Mi impegno a far fallire ogni definizione
di sedia o di “sedietà” che mi si proponga.
—H. G. Wells
Ci sono modi eleganti per dare dell’imbecille a un intervistatore. Quando gli chiesero “Che cos’è Il nome della rosa?”, Umberto Eco rispose glaciale: “È un oggetto rettangolare di 20 centimetri per 10 e spesso 5 centimetri, composto di charta lintea o pergamino de pano, fatto dalla macerazione del legno”. Sfoderata al momento giusto, perfino una definizione tratta dall’enciclopedia può suonare impertinente.
Con la stessa insofferenza, in queste pagine ci impegneremo a far fallire ogni definizione di “libro” che ci verrà proposta; non per spirito di contraddizione, ma per il gusto della sorpresa: violare le regole fa accadere cose inaspettate.
Faremo come i pirati informatici, che non si accontentano delle funzioni offerte dai computer “normali”: per aumentarne le potenzialità, gli hackers studiano le macchine, le manomettono e a volte le integrano con nuovi elementi. Frustrati dallo status quo, i pirati mettono in discussione gli apparecchi preconfezionati, creando oggetti devianti più versatili degli originali. È una pratica ostacolata dalle aziende, che in genere “chiudono” i prodotti per impedire ogni modifica – dando vita a un braccio di ferro tra i difensori della norma e chi, più creativo, la sfida sistematicamente.
Manomettere un libro ha lo stesso scopo: ampliarne le potenzialità e fargli svolgere compiti insoliti e sorprendenti – o come direbbe un negromante, attivare i suoi poteri magici. Ma se i pirati informatici sono nati con i computer, i book hackers hanno una storia plurisecolare, che risale all’avvento del libro.
Senza alcuna pretesa di esaustività, nelle prossime pagine ne seguiremo quattro filoni, immergendoci in un strano flusso dove si mescolano narrazione, note tecniche per designer, segreti svelati e spunti pratici per fare di un libro un oggetto sovversivo: tanto offre l’epica storia sotterranea del book hacking; la sua presenza costante ai margini del mainstream ha in serbo preziosi stimoli per chi confida nel potere eversivo della creatività e dello stupore.
—Mariano Tomatis