Mariano Tomatis, 12 dicembre 2012
Il museo dell’innocenza
La narrativa fantastica, si sa, può plasmare in modo tangibile la realtà. Ma fino a quanto? Il “museo dell’innocenza” di Istanbul è un notevole esempio delle sue potenzialità.
Nel 2008 il premio Nobel per la letteratura Orham Pamuk pubblica Il museo dell’innocenza. Il romanzo esplora la tormentata storia d’amore tra due giovani turchi — Kemal e Füsun — sullo sfondo della Istanbul degli anni Settanta. L’ossessione di Kemal nei confronti della donna lo spinge a collezionare migliaia di oggetti che gli ricordano i momenti trascorsi insieme — dai pettini che trattenevano il profumo di Füsun alle cartelle della tombola con cui giocavano, degli scorci fotografici della città alle scatole di fiammiferi dei ristoranti frequentati.
In un affascinante intreccio tra realtà e fantasia, Kemal racconta la sua storia all’autore, pregandolo di farne un romanzo e di costruire fisicamente un museo che conterrà gli oggetti accumulati per una vita. Il romanzo che ne emerge è una sorta di guida ragionata al museo, che passa in rassegna gli oggetti e i ricordi evocati da ciascuno, attraverso cui si sviluppa la lunga ossessione dell’uomo per la sfuggente Füsun.
Dopo la pubblicazione del libro, Pamuk progetta e realizza la versione “fisica” del romanzo. Ospitato nel quartiere stambuliota di Cucurkuma, il “museo dell’innocenza” occupa l’intero edificio dove Füsun viveva e si sviluppa su tre piani.
Aperto nell’aprile 2012, il museo presenta 83 teche, una per ciascun capitolo del libro. Ciascuna teca è intitolata come il capitolo corrispondente, e raccoglie gli oggetti che evocano i diversi frammenti della storia d’amore. Il primo capitolo, che rimanda all’istante più bello della vita di Kemal, prende l’avvio da un orecchino perso da Füsun, impigliatosi in un lenzuolo mentre facevano l’amore. La prima teca museale mostra l’angolo di un tessuto di pizzo da cui pende il gioiello. In assenza di altre didascalie, il visitatore può farsi guidare nell’interpretazione dal corrispondente capitolo del romanzo, o fare in modo che gli stessi oggetti raccontino una storia inedita e diversa.
Più vicino a una wunderkammer che a un museo classico, l’esposizione è un sogno di carta che ha preso vita e offre ai lettori un’esperienza immersiva unica nel suo genere. Di fronte alla camera da letto di Füsun, perfettamente conservata al terzo piano, è difficile percepire una netta separazione tra la realtà del romanzo e la nostra.
Accanto alla scala che conduce ai piani superiori è trascritto l’incipit del libro:
Era l’istante più felice della mia vita, e non me ne rendevo conto.
Secondo Pamuk,
nessuno si rende conto di vivere l’istante più felice nell’attimo in cui lo vive. Dopo, è consapevole che si tratta di un passato che non tornerà più. Tutto questo provoca un grande dolore. La sola cosa che lo fa sopportare è il possesso di un oggetto, che ricorda quell’attimo prezioso. Gli oggetti conservano i colori e gli odori di quei momenti con più fedeltà di quanto facciano le persone che ci hanno procurato quella felicità.
Se la teca che espone i resti delle 4213 sigarette fumate da Füsun svela i risvolti feticistici dell’ossessione di Kemal, la selezione complessiva degli oggetti racconta una storia più ampia.
Le 4213 sigarette fumate da Füsun
Alcuni oggetti provengono dai mercatini delle pulci; altri sono stati donati a Pamuk dalle famiglie del posto; altri ancora sono stati ricostruiti da abili artigiani. L’uno accanto all’altro, sono in grado di parlare anche a chi non ha letto il romanzo, raccontando la storia di un’epoca che non c’è più.
Ogni teca rappresenta un tableau in cui dominano le tonalità seppiate e l’usura del tempo, e le piccole (e mirate) incoerenze tra libro e museo propongono al visitatore una sorta di caccia al tesoro. Perché il cagnolino di ceramica sulla radio dorme triste nel romanzo, mentre alza lo sguardo felice nella teca museale?
Romanzo e museo trovano un punto d’incontro nel catalogo fotografico del luogo (da poco pubblicato in Italia), che l’autore ha realizzato come sintesi dei due.
Elif Batuman ha fatto notare i risvolti borgesiani della vicenda:
Borges avrebbe potuto scrivere un racconto breve su un pazzo che allestiva un museo mentre scriveva un romanzo in cui raccontava l’allestimento del museo stesso. Pamuk, invece, ha scritto il romanzo, costruito il museo e scritto un catalogo che comprende entrambi. (1)
Fabio De Propris approfondisce lo strano rapporto tra museo e libro, mettendo in luce il loro estremo realismo:
Il romanzo è incessantemente garantito dalla presenza reale degli oggetti che evoca. [...] Il museo sembra dunque l’essudato materiale del realismo ossessivo del testo letterario. Al tempo stesso, il romanzo è la garanzia fantastica che ogni singolo oggetto esposto racconta una storia, ovvero sta lì a significare il vissuto reale di chi ha usato quell’oggetto e, come un inconsapevole sciamano, gli ha infuso per sempre il calore della vita vera. (2)
Il catalogo comprende un notevole Manifesto che racchiude lo spirito del progetto e intende ispirare la creazione di altri musei dedicati alle piccole storie individuali:
1. I grandi musei nazionali [...] presentano la storia di una nazione (cioè la storia) come qualcosa di molto più importante degli stessi individui. Questo è un peccato: le storie delle persone esprimono molto più profondamente la nostra umanità.
3. [...] Le storie di vita quotidiana e quelle ordinarie degli individui, sono più ricche, più umane e molto più gioiose rispetto alle storie delle grandi culture.
4. [...] La vera sfida consiste nell’utilizzare i musei per raccontare le storie dei singoli esseri umani che vivono in quei paesi con la stessa luminosità, profondità e intensità. [...]
8. Le risorse destinate alla creazione di musei monumentali e simbolici dovrebbero [...] essere dedicate a incoraggiare e sostenere le persone in modo che esse convertano le loro piccole case in spazi espositivi. [...]
11. Il futuro dei musei è dentro le nostre case.
Quello di Pamuk è un gioco interattivo che coinvolge visitatori e lettori in prima persona: quali oggetti sceglieremmo come emblema degli avvenimenti più importanti della nostra vita? Un angolo della nostra casa potrebbe diventare il nostro personale, intimo e segreto museo dell’innocenza.
Note
1. Cit. in Robert Fulford, “Orhan Pamuk’s fictional museum is brought to life” in National Post, 11.12.2012.
2. Fabio De Propris, “Amori perduti e oggetti-culto: il museo di Orhan Pamuk dove il romanzo si può toccare” in Alias, 9.12.2012.