Cornelio Cucco
L’Amministrazione di Oropa, il nuovo prestito e le nuove spese. L’inopportunità di un nuovo prestito oneroso
La Congregazione Amministratrice del Santuario d’Oropa, appunto per la massima autonomia della quale gode — non soggetta, fortunatissimamente, a tutele burocratiche sempre inutili, spesso esiziali — ha invece un controllore supremo ed inappellabile: l’opinione pubblica. Questo controllo si esercita con maggiore autorevolezza, in quanto Oropa è schiettamente patrimonio di tutti i bieliesi, i quali, sull’argomento del loro Santuario, sanno deporre tutti gli astii e tutte le querele, per il maggior incremento dell’insigne secolare istituzione religiosa e civile.
Nessun timore quindi di incameramento (timore che registra, e confuta, l’ultima puntata dell'Eco del Santuario). Contro l’incameramento insorgerebbero tutti i bieliesi, di tutti i partiti. Ma il deprecare tale incameramento è sopratutto compito precipuo di una buona Amministrazione, la quale non dovrebbe, a poco a poco, distogliere Oropa dai fini tassativi di «gratuito Ospizio», non scevro da spirito di larga beneficenza e munificenza, che si contengono nei documenti di fondazione.
Per la centenaria Incoronazione del 1920 (la quarta) l’Amministrazione si lasciò vincere, è opinione comune, da alquanta megalomania. Si spese troppo. Grave errore, essendo in costruzione una Chiesa nuova, fu quello di profondere centinaia di migliaia di lire per la Cappella Eusebiana della Chiesa antica: denaro che doveva essere risparmiato, ancor più per l’arte ed il buon gusto, che per le già gravi ragioni finanziarie.
Ed i lavori della Basilica Nuova vennero pressati in tempi difficili, mentre i salari operai e le spese di trasporto toccavano il maximum, con gravissimo dispendio di danaro.
Ne derivò uno sbilancio nell’Ente, al quale si fece fronte con tre mezzi essenziali:
1) tariffamento dell’ospitalità, scusabile solo in parte, in quanto ha «snaturato» la destinazione dell’Ente, tra le proteste dei fedeli;
2) alienazioni, tra cui quella del Palazzo di Biella, che, credo, furono saggie, in quanto misero a disposizione, per il pagamento dei debiti, notevoli somme di denaro liquido;
3) emissione di un prestito di tre milioni di lire, che obera per trenta anni, per servizio interessi ed ammortamento, le finanze di Oropa.
Di tutti questi provvedimenti, che hanno ormai conseguiti i loro effetti, non parlerei neppure, se oggi non si affacciasse il lanciamento di un nuovo prestito (di tre milioni, se non vado errato) per continuare la politica grandiosa delle spese, specie per la Chiesa Nuova.
Secondo molti cittadini (e certamente secondo la maggioranza di quanti si interessano al problema) questa politica, per un Ente secolare che non deve contare gli anni, nè i decenni (tutte le grandi Basiliche sono opera di innumerevoli generazioni susseguitesi) è affrettata, e pericolosissima, per l’avvenire di Oropa.
Perciò, dichiaro che il nuovo prestito è inopportuno. Motivi:
1) non è nel carattere di un Santuario ipotecarsi, con debiti ed operazioni finanziarie, l’avvenire. Ciò complica la contabilità, che dev’essere semplice, e può obbligare a far capo, per servizi varii, a Banche e ad Istituti di Credito, soggetti ai mutamenti delle fortune umane,
assai più che non gli Enti secolari. La casa di Dio, poi, si deve costruire esclusivamente colle libere successive offerte dei Fedeli, a fondo perduto. La Madonna deve essere creditrice, sempre,
non mai debitrice di chichessia;
2) col servizio oneroso di due prestiti, Oropa sarà sempre prigioniera dei proprii debiti, nè si avvierà più al ristabilimento della gratuita ospitalità per i pellegrini, nè potrà tornare forziere prezioso per le guerre e le calamità (Mullatera) riserva di beneficenze e di sollievo
per le eventuali epoche tristi, che attendessero nostra gente. Si avvicinerà invece sempre più ai caratteri di un’intrapresa (sia pure a buon fine) sulla quale si appunteranno, tosto o tardi, gli artigli del Fisco;
3) per quanto riguarda la Nuova Chiesa, che ha linee più di grande Basilica di Pianura per grande città, che non di Tempio tra i monti (ricordo una mia intervista col celebre pittore Cavalieri) giova notare che i pareri del pubblico e dei tecnici sono disparati, e potrebbe
darsi mutassero radicalmente le attuali concezioni.
Perchè non fare, anzitutto, una severissima perizia tecnica sulla stabilità assoluta (non relativa) del terreno sul quale si vuole ingigantire la massa del nuovo edificio?
Non corriamo forse il pericolo di profondere milioni, in ciclopiche costruzioni su basi — relativamente — non solide?
Osservo che una Basilica del genere deve essere costrutta per i millenni, non per durare cento anni, come una casa od un opificio. Non troppa fretta, quindi, illustrissimi signori! E se la lode della generazione futura, della quale siete tanto ansiosi come della Grazia della Madonna, dovesse per avventura mutarsi in rimprovero?
Ormai, con procedere nuovo, i nomi e cognomi e titoli di tutti i presenti del 1920 sono stati lapidati nel punto più sacro del Sacello Eusebiano, coprendo troppi vecchi sassi assai più preziosi di quel marmo; ed i pronipoti saranno dispostissimi a dire ai generosi della IV Incoronazione: Basta!
E, per oggi, basta anche di questo articolo, salvo riprendere, e svolgere, con perfetta serenità, la grave questione.