la Corte di Appello di Lucca lo condannava a 14 mesi di reclusione, ancora per furto, ed infine, il Giudice istruttore di Lucca, lo assolveva il 21 gennaio 1915, per insufficienza di prove, dello stesso reato. Questi edificanti precedenti dell’imputato vengono ricordati dal P. M. cav. Quinto, allorché, accertate le, generalità dell’imputato, egli si alza per formulare la richiesta di rinvio:
– Il commissario dott. Tomasino ai cui danni è stato consumato il reato di oltraggio – dice il P. M. – è assente oggi da Torino. In considerazione dell’assenza del denunciante e per un insieme di ovvie ragioni che non mi necessita di illustrare, mi trovo nella necessità di richiedere il rinvio del processo. Alla deposizione del denunciante non è possibile in niun caso rinunciare; anche per le dichiarazioni che l’imputato ha reso allorché venne interrogato in carcere. E in questo si troverà d’accordo anche la difesa. Quanto alle istanze che potranno essere mosse nell’interesse dell’imputato, dichiaro subito che è inutile parlare di libertà provvisoria perchè non ci troviamo di fronte ad un imputato incensurato ma ad un individuo invece che ha riportato tre condanne per furto, l’ultima delle quali affatto irrilevante.
Per la difesa, che è rappresentata dagli avvocati Farinelli e Barosio, parla l’avv. Farinelli:
– La richiesta avanzata dal P. M. è legittima e non ci opponiamo affatto al suo accoglimento. Del resto la stessa difesa dell’imputato non può rinunciare all’audizione del commissario dott. Tomasino, in contrasto col quale si trovano i testimoni a discarico che abbiamo dedotto. Quanto alla istanza cui ha accennato il P. M. dichiariamo che non intendiamo affatto di proporla.
Dopo queste dichiarazioni delle parti, il Tribunale (Pres. cav. Zanotti, Canc. cav. Beggiato) ordina senz’altro il rinvio del dibattimento alle ore 15 del 17 corrente. Mister Lakenar viene riammanettato e ricondotto in guardina per essere più tardi ricondotto in carcere. Le poche persone che hanno assistito all’udienza si allontanano con una delusione di più. L’illusionista doveva serbare loro anche questa, che non è l’ultima, certo, dopo quella riservata dal suo certificato penale.
Il «re del divertimento» (cosi amava definirsi Mister Lakenar sui manifesti destinati a richiamare le folle al suoi spettacoli di illusionismo) ha procurato ieri ai suoi amici fedeli ed agli habitués delle aule giudiziarie un intero pomeriggio di autentico divertimento. La conclusione dell’avventura giudiziaria toccata all’«uomo enigma», a Mister Lekenar o per essere più esatti e aderenti alla realtà, a Riccardo Passaglia fu Eugenio, trentatreenne, da S. Margherita Ligure, ha costituito in effetti un intermezzo allegro e spassoso.
I fatti sono noti. Mister Lekenar agiva la sera del 9 dicembre al Teatro Balbo, producendosi in esperimenti vari che egli classificava così: «saggi di illusionismo». Ad un certo punto, uno spettatore al quale non era sfuggito il carattere diciamo così, artificioso di quegli esperimenti, insorse, gridando ad alta voce al trucco. Mister Lakenar lo rimbeccò vivacemente e per dimostrargli che era capace di qualcosa di più, si accinse a… confezionare un trucco maggiore. Collocò un giovane animoso e volenteroso sugli schienali di due sedie, poi si sedette sopra al tapino figurando cosi di aver ridotto il soggetto in stato di catalessi. Ma il commissario di servizio in teatro, dott. Benedetto Tomosino, che già poco prima era intervenuto per ammonire l’illusionista, sbucò un’altra volta di dietro alle quinte ed intimò a Mister Lakenar di smetterla.
Quale fu l’accoglienza fatta dall’illusionista al funzionario? La sentiremo fra poco, dalla voce dei testi. Ad ogni modo le espressioni che egli rivolse al funzionarlo furono tali da legittimare, più tardi, per parte dell’autorità giudiziaria, l’elevazione di due distinte accuse di oltraggio a carico di Riccardo Passaglia. Egli fu incolpato in primo luogo di avere pubblicamente offeso il decoro del commissario di P. S. Tomasino, in sua presenza ed a causa delle sue funzioni, apostrofandolo in teatro con la frase «Lei se ne vada perchè ne capisce niente»; poscia fu incolpato di avere consumato lo stesso reato, ma nella forma più grave, prevista dall’articolo 195 del C. P., «minacciando nei locali della questura lo stesso funzionario con l’afferiargli che se la sarebbe legata al dito e glie la avrebbe fatta pagare».
Detenuto da quella stessa sera del fatto, mister Lakenar comparve ieri al cospetto dei giudici. Egli piglia posto sul banco quando se ne è appena andata sotto il fardello di una condanna una faiseuse d’anges. Disinvolto e sorridente, si siede, abbassandosi il bavero della pelliccia e componendosi in un atteggiamento pieno di dignità e di compunzione, indossa ancora il frak col quale si era presentato al pubblico in quella sera fatale e volge nostalgici e accorati sguardi al giovanile pubblico che gremisce la tribuna e gli altri spazi dell’aula. Frammisti agli habitués di queste aule sono numerosi studenti: coloro appunto che coadiuvarono con estrosa e gioconda volonterosità l’uomo enigma nei suoi esperimenti o saggi illusionistici. Mister Lakenar è difeso dagli avv. Farinelli e Barosio. Presiede il cav. Zanotti; P. M. il cav. Martelli, cancelliere il cav. Beggiato. Richiamate le imputazioni e richiamati, ahimè!, i precedenti penali dell’Imputato (egli fu condannato, seppure in età assai giovanile, tre volte per furto), il Presidente passa all’interrogatorio:
– Sapete ora quali sono le imputazioni che vi si fanno. Difendetevi. Cosa avete da dire?
– Signori giudici, signori giurati – esordisce con tono magniloquente, che è press’a poco il tono solito dell’imbonitore, il «re del divertimento ». Ma l’avv. Barosio lo esorta a non far sfoggio di eloquenza – e assai valorosamente – penseranno i patroni.
Imputato: – Prima di entrare a parlare degli episodi che hanno provocato il mio arresto, vorrei offrire delle spiegazioni intorno alle tre condanne che ho riportato negli anni della adolescenza…
– Lasciate andare – lo interrompe il Presidente – quelle condanne non danno luogo alla recidiva per il reato di cui dovete rispondere oggi.
Imputato: – La sera dell’8 dicembre lavorai al Teatro Balbo. Lo spettacolo era andato bene…
Avv. Farinelli: – Fu il giorno dopo che si chiuse male.
Imputato: – …quando un signore mi interruppe chiedendomi delle spiegazioni.
E mister Lakenar prosegue esponendo il suo «credo» e le sue possibilità artistiche. Si apprende così che egli non faceva dell’Ipnotismo in senso reale e scientifico, ma dell’Illusionismo. Vale a dire parodiava gli ipnotizzatori, giovandosi di pseudo-soggetti che già conosceva e che lo coadiuvavano con tale perfezione da dare al pubblico l’illusione della realtà ipnotica. Per meglio mascherare il trucco e l’illusione, egli si avvicinava ai soggetti tenendo tra le mani qualche oggetto cabalìstico, una boccetta, una bacchetta argentea, ecc.: ma ciò non era che una concorrente per la dissimulazione apparente del trucco. Orbene, dopo lo spettatore che aveva interrotto furono alcuni studenti a richiedere delle spiegazioni. Egli li convocò per il pomeriggio del giorno dopo all’albergo dove alloggiava. In quella riunione fu fatto dell’ipnotismo sul serio. Alla fine donò ad essi alcuni biglietti per lo spettacolo che avrebbe avuto luogo alla sera. E tutti coloro che avevano partecipato agli esperimenti in privato si trovarono la sera in teatro. La prima parte dello spettacolo si svolse ordinatamente, perfettamente.
– Al momento di passare alla seconda parte – continua l’Imputato – si presentò in palcoscenico un signore che io conoscevo già da Varazze. Feci col suo aiuto qualche esperimento, quando di dietro alle quinte sbucò il commissariò osservandomi: «Badi che questo è ipnotismo». Poiché so perfettamente che esperimenti di ipnotismo non ne posso fare, perchè me lo vieta la legge di P. S. e poiché effettivamente io non facevo, come non ho mai fatto, in teatro, dell’ipnotismo, risposi: «No, cavaliere, questo non è ipnotismo». E si andò avanti. Ma ad un certo momento uno spettatore insorse: «Siete tutti d’accordo». Io, che ho sempre il sorriso sulle labbra quando sono sul palcoscenico, gli risposi celiando: «Qui sopra siamo in tre. Non manca che lei per completare il quartetto». Ma l’altro continuò a protestare e ad inveire. E allora si svolse un dialogo concitato tra me e lui. Io l’avevo perfettamente riconosciuto: era uno di quelli a cui io avevo donato il biglietto per lo spettacolo, certo Cacciamalli. Gli dissi perciò che mi sembrava poco gentile il suo modo di fare. Intanto intesi una voce dal palcoscenico: «La finisca. Io sospendo lo spettacolo». Mi trassi indietro. Ma non potevo per altro lasciare le cose a quel punto. Il pubblico voleva una soddisfazione. Allora presi un giovanotto che gli era vicino e dissi: «Con questo soggetto farò un esperimento più difficile». Ma sottolineai tuttavia che era anche questo esperimento era uno scherzo. Collocai cosi il giovanotto su due sedie e lo misi in uno stato rigido. Il pubblico applaudi, ma di dietro a me intesi una voce : «Questo è un esperimento di catalessi. La dichiaro in arresto». Senza voltarmi, perchè dovevo badare al soggetto ed al pubblico, risposi: «Ma lei non ne capisce. Mi lasci lavorare; io soddisfo il pubblico».
Pres.: – Queste parole vi furono dette dal commissario?
– Credo, perchè so che si trovava dietro le quinte. Ma io posso giurare di non averlo visto. Sul palcoscenico c’erano trenta o quaranta persone. Diedi quella risposta senza badare e d’altra parte non avevo affatto l’intenzione di offendere il funzionarlo. Chi, come me, calca da dieci anni i palcoscenici, ha molto rispetto per i funzionari di polizia, i quali tante volte ci cavano dagli impicci.
Pres.: – Cosicché sostenete di non avere neppure visto e riconosciuto il commissario?
– Ma non lo conosco neppure adesso. Quella sera l’ho visto per due minuti soltanto. Non si è trattenuto con me: non so perchè non abbia desiderio di parlare con me.
Pres.: – Veniamo al secondo episodio. In Questura avete ancora oltraggiato il funzionario facendogli delle minacce.
– Quando fui portato in Questura mi misi a parlare con alcuni agenti che mi compassionavano, io esposi loro le mie difese morali, e, rilevando il fatto che il mio disturbatore era rimasto libero mentre io ero stato portato dentro, esclamai: «Questa cosa bisogna che me la leghi al dito». In quell’attimo sopraggiunse il commissario, il quale mi annunciò che mi avrebbe trattenuto. Allora, pensando alla rovina che mi derivava, soggiunsi: «Andrò dal Prefetto, dal Questore e mi farò pagare le spese». Posso giurare sul mio onore e sui miei bambini che io non ho detto altro e che non intendevo oltraggiare.
Pres.: – Non lo avete minacciato dicendogli che gliela avreste fatta pagare?
– Io ho l’abitudine di sorridere. Quando si sorride non si minaccia.
Avv. Barosio: – L’imputato aveva qualche ragione particolare in quella sera per essere turbato ed agitato?
L’imputato risponde senza sottintesi. Quella sera – lui che beffava il pubblico – era stato beffato dal pubblico. Dapprima alcuni spettatori, attraverso la… trasmissione del pensiero, lo avevano obbligato a ripetere per infinite volte questo esercizio: svitare le lampadine elettriche della ribalta, cosicché l’illusionista aveva finito collo scottarsi le mani (e mister Lakenar fa vedere al Tribunale le scottature non ancora guarite); poscia il portoghese lo aveva fischiato e vituperato.
Mister Lakenar siede ed è introdotto il commissario dott. Benedetto Tomasino, il quale rievoca i fasti ed i nefasti di quella sera fatale. Dapprincipio diffidò l’illusionista ad attenersi alle prescrizioni della licenza, la quale inibiva gli esperimenti di ipnotismo. Poi, quando la canea suscitata dalle interruzioni di uno spettatore – lo studente e capitano marittimo Felice Cacciamalli – si scatenò nel teatro, cosi da dividere il pubblico in due fazioni, egli intervenne ancora per ammonire il Lakenar a tenere un contegno più corretto e riguardoso verso gli spettatori. Fu allora che l’illusionista lo apostrofò con le parole: «Se ne vada. Lei non capisce niente». In Questura, mister Lakenar rincarò la dose: «Lei si ricorderà di me per tutta la vita. Gliela farò pagare», esclamò all’indirizzo del teste ed alla presenza di altri funzionari.
Viene ora alla pedana uno del compiacenti soggetti che si prestavano per gli esperimenti dell’illusionista: Alberto Palazzolo, un giovane studente dai modi disinvolti ma distinti. Un goliardo, per dirla in una parola.
Avv. Barosio: – Il teste è quello che si prestò per l’esperimento di catalessi.
Pres.: – Allora non saprà nulla di quanto è accaduto.
Avv. Barosio: – Ma ora non è più in catalessi.
Teste: – Non lo sono più adesso come non lo ero nemmeno allora (risa).
Ed il giovane spiega che per procurare a sè ed agli spettatori un po’ di ilarità era salito sul palcoscenico per qualche saggio di illusionismo. Quando uno degli spettatori protestò, fu prescelto da Lakenar per l’esperimento di catalessi.
Pres.: – In che consìste questo esperimento? Il teste lo spiega con una fresca ingenuità: – Consiste nel collocarsi sopra due sedie e nello stare duro duro… (ilarità vivissima). – Poi, con un candore che accentua l’ilarità del pubblico, il teste aggiunge rivolto verso il Presidente:
– Lei non ha mal provato?
– Non ho mai provato e non proverò mai – lo assicura bonariamente il Presidente. Il giovane racconta poi di avere udito perfettamente le parole rivolte dal funzionario a mister Lakenar: «Questo esperimento è vietato. Lei non lo può fare», e la risposta data dall’illusionista: «Mi lasci stare. Lei non ne capisce niente». L’intervento del commissario si ebbe appunto quando fu iniziato l’esperimento di catalessi. In questura il teste intese poi l’illusionista esclamare che avrebbe messo in moto le sue conoscenze per farsi pagare i danni di quella serata.
Un altro studente, Carlo Lomello, allorché declina le proprie generalità ed è richiesto della professione che esercita, dichiara solennemente: Autodidatta. Fu tra coloro che salirono sul palcoscenico per gli esperimenti. Trovandosi egli vicino al palchetto di proscenio, il commissario Tomasino lo interpellò: «Ma siete lutti d’accordo?». Per non smascherare le batterie, il teste rispose negativamente. E fu forse un errore, perché il commissario si convinse che facessero sul serio davvero. Ultimo teste, Adriano Celoria (tra i vari soggetti egli era uno dei più preziosi ed applauditi: eseguiva fra l’altro una gustosissima parodia di Antonio Gandusio) racconta d’avere inteso il commissario dott. Tomasino esclamare mentre si dirigeva sul palcoscenico: «Sapevo che questa sera andava a finire così». E il teste non intese che questo perché dovette poi lasciare il teatro per recarsi alla stazione.
Pres. al teste: – E allora, se non ha sentito altro, vada.
Avv. Barosio: – Ma abbiamo altri cento testimoni che hanno sentito. Se vuole che li facciamo sfilare…
Ma l’ora è tarda e la causa ormai è istruita. Prende a parlare il P. M, il quale sostiene che l’intervento del commissario Tomasino fu legittimo e doveroso: legittimo l’arresto dell’imputato; perfetto, nella sua obbiettività, il reato, o meglio i due reati commessi dal Passaglia, per il quale richiede la pena di 4 mesi di reclusione e di 140 lire di multa. – Il fatto ha una particolare gravità – conclude il P. M. – per il luogo in cui fu commesso. Non si potrà quindi dire che ad una eccessiva severità siano informate le mie richieste.
– Un’altra illusione – esclama l’avv. Farinelli, mentre l’avv. Barosio, prendendo per primo la parola in difesa dell’imputato, esordisce vibratamente: «Né quattro mesi, né quattro giorni, perchè in linea giuridica il reato di oltraggio non sussiste». E l’oratore lo dimostra con abbondanza di argomentazioni che hanno riguardo alle obbiettive condizioni di fatto. Ma anche da un punto di vista più piano, semplice, umano, le parole dell’illusionista non possono considerarsi come integranti il reato di oltraggio. L’avv. Barosio chiede cosi l’assolutoria del suo difeso. Una brillante ed efficace sintesi delle argomentazioni difensive fa infine l’avv. Farinelli ed il Tribunale pronuncia la sentenza: Riccardo Passaglia è ritenuto colpevole, anziché dei reati di oltraggio e di oltraggio con minacela, di un unico reato di oltraggio semplice continualo ed è condannato a 400 lire di multa ed alle spese. Un applauso che il Presidente tosto reprime, scoppia tra il pubblico alla lettura della sentenza. Ma l’applauso si rinnova, fervido e nutrito, all’indirizzo dei difensori allorché lasciano l’aula per procedere alle formalità che dovranno in serata portare alla scarcerazione dell’«uomo enigma», del «re del divertimento». F. A.
Dopo la vicenda torinese, Lakenar cambia nome e si ripresenta al pubblico con il titolo orientale di “professor Mohamed”. La sfortuna, però, continua a perseguitarlo. Mercoledì 13 marzo 1935, durante uno spettacolo a La Spezia, frana sul pubblico da un’altezza di sei metri. Resta coinvolta nell’incidente anche la moglie Assunta Azara.
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La Spezia, 13 notte. Questa sera, nel vasto teatro Monteverdi, si produceva l’illusionista prof. Mohamed, alias Riccardo Passaglia, di anni 37, da Viareggio. Molto pubblico era accorso per assistere specialmente al fenomeno di catalessi. Il Passaglia infatti si esibisce in tale esperimento facendosi trasportare su due trapezi lungo un cavo che attraversa tutta la platea dall’alto del loggione fino al palcoscenico. Lo spettacolo era appena incominciato ed il Passaglia si trovava già ad un’altezza di circa sei metri quando, per cause non bene precisate, il cavo si spezzava e l’illusionista precipitava in platea, gremita di spettatori. Una signora, tale Baby Ucci, artista, è stata investita in pieno, fortunatamente senza riportare lesioni gravi. Alcune signore sono svenute; cosi la signora del Passaglia, Assunta Azara, che assisteva all’esperimento. Alcune poltrone rimanevano sfasciate. Il pànico nel pubblico è stato enorme. L’intervento della forza pubblica ha subito ristabilito la calma. Prontamente soccorso, l’illusionista è stato trasportato all’ospedale civile ove il sanitario di turno si è riservata la prognosi, ordinando il ricovero del ferito in corsia. Ma il Passaglia, rimessosi poco dopo, ha abbandonato il luogo di cura eludendo la vigilanza degli infermieri e, in automobile è tornato al Monteverdi per pregare il direttore di non disdire il contratto.
Una locandina dell’ottobre 1937 annuncia uno spettacolo di “Lakenar Takia” a Tavola, in provincia di Prato.
Dopo oltre vent’anni l’illusionista torna a esibirsi a Torino il 1° ottobre 1953 al Teatro di via Sacchi. La Stampa sorvola sui trascorsi e propone una breve recensione del suo spettacolo.
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Lakemar [sic] al Teatro di via Sacchi – Illusionismo, ipnosi e… scienza dei trucchi
L’illusionista Lakemar [sic], ha divertito ieri sera il discreto pubblico, amante e curioso di tali spettacoli. Nato a Santa Margherita Ligure, dalla parlantina però toscana, signorile nell’eloquio «Imbonitore», convincente, rapido negli svariatissimi numeri, ha saputo per tutta la serata tenere vivissima l’ilarità degli spettatori che si sono abbandonati all’inganno e al «trucco c’è, ma non si vede» divertendosi specialmente nella seconda parte del programma che Lakemar [sic] definisce – e noi non lo smentiamo – scientifica. Da più di vent’anni non era più venuto a Torino dove era stato allievo di Gabrielli. Ora è «reduce» dall’Egitto, ha dato al Cairo spettacoli a cui ha assistito anche Naguib.
A Sanremo, egli dice, sarebbe in grado di mettere a terra i giocatori di «chemin de fer», ma se ne astiene – è sempre lui che parla – per un senso di onestà che lo trattiene dal «barare» come gli sarebbe facilissimo. «Condotto», anzi «guidato» dal pensiero, di alcuni spettatori cortesemente prestatisi, ha individuato, per esemplo, dall’olfatto, uno del pubblico odorando la mano di chi gli aveva toccata la testa. E ancora, ha trovato in pochi minuti, uno spillo infilato in una sigaretta chiusa nel pacchetto di un altro spettatore. Ma a parte la riuscita di tali esperimenti, ciò che diverte di più è la parlantina con cui Lakemar [sic] li accompagna, sempre spiritosa e signorile. Molte risate e molti applausi. Le rappresentazioni proseguiranno fino a domenica.
L’autore ringrazia Angelo Mitri per alcune informazioni biografiche.
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