Mariano Tomatis, 19 maggio 2011
Magia e Significato nell’arte di Ferdinando Buscema
Il mondo pullula di illusionisti ansiosi di dimostrare le loro abilità. Non appena gliene si dà l’occasione, esordiscono con il classico invito: «Scegli una carta!». Di solito, e per cortesia, assecondiamo il mago senza obiezioni, quando l’unica replica ragionevole sarebbe la domanda: «Perché dovrei?».
L’ingresso di un prestigiatore nei nostri spazi ci proietta in una dimensione teatrale demodé, dove la buona educazione impone obbedienza e un applauso finale. Nei confronti degli illusionisti improvvisati, fingere interesse per un gioco di prestigio è una meritoria azione caritatevole. Ma davvero la magia secolare è condannata a degenerare in una sempre più mesta caricatura di se stessa?
Da qualche decennio, uno sparuto gruppo di prestigiatori “illuminati” ha iniziato a prendere coscienza di questo scenario, interrogandosi sulla questione principale: possiamo ancora evocare un sincero senso di meraviglia in un disincantato spettatore moderno, o siamo condannati a un eterno, paternalistico senso di pietà?
Le riflessioni condotte su questo tema sono culminate con la pubblicazione di Magic and Meaning, il libro di Eugene Burger e Robert E. Neale il cui cardine è il concetto di “significato”. Attraverso un’analisi storica dell’illusionismo attraverso i secoli, i due autori danno conto di un progressivo allontanamento dal contesto significativo in cui nacquero i primi effetti magici.
All’epoca in cui si doveva cacciare per sopravvivere, la produzione di un animale dal nulla era un gesto magico dalle implicazioni profondamente vitali. Oggi, l’apparizione di un coniglio dal cilindro appare come l’incongruo accostamento di un capo di abbigliamento di un secolo fa a un animale piuttosto raro nei moderni centri urbani. Il progressivo svuotamento di significato degli effetti magici li ha trasformati in patetiche evocazioni di scenari di un tempo, facendo dell’illusionismo uno dei bersagli preferiti dalla moderna satira televisiva.
Nel nostro Paese, sono pochi i prestigiatori sensibili al binomio “Magic and Meaning”; tra questi, uno dei più apprezzati a livello internazionale è Ferdinando Buscema.
Ferdinando incarna l’antica figura del mago attraverso una sua rielaborazione moderna, presentandosi come Magic Experience Designer, una sorta di “architetto” di esperienze magiche. Votato a un elegante approccio minimal, il suo profilo Twitter non fa riferimento a “trucchi magici”, “carte da gioco” o “fazzoletti sgargianti”:
Translating noise into signal, making meaning out of chaos
Ferdinando sottolinea di sé un solo aspetto: la capacità di convertire il rumore in segnale, puntando il riflettore sui significati che emergono dal puro caos. In questo ritiene che risieda l’autentica Magia, cui volutamente non associa gli aggettivi di “cerimoniale” o “secolare”, per non ostacolare la naturale e fertilissima ambiguità del termine che la definisce.
Ferdinando si trova a suo agio tra le tende rosse dei palcoscenici quanto nelle più fredde aule universitarie, perché il suo stile e i suoi messaggi sono del tutto trasversali: ingegnere meccanico cultore di tradizioni ermetiche, Buscema fa surf tra le pagine dei manuali di tecnologia digitale e quelle dei trattati alchemici, offrendo al suo pubblico — da navigato story teller — racconti e aneddoti che coinvolgono artisti insoliti, scienziati di nicchia, complessi rock progressive, psicologi sociali, tecnosciamani e personaggi di fantasia. E seppure l’impressione complessiva sia quella di un multiforme jazz di idee, provenienti da ogni ambito del sapere, ogni suo “atto magico” è caratterizzato da una sorprendente economia di parole e da una elegante linearità; ciò che colpisce di più è la sua attenzione alla “rilevanza” per lo spettatore di ciascun tema trattato. A seconda del contesto in cui si esibisce, Ferdinando dimostra di saper calibrare tematiche e concetti allo specifico pubblico con cui si trova a interagire, rendendo del tutto pleonastico chiedergli perché giocare con lui.
In un’occasione, Ferdinando ha dedicato alcuni minuti del suo show alla lettura di una pagina tratta da un popolare romanzo, violando del tutto i ritmi di una classica session di prestigiazione; l’ha sottolineato incredulo ed entusiasta Peter Samelson in una sua recensione, scrivendo:
Credo di non aver mai visto, nella mia vita, un prestigiatore che legge un brano da un libro e riesca a farlo apprezzare al pubblico. In questo caso, è esattamente quello che è avvenuto!
Per chi ha avuto la fortuna di seguirlo nella sua evoluzione artistica, è evidente il continuo processo di sottrazione a cui sottopone ogni suo effetto magico, nell’ottica del “less is more”. Il risultato è un tipo di magia “minimal” che trova collocazioni insolite: Ferdinando lavora in contesti di formazione aziendale, viene invitato a tenere relazioni in ambito accademico ed è il primo prestigiatore ad avere avuto accesso a un TEDx italiano. Alcuni tra i più colti e raffinati illusionisti del mondo, come Max Maven, il già citato Eugene Burger e Jeff McBride, riconoscono gli aspetti innovativi dello stile di Ferdinando e lo invitano a esibirsi sulle due coste degli Stati Uniti, dapprima al Magic Castle di Hollywood, più di recente al Monday Night Magic di New York.
Solo la televisione italiana mostra di non cogliere del tutto gli elementi di rottura della sua magia rispetto a quella di molti illusionisti contemporanei. Nel presentare uno dei suoi effetti magici, dedicato alla Sorte e al suo rapporto con la vita quotidiana, i riflettori vengono puntati sulle sue doti da giocoliere: la capacità di manipolare le carte con una sola mano. Titolo e introduzione attirano l’attenzione dello spettatore verso una esibizione di destrezza fisica. Quello che Ferdinando offre, però, è uno show a più livelli, di cui l’abilità manuale è solo la superficie:
C’è, nella costruzione di questo numero, uno studio molto attento del pubblico coinvolto e del contesto. L’ambiente è quello di un casinò, i cui frequentatori sono interessati a una cosa sopra tutte: vincere. Evitando preamboli barocchi, Ferdinando va dritto al punto: «Voglio rivelarvi un segreto molto importante e utile: come si fa a essere fortunati.» Difficile non restarne agganciati.
Buscema rivolge a uno spettatore una domanda innocua: «Mauro, tu ti ritieni una persona fortunata?». Mauro annuisce, e Ferdinando replica in modo paradossale: «Risposta esatta!».
Rompendo con una tradizione diffusa sui palcoscenici di tutto il mondo, l’illusionista non approfitta dell’interazione per prendersi gioco dello spettatore con battute da cabaret. È l’esatto opposto. Mauro è oggetto di un gratuito e inaspettato feedback positivo: la sua risposta è esatta!
Al Theatre 80 di New York la risposta della spettatrice coinvolta era stata opposta: no, non si sentiva affatto fortunata. Anche in questa occasione, Ferdinando non aveva approfittato della situazione per sottolinearne l’errore. Poiché il suo obiettivo era di rendere ancora più significativo il segreto che stava per rivelare, aveva risposto: «Allora ho scelto la persona giusta! Il mio segreto potrebbe farti diventare fortunata.»
Il segreto enunciato, suffragato dai numerosi studi citati da Richard Wiseman nel suo libro Fattore Fortuna, diventa il tema per un esperimento che coinvolge un oggetto del tutto coerente con l’ambiente circostante: un mazzo di carte. Il principio esposto è sorprendente, e l’occhio scettico dei presenti rende del tutto logico il fatto di metterlo alla prova praticamente.
Grazie alla narrativa proposta, se ora Ferdinando dovesse invitare Mauro a scegliere una carta, la ragione profonda della richiesta sarebbe autoevidente. Ma Buscema è attratto dalla linearità, e quindi invita lo spettatore a sollevare una porzione di mazzo e osservare l’ultima carta, mostrandogli come fare. A differenza del classico gesto delle carte a ventaglio, che si rifà al mondo degli illusionisti, l’invito a sollevare le carte in questo modo evoca una procedura che è familiare a chiunque abbia giocato a casa propria e abbia dovuto decidere chi deve distribuire le carte.
A un primo livello, vediamo Mauro vincere per tre volte consecutive. È una prima conferma del Fattore Fortuna. A un livello più profondo, riconosciamo il paradossale capovolgimento di uno schema antichissimo, che vede il Mago — detentore di poteri arcani — indiscusso vincitore di qualsiasi sfida contro i comuni mortali. Sapendo che nulla accade per caso e che la Sorte è in mano al Mago, perché costui sceglie di perdere? Tale struttura narrativa, rarissima tra i prestigiatori moderni, rivela l’intenzione di mettere in primo piano lo spettatore e la sua esperienza, trattandolo come un vincitore e regalandogli una sensazione di esaltazione piuttosto che di frustrazione. Il prezzo, che Ferdinando è disposto a pagare, è quello di un temporaneo ridimensionamento del proprio Ego.
È solo a questo punto che il prestigiatore rivolge su di sé i riflettori, esibendosi in una serie di impressionanti manipolazioni del mazzo di carte con una mano sola; il sottotesto taciuto è che la sottigliezza dei concetti sfiorati è sostenuta da un’altrettanto fine abilità manipolatoria, ostentata con una sicurezza che fa scorgere in trasparenza anni di duro esercizio. Il tutto non è gratuito, ma coerente con il gioco che verrà: per evitare l’ipotesi che sia all’opera altro rispetto al semplice caso, una serie di complicati miscugli toglie ogni dubbio anche al più scettico dei presenti; l’ulteriore costrainte della mano solitaria rende ancora più solida l’idea che nessun controllo possa essere esercitato sulla posizione delle carte.
Il finale dell’effetto ripropone la vittoria dello spettatore sul mago, che è ancora e soltanto il primo livello di lettura; a un livello più profondo, chi riesce a scorgere il ruolo di Magister Ludi che Ferdinando si è ritagliato dietro le quinte, rimane incantato dal sapiente mix di tecniche manipolatorie, story telling e costruzione teatrale dell’intera esibizione. Gli elementi chiave sono i ripetuti feedback positivi allo spettatore coinvolto, il perfetto filo logico che — dall’annuncio di un segreto — attraversa la sua enunciazione e la sua messa in opera, l’economia degli oggetti (e dei concetti) in gioco e la tematica archetipica della Fortuna, il cui background narrativo è rilevante per chiunque, in particolare per i frequentatori di un casinò.
Ferdinando è il direttore di un’orchestra che coinvolge sottili tecniche narrative, manipolatorie, psicologiche e concettuali, il cui coordinamento richiede capacità di gestire complessità esponenziali. Come attraverso una labirintica matrice quadridimensionale, Buscema si distingue per la straordinaria abilità di disegnare percorsi inediti e significativi, resi accessibili grazie a una limpida linearità. I molteplici livelli di lettura delle sue esibizioni e lo stile citazionista, elementi che strizzano l’occhio all’estetica postmoderna, lo rendono adatto a un pubblico moderno e sofisticato, in cerca di esperienze magiche al passo con i tempi.
In definitiva, Ferdinando è tra i pochi illusionisti ad avere interiorizzato uno degli aspetti caratterizzanti l’arte del Terzo Millennio, che Banksy così esprimeva nel suo manifesto artistico:
La fama non si raggiunge attraverso opere d’arte nate al solo scopo di raggiungere la celebrità. Oggi la notorietà è l’effetto collaterale della creazione di qualcosa che abbia un significato.