Cortese Lettore, non sei meravigliato? Se non lo fossi, potresti diventarlo nel veder un così sottile libretto andar esaurito tanto velocemente. Ma come leggiadro viene, presto se ne va; così dicono i Giocolieri, e ben si può dire anche a proposito di questo soggetto. Vuoi dunque sapere da dove proviene? Ebbene, dalla Fiera di San Bartolomeo. Vuoi sapere dove si può comprare? Alla Fiera stessa.

Ma come la Fiera, anche il libro è vagabondo; e come leggiadro viene, presto se ne va; per cui si può veder sul frontespizio, non soltanto per la Fiera di San Bartolomeo, ma per le Fiere del Regno tutte, Hiccius Doccius, il quale è messaggero prodigioso, e ciò che colà si vuole, qui gli verrà comandato, un ordine o due, una frase di rito, non tanto di sostanza quanto più di circostanza: Celeriter, Vade, supera confini e asperità, nella benigna e nella mala sorte, per giungere infine alla tua Fiera. Dunque largo al Prestigiatore, prendete tutti posto, altro non si desidera che di accontentarvi tosto. E se dunque ti garba compralo e leggilo, altrimenti lascialo al prossimo che lo vorrà.

A presto. (1) 

Note di Mauro Ballesio

L’epistola su riportata è tratta dall’edizione 1635 del libro di Hocus Pocus Junior. La prima edizione presentava, invece, questo testo:

Cortese Lettore, vi fu un tempo in cui assistevo con ammirazione non meno d’altri alle meraviglie di codesta Arte: per cui volendo fare altrettanto, divenni spettatore di vari maestri, e infine fu mia soddisfazione apprendere le tecniche della manipolazione, e una volta imparate, con un po’ di pratica ne divenni esperto, ed essendomi esibito in tali prodigi davanti ad amici e conoscenti, essi vollero persuadermi che era impossibile per chiunque eseguire tali cose senza illecito ausilio, e per di più qualcuno cominciò a farmi pressioni a riguardo. Orbene per chiarire la mia posizione e dar loro compiacimento, promisi che qui ne avrebbero avuto ampia dimostrazione. Dunque per quanto la mia abilità me l’ha permesso, ho scritto questo breve Trattato, in cui chiaramente e completamente disvelo tutti i segreti dell’Arte: di cui se avete piacere, potete usufruirne, altrimenti ammenda e così sia.

Se la sfida a confondere, il prendersi gioco del pubblico e il trasformismo di significati erano attitudini caratteristiche dell’autore, allora il brano che più sintetizzava queste inclinazioni – nascondendo inganni, complessi rimandi e giochi di parole – è proprio questa Epistola, offerta in due versioni completamente diverse a distanza di un anno. Riflettendo su tale riscrittura, mi sono chiesto quale fosse stato il motivo della modifica e cosa nascondessero tra le righe le sue allusioni.

Nel 1635 ogni riferimento autobiografico era stato rimosso, per lasciare il palcoscenico introduttivo a una sorta di recitazione teatrale: frasi ambigue, allusive ed enigmatiche, che per certo stimolavano la fantasia dello spettatore-lettore e introducevano l’argomentazione dell’autore. Ma l’uso di una formula d’arte nei versi (quel Celeriter, Vade), oltre a offuscare gli occhi di chi osservava e leggeva, avrebbe dovuto destargli il sospetto che un inganno si celasse tra le righe.

L’Epistola cominciava inducendo garbatamente una riflessione e invitava a stupirsi del fatto che le copie di un sottile e leggero pamphlet andassero esaurendosi tanto rapidamente. Il lettore avrebbe dovuto meravigliarsi di tale fenomeno inconsueto, come minimo incuriosirsi e chiedersi da dove venisse e cosa mai vi fosse contenuto da persuadere tanta gente ad acquistarlo.

Il successo di vendite a cui si alludeva fu un fatto reale. Probabilmente il libro andò a ruba nella prima edizione che – vista la domanda – fu seguita l’anno successivo dalla seconda edizione, stampata da un incognito editore per un libraio londinese ugualmente misterioso. Dopo soli quattro anni seguì una terza edizione. Il bibliografo Raymond Toole Stott nella sua Bibliography of English Conjuring (1976) annotava che vi furono complessivamente tredici edizioni dell’Anatomia lungo una periodo di circa ottanta anni. Trevor Hall ne contava sedici in Old Conjuring Books (1972) comprendendo anche un breve bignami di otto pagine e contando l’unica edizione non inglese (in lingua tedesca). Una ristampa senza posa dunque. Un grande successo editoriale, definibile “best seller” dei suoi tempi. John Ferguson (1837-1916), chimico, bibliofilo e collezionista di libri di scienze occulte (che vantava nella sua biblioteca diverse edizioni dell’Anatomia) riguardo alla popolarità del libro commentava:

Si sarebbe potuto pensare che, dopo ottanta anni, ognuno dei trucchi sarebbe diventato così conosciuto che perfino il meno esigente degli spettatori avrebbe potuto esser da questi ingannato o impressionato, anche se eseguiti abilmente. Dunque, come fece il libro a esistere e persistere, se non ve n’era necessità? Deve anche essere stato pure largamente utilizzato, visto che di molte edizioni non una copia apparentemente ci è giunta. (2) 

La ristampa di un tale manualetto lungo un periodo di tempo così ampio pareva un mistero a Ferguson poiché supponeva che rivelare quei trucchi avrebbe dovuto esaurire presto lo stupore del pubblico, ma il fatto reale era piuttosto che il libro veniva continuamente ripubblicato poiché destava interesse in un pubblico di lettori sempre più vasto che iniziava ad avvicinarsi all’arte della prestigiazione per hobby e diletto. Chi lo comprava probabilmente non era mosso solo dalla curiosità di conoscere il segreto del trucco, ma dalla voglia di imparare ad eseguirlo, come il titolo prometteva: “anche un profano con lo studio e un poco di pratica può imparare alla perfezione”. Siamo di fronte alla nascita della letteratura magica e al fiorire di una cultura dell’arte prestigiatoria che per molti poi si trasformerà in professione e che per altri diventerà passione e intelligente passatempo, proprio grazie ai libri.

Il fatto che suscita interesse è che le edizioni successive non furono identiche alla prima versione del 1634. La necessità di alcune sottili precauzioni si faceva conseguenza di quel successo di vendite della prima edizione: infatti il materiale proveniente in larga misura da un libro proibito si sarebbe diffuso a un pubblico più vasto di lettori. Il rischio era di destare le attenzioni pericolose di detrattori e delatori e la censura stessa. Autore ed editore, come un prestigiatore col suo complice, ovviarono a questa rischiosa evenienza accordandosi su una messinscena – una misdirection. Il gioco di prestigio letterario che si compiva all’oscuro dell’ignaro pubblico, concentrato sulla spiegazione di ben altri trucchi, e che metteva il manuale al riparo da sospetti e dal rischio che qualcuno si avvedesse della copia di materiale censurato, fu di affermare che la sua provenienza e il suo contenuto fosse la Bartolomew Fayre, e non per gran parte quel trattato di scienze occulte e diaboliche bandito dal regno che era invece The Discovery Of Witchcraft di Reginald Scot.

Ma che cosa era la Bartolomew Fayre? Era la Fiera di San Bartolomeo, quello straordinario, carnevalesco, dissoluto e roboante evento che si teneva ogni anno a Londra alle porte della City nell’area di West Smithfield, tra la fine di Agosto e l’inizio di Settembre; giocolieri, artisti di strada, prestigiatori ed anche attrazioni fieristiche, venditori, commercianti e ambulanti attendevano l’evento con impazienza. Londra si trasformava, il richiamo degli spettacoli prendeva il sopravvento sulle grida della città, le divisioni sociali cadevano, festa e delinquenza si mischiavano e si confondevano tra loro, l’una più licenziosa e l’altra meno impunita e sullo sfondo Londra e le sue storie di povertà ed emarginazione per qualche giorno si dimenticavano, mentre lo spettacolo proseguiva anche oltre la piazza, per le strade limitrofe, senza interruzione, fantastica misdirection sociale.

Evocando la fiera, attraverso questi versi in prosa si suggeriva l’ingresso in un immaginario baraccone fieristico e l’apertura di un metaforico sipario teatrale. E il teatro è proprio l’argomento di questo breve interludio di riferimenti incrociati la cui trama si svolge lungo il filo di connessioni non casuali legate alla Fiera. Infatti Bartolomew Fayre era il titolo omonimo di una commedia del 1614 scritta dal noto drammaturgo inglese Ben Jonson (1572-1637) a cui si attribuiva una leggendaria amicizia e rivalità con Shakespeare. La figura di Jonson occupa un posto d’onore nella tramatura poiché fu il primo a nominare in opere letterarie un personaggio legato al mondo della prestigiazione e della magia, e che egli chiamava Hocos Pocos (nella “Masque of Augures” andata in scena nel 1622 e nelle commedie “Staple Of News” (1625) e “The Magnetic Lady” portata in scena per la prima volta nel 1632 dai King’s Men – la compagnia teatrale di Shakespeare – e poi pubblicata nel 1641). Questo suggerisce che grazie al suo interesse artistico per il folclore londinese, le sue frequentazioni e le sue conoscenze in ambito teatrale, Jonson potrebbe effettivamente aver incrociato William Vincent, alias Hocus Pocus, e impressionato o ammirato avergli poi tributato ripetutamente espliciti riferimenti e allusioni nei suoi lavori. Questi riferimenti letterari indicano altresì che lo pseudonimo Hocus Pocus era noto e famigliare al pubblico popolare del teatro elisabettiano e giacobino ma il fatto che non venisse nominato già nella commedia Bartlomew Fayre del 1614 (in cui per altro avrebbe dovuto avere un posto d’onore) lascerebbe pensare che la carriera del prestigiatore sarebbe iniziata solo qualche anno successivo tra il ’14 e il ’19.

Poiché Shakespeare e Jonson erano conoscenti e contemporanei e frequentavano lo stesso ambiente non è nemmeno da escludere che anche il più eccelso commediografo inglese potesse aver conosciuto il suo omonimo Vincent, prestigiatore e giocoliere a Londra. Sembra peraltro che anche Shakespeare avesse consultato The Discovery Of Witchcraft (probabilmente alla biblioteca di Yatton Court) e ne avesse tratto ispirazione per le cupe atmosfere delle streghe di Macbeth. (3)  Un’altra relazione suggestiva tra Shakespeare e Hocus Pocus si stabilisce indirettamente riscoprendo che una possibile origine della formula magica sia l’espressione gallese Howea Pucka. Puck o Puca era una figura mitologica inglese: un folletto, uno spiritello ingannatore dei boschi, detto anche hobgoblin o chiamato Robin in altre tradizioni. Howea Pucka significherebbe “incantesimo del folletto”. E Puck era proprio lo stesso personaggio dai poteri magici, talvolta ritratto come un fauno, ma in origine un folletto dispettoso dai poteri incantatori, un “dolce diavoletto”, protagonista della ben nota commedia di Shakespeare Sogno di una notte di mezza estate. Howea Pucka oppure Hocus Pocus sarebbe dunque un incantesimo, un sortilegio oppure – come diremmo adesso chiudendo il sipario di questo breve intermezzo teatrale – un trucco di magia.

Perché dunque l’autore tirava in causa questa origine folcloristica riferendo di Bartolomew Fayre? Orbene la fiera londinese a metà del XVII secolo arrivò ad estendersi sulle pertinenze di quattro parrocchie (Great e Little St. Bartlomew, Christ Church e St.Sepulcre Church) ed anche nelle vie limitrofe oltre il campo aperto di West Smithfield fino a Snow Hill e Cock Lane, come raccontato da Peter Ackroyd nella sua London: The Biography.

Dunque in base a questa premessa si poteva affermare che il libro era in vendita alla Fiera, come si alludeva nell’Epistola, (4)  infatti i frontespizi della terza e della quinta edizione (1638 e 1654) portavano un indicazione esplicitamente riconducibile al quartiere di Bartlomew Fayre, in cui si diceva che il libretto era stato stampato su commissione per essere venduto presso “il negozio di Francis Grove su Snow-Hill, nelle vicinanze di Sarazen-Head”. Francis Grove era venditore di libri a Londra, specializzato nella letteratura popolare del suo tempo; il suo negozio si trovava alla fine di Snow Hill, “at sign of Windmill”. (5)  Rintracciarlo oggi nella Londra antica e misteriosa del XVII secolo è come avventurarsi per le vie malfamate dei negozi magici e inverosimili di Diagon Alley in cerca della libreria di Ghirigoro, come immaginato dalla fervida fantasia della scrittrice J.K.Rowling.

Parallelamente Snow-Hill, che conduceva ai quartieri di borsaioli e ricettatori dell’Holborne, era descritta da Dickens ed è tuttora esistente; Francis Grove era il proprietario di un negozio che là aveva la sua vetrina, “All’insegna del mulino a vento”. Questo era il nome della libreria che possiamo considerare “magica” poiché vendeva quasi in esclusiva in tutto il Regno un libro di giochi di prestigio divenuto popolare all’epoca ed oggi ormai rarissimo. (6) 

“All’insegna del mulino a vento” (la libreria di Francis Grove) secondo i riferimenti dell’epoca si trovava probabilmente sul lato nord di Snow-Hill; era uno degli edifici bassi accanto Saracen’s Head Inn, un ostello con 30 letti e stalle per i cavalli nei pressi di St.Sepulchre Church. (7)  L’ostello fu distrutto nell’incendio di Londra del 1666 e poi ricostruito e demolito nuovamente per la costruzione dell’Holborne Viaduct nel 1868. Non esiste più nemmeno la nostra libreria “magica” che si trovava nelle sue adiacenze, ma sulle mappe della vecchia Londra compilate prima della costruzione del viadotto si può individuare facilmente un area abbastanza circoscritta in cui con probabilità essa doveva trovarsi. Nel luogo indicato dalla figura era venduto Hocus Pocus Junior, dunque effettivamente nei pressi della grande piazza dove si svolgeva Bartolomew Fayre, proprio alle porte della City uscendo da Newgate.

Il libro continuò ad essere venduto in esclusiva presso la Fiera anche in anni ed edizioni successive. Sul frontespizio della quarta e quinta edizione (1654 e 1658) veniva riportato come luogo di vendita oltre al negozio di Francis Grove anche quello di Thomas Vere, “At the sign of Angel” (all’insegna dell’Angelo), fuori Newgate, alle porte della City. Questa libreria vantava una tradizione di vendita del libretto più lunga rispetto a quella di Francis Grove. Infatti Vere veniva indicato come venditore anche dell’edizione settima (1771) e forse per continuità anche della sesta (ma di cui non ho reperito informazioni attendibili per provarlo). Probabilmente il suo negozio divenne proprietà del libraio John Deacon, infatti dall’edizione nona alla tredicesima (dal 1675 al 1697) il libro fu stampato e venduto nel suo negozio “at sign of the Rainbow” (all’insegna dell’arcobaleno) poco più su di St.Andrew’s Church sull’Holborn (ma sempre nei pressi di West Smithfield) e in seguito ancora proprio “all’insegna dell’Angelo” ora riferito come di J.Deacon, raggiungibile uscendo dalla City oltrepassando Newgate e girando in Guiltpur-Street, via che conduceva direttamente a West Smithfiled percorrendola verso nord (come si vede dalla figura) e che sembra dunque essere la stessa libreria “magica” che già fu di Thomas Vere.

Probabilmente la vendita del libro nei pressi della piazza e di Bartlomew Fayre si incrementò negli anni (anche se le ristampe non si susseguirono regolarmente nel tempo anche a causa della guerra civile nel 1643) e sembra che per almeno mezzo secolo lo si potesse trovare per le vie della Fiera stampato esplicitamente per alcune librerie privilegiate. Era allora veritiero seppur ambiguo che il sottile libretto “provenisse dalla Fiera e che là lo si potesse comprare”, ma questo curiosamente veniva scritto nell’Epistola molto tempo prima che ciò in effetti poi accadesse, poiché i diritti di stampa e di vendita non appartenevano da sempre ai librai del “quartiere”, anche se così invero si voleva far credere.

Quel che in sostanza veniva fatto intendere al lettore era che il libro fosse un’esclusiva di Bartlomew Fayre a cui si attribuiva la sua origine. Ma questo al contrario era falso e ingannevole. Infatti, come si è fatto intendere, le prime due edizioni facevano eccezione: portavano sul frontespizio una lapidaria e ambigua indicazione: “Stampato da T.H. per R.M.”. Fonti diverse concordano nel ritenere Thomas Harper lo stampatore e Ralph Mabb (o Mab) il libraio. Ma il negozio di Mabb, “All’insegna del levriero”, si trovava nei pressi della cattedrale di St.Paul, all’interno della City, decisamente fuori dalle pertinenze territoriali di Bartolomew Fayre e dalle sue follie. Forse la Fiera era davvero un alibi: un’aggiunta posteriore e una coercizione editoriale per mascherare la sua discutibile e compromettente origine e attribuirne i misteri alle vie in cui quella si svolgeva. La relazione tra il leggero libretto e Bartolomew Fayre era altrimenti spiegata: i giochi di prestigio descritti dal manuale erano eseguiti alla Fiera da prestigiatori e giocolieri, e dallo stesso Hocus Pocus che secondo le cronache là dava spettacolo: veniva ritratto per le vie della fiera “con metri di nastri colorati ad eseguire giochi di destrezza”; così il pubblico dopo aver assistito ammirato a quelle esibizioni di strada sarebbe stato attirato e invogliato all’acquisto del libro venduto per le stesse vie con il desiderio non solo di scoprirne i trucchi segreti ma magari di imparare ad eseguirli, come il manuale prometteva. Del resto a Bartolomew Fayre si esibivano da sempre i famosi prestigiatori inglesi sin dai tempi del medioevo. Tra il XVI e il XVIII secolo sono famosi Kingsfield, Brandon e Faux, oltre naturalmente ad Hocus Pocus. E da lui in avanti, per almeno due secoli, mentre i prestigiatori tenevano i loro spettacoli alla fiera, nelle librerie proliferavano manuali di “magia” dai cui frontespizi riecheggiava il suo nome leggendario, ormai sinonimo per sempre di “gioco di prestigio”.

Fu proprio a metà del XVII secolo e ancor più dopo la guerra civile e con l’avvento del Puritanesimo che la Fiera divenne un evento internazionale e si espanse nelle vie adiacenti a West Smithfiled attirando gente da tutto il Regno. Bartolomew Fayre poteva essere nominata e riconosciuta per fama da qualunque inglese; il carattere irriverente e rozzo che traspariva dalle pagine del manuale era associabile facilmente alla Fiera; in perfetto accordo con il suo spirito sbeffeggiante e licenzioso ogni sua brano ne richiamava la goliardica e grottesca bizzarria e allontanava ogni altro diabolico sospetto. E il Cortese Lettore allontanandosi col pensiero dai dubbi e dalle accuse di stregoneria a cui si alludeva nella prima edizione, si ritrovava per mezzo di un’abile mistificazione tra i baracconi surreali della Fiera, dove cose incredibili, innaturali e meravigliose potevano invece avere asilo ed essere accettate senza destare sospetto alcuno. E leggendolo, per una sorte di dantesca legge del contrappasso, chi voleva imparare a ingannare sarebbe stato il primo ad esserlo. Del resto recitava l’adagio: “Vulgus vult decipi. Ergo decipiatur”

C’erano altre giochi di parole e allusioni nascoste in questa curiosa Epistola. Invito a cogliere il modo parallelo con cui le caratteristiche della Fiera venivano accostate ed assimilate al libretto: così come la Fiera giungeva in città e poi se ne andava, così anche il leggero libretto – venduto per la fiera – presto non ci sarebbe più stato, bisognava affrettarsi ad acquistarlo! E così come alla Fiera si potevano ammirare personaggi stravaganti far pubblicità ai propri spettacoli e richiamare l’attenzione di fronte o sopra i baracconi, così si poteva vedere stampato sul frontespizio – come un cartellone fieristico – il personaggio curioso di cui l’Epistola parlava: Hiccius Doccius. Si alludeva effettivamente alla figura in copertina, ritratta in un incisione comparsa a partire dalla seconda edizione in sostituzione dello stemma editoriale della precedente pubblicazione.

Hiccius Doccius era dunque l’icona dell’Anatomia. Nella figura veniva rappresentato un mezzobusto che teneva in mano uno strano articolo prestigiatorio, una specie di cuffia decorata con fronzoli e impunture dalla cui sommità forata spuntava la testa di un pupazzo barbuto. L’uomo che lo teneva in mano (il prestigiatore acconciato alla maniera di Re Charles I, di cui in effetti pareva una caricatura) pronunciava per mezzo di un fumetto le parole: “Hiccius Doctius”. I prestigiatori sanno che questo oggetto è il vanishing doll, antico e conosciuto gioco di prestigio, ma inedito in letteratura magica fino ad allora e in questo manuale descritto per la prima volta.

“Hiccius Doccius” era in effetti il nomignolo del pupazzo oggetto del prestigio. Nell’Epistola tale personaggio veniva definito “Post-Master”, ovvero letteralmente “colui che è responsabile dello smistamento della posta”, o semplicemente il direttore dell’ufficio postale. Questo titolo ben si addiceva al soggetto per una casualità, poiché il luogo nei pressi in cui erano vendute le prime edizioni del libretto, ovvero Saracen’s Head Inn, da antichi resoconti sembra ospitasse insieme all’ostello anche un vecchio ufficio postale. Inoltre giocando con le parole si intendeva che Hiccius Doccius fosse anche il “Post(er)-Master”, alludendo all’effige del frontespizio come ad un cartellone fieristico che il pupazzo presiedeva autorevolmente come se ne fosse la principale attrazione.

Il titolo “Post-Master”, oltre ad alludere (per caso o premeditatamente) all’ufficio postale di Sarazens Head, si riferiva soprattutto al fatto che Hiccius Doccius era un “postino magico”, come indicava il suo appellativo che era appunto “messaggero invisibile” o “messaggero prodigioso”. (8)  Questa allusione era chiarita successivamente nell’Epistola. Nel testo infatti si affermava che un messaggio che si desiderava spedito altrove poteva essergli consegnato, e dopo aver pronunciato qualche formula di comando (9)  egli si sarebbe recato magicamente ovunque richiesto superando ogni barriera e vicissitudine, portando la sua missiva anche alla Fiera del lettore (dove a quel punto si trovava infatti, tra le sue mani). Questo transfert della missiva che viaggiava in modo soprannaturale con Hiccius Doccius, spedita da un luogo immaginario per mano del prestigiatore (l’autore) per giungere nel mondo reale al pubblico della fiera (i suoi lettori) era esso stesso un gioco di prestigio, una suggestione da cui si veniva coinvolti alla lettura del brano, e al termine della quale con sorpresa ci si rendeva conto che la missiva misteriosa era proprio il libretto Hocus Pocus Junior.

Il titolo di Post-Master celava un terzo gioco di parole, ancora una parodia, un troncamento che alludeva a un personaggio straordinario che si esibiva effettivamente alla Fiera a quel tempo: il famoso contorsionista Jhosep Clark, in arte “The English Posture Master”, o semplicemente Post(ure)-Master. A cosa attribuire tale allusione? Hiccius Doccius era un pupazzo di legno il cui segreto era lo scomporsi in tre parti, come un contorsionista; anche Jhosep Clark era in grado di assumere le pose più disparate, spostando ossa e muscoli “scomponendosi” in modi assurdi e spettacolari.

Un simile accostamento “prestigiatore-contorsionista” sembra fosse usuale all’epoca, per l’affinità tra gli esercizi ginnici e i giochi di destrezza eseguiti indistintamente da giocolieri-prestigiatori. Lo si può vedere anche in diverse illustrazione di Bartolomew Fayre del XVIII secolo che ritraevano il baraccone fieristico di “Faux’s Dexterity of Hand” (10)  le cui insegne pubblicizzavano lo spettacolo del prestigiatore Faux (o Fawks) accanto a quelle dei contorsionisti della sua compagnia; l’immagine evidenzia e rafforza ulteriormente il gioco di parole Post-Poster-Posture. Si notino dunque i cartelloni quadrati sui baracconi e quello che ritrae il mezzobusto di Mr.Fauks e quanto effettivamente l’icona di Hiccius Doccius sul frontespizio di Hocus Pocus Junior ne ricalchi le caratteristiche e le funzioni.

Infine trovo suggestivo osservare come in un gioco di specchi – e lascio al lettore valutare se in modo ricercato o casuale – queste parole ruotino intono alla radice “post’” esattamente come la parola inglese imposture (inganno), forse esse stesse un riflesso sfuocato della sottile mistificazione celata tra le righe dell’Epistola al lettore. (11) 

E così mi sono convinto che in questo modo vada intesa la riscrittura della prefazione: come un ingannevole gioco di prestigio atto a distogliere l’attenzione del lettore da una scomoda verità e dirigerla su un’altra consona e indolore.


Note

1. Traduzione di Mauro Ballesio.

2. John Ferguson, “Bibliographical notes on histories of inventions and books of secrets”, 7th Supplement, University Press, Glasgow 1915 ora in Trevor Hall, Old Conjuring Books, Duckworth, Londra 1972. Riguardo al fatto che alcune edizioni non sono giunte al nostro secolo, si consideri la sesta edizione pubblicata tra il 1658 e il 1671, le cui copie furono probabilmente distrutte dall’incendio di Londra del 1666.

3. Questa informazione è riportata da Trevor Hall che a sua volta cita John Ferguson che tuttavia non cita la sua fonte. Qualcuno ritiene invece che Shakespeare abbia consultato il trattato di James I (di opposte vedute in merito a streghe e magia) dal titolo Daemonologie.

4. Le prime due edizioni erano vendute davanti alla cattedrale di St.Paul, in Paternoster Row. L’undicesima edizione (1686) era venduta in una libreria del London Bridge, che è distante da Smithfield West rispetto alle altre, ma “Sun and Bible”, questa la sua insegna, era proprietà del libraio J. Deacon che già la vendeva nel suo negozio appena fuori Newgate, nei pressi della Fiera.

5. Plomer H.R, A Dictionary of printers and bookseller who were at work in England, Scotland and Ireland 1641 and 1667, Bibliographical Society, 1907.

6. Si conosce l’esistenza di solo due copie dell’edizione di Hocus Pocus Junior del 1638 venduta da Francis Grove, oggi conservate presso istituzioni pubbliche inglesi: la Bodleyan Library e la biblioteca del St. John College di Cambridge.

7. A Dictionary of London, 1918.

8. L’aggettivo “invisibile” si riferisce all’effettivo nomignolo del pupazzo in latino: nuntius invisibilis; l’aggettivo prodigioso è una licenza di traduzione impiegata per mantenere una similitudine con la dicitura inglese Post-Master.

9. Si noti che non viene mai utilizzato il termine “formula magica” ma piuttosto la dicitura “formula di comando” o “termine d’arte”. L’idea di qualcosa di “magico” propriamente detto era assimilabile al concetto di stregoneria e pertanto inutilizzabile in spettacoli pubblici.

10. Citando il prestigiatore Fawks si racconta un breve e curioso aneddoto storico. Questi si può dire che fosse il Robert-Houdin della sua epoca. Sembra che avesse accumulato una ricchezza enorme nel corso della sua vita grazie ai suoi spettacoli. Sul numero di febbraio del 1731 di The Monthly’s Intelligencer la cronaca riportava la visita degli ambasciatori di Algeria a Mr.Fawks. Alla richiesta che venisse mostrata loro un immagine di Algeri, egli fece crescere un albero di mele carico di frutti maturi in meno di un minuto e che poi diversi membri della congregazione poterono assaggiare. Ben 100 anni prima che Robert-Houdin mostrasse il suo albero di arance.

11. Per una sorta di curioso trick telematico, ricercando la parola “imposture” su “Online Etymology Dictionary” compaiono due risultati distinti: le voci “imposture” e “prestige”.

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